11 maggio 2023

exibart prize incontra Gianluca Cavallo

di

Osservazione e memoria. L’inchiostro di china per disegnare bozzetti che opportunamente ingranditi andranno a comporre l’immagine finale.

Gianluca Cavallo

Qual è stato il tuo percorso artistico?

La facilità di disegno, il tratto spedito e spontaneo a mano libera, la passione per le arti in generale, letteratura, cinema e musica hanno condizionato le tormentate scelte di adolescente. Studente di Lettere e Filosofia alla Sapienza di Roma ho avuto l’opportunità di lavorare, prima come disegnatore di cartoni per vetrate artistiche, poi come decoratore per locali pubblici e ville private. Quando ho capito che quello poteva essere il mio mestiere ho perfezionato il disegno e appreso le tecniche pittoriche rinascimentali, incluso l’affresco, presso l’Istituto d’Arte e Restauro “Palazzo Spinelli”di Firenze. Tappa importante di questo cammino è stato l’incarico per la realizzazione dell’impianto decorativo e la progettazione architettonica interna di una piccola chiesa in provincia di Salerno. Una immersione da laico nei territori del Cattolicesimo. Momento fondamentale dopo questo lavoro è stata la conoscenza di un maestro dell’arte contemporanea l’artista Ugo Marano (1943-2011). Il suo minimalismo e la radicale libertà di pensiero hanno contribuito e arricchito la mia educazione artistica e aperto spiragli di sperimentazione che fino ad allora erano un po’ offuscati dalla continua messa in discussione di principi acquisiti. Ha curato e presentato la mia prima mostra personale a Salerno nella sede dell’Amministrazione Provinciale. Dopo qualche anno una mostra antologica “All’anagrafe Giovanni” nel mio paese d’origine, Sala Consilina con un catalogo generale delle mie opere e la fortunosa vendita di tutte quelle presenti in esposizione mi hanno consentito di trasferirmi a Roma. Ecco l’Ice Badile studio, spazio di lavoro condiviso e laboratorio di idee con diversi artisti della scena capitolina. In quel periodo, si può dire, che ho trovato il mio linguaggio espressivo. Ho cercato di far coincidere in maniera forte il disegno, mia cifra distintiva, con la pittura, in quell’ indagine della rivelazione della luce che aveva contraddistinto la mia pratica. Campiture di colore bianco, dovute all’ utilizzo di colla di coniglio e gesso di Bologna erano la superficie ideale sulla quale immaginare e cercare di dare vita a diversi mondi, nel rapporto contrastato tra lo spazio ed il nero ad olio delle pennellate. E’ stato quello anche l’inizio della collaborazione con la Creative Room Art Gallery di Roma e con il giovane gallerista Lorenzo Cantarella, tuttora mio mercante d’arte.  Con questa galleria la mostra “L’Universo è figura” ispirata alle teorie di Giordano Bruno ed alla lettura del suo “De l’infinito, universo e mondi”. Anch’io non riuscivo e non riesco ad immaginare il circostante, l’universo, senza ricorrere alla figurazione. Accanto ai “bianchi e neri” fa la sua comparsa il personaggio del subacqueo che monta un cavallo, spronato da una carota posta a debita distanza che forse mai raggiungerà. Un’ opera permeata da un Surrealismo letterale e impercettibile, che diventava simbolo, emblema araldico nell’installazione vivente che accompagnava l’esposizione e che ancora oggi fa parte della mia produzione. Il mio laboratorio, lo “Studio 22” era a Prati nello stesso quartiere romano della galleria. Grazie a questa sinergia di lavoro, ho avuto la possibilità di partecipare alla 55^ Biennale di Venezia, presso l’Officina delle Zattere con un’opera “Il Teatro del Bailo” di notevoli dimensioni, creata per l’occasione, composta da sei tele assemblate. Dopo un altro anno a Trastevere, mi sono trasferito nel Parco del Cilento e Vallo di Diano, ad Atena Lucana, tra terra e mare, come il mio sub, con la mia compagna di vita, mia moglie, Natalia Ponton, pittrice e performer colombiana, conosciuta a Roma. La mia ricerca si muove ora tra le pieghe di una pittura che è diventata sempre più realistica, alternando lavori in bianco e nero a composizioni a colori. Alcune opere sono entrate a far parte di collezioni private a New York e Londra, grazie alle vendite effettuate su Saatchi Gallery; sono stato premiato a Roma nella Biennale d’Arte del 2015 con l’opera “Esodati”; una mia opera “Soul” è stata la scenografia dell’omonimo programma televisivo in onda su Tv 2000. Ho passato i mesi della pandemia a Bogotà, in Colombia, nel quartiere storico della Candelaria, dove tutt’ora vivo e continuo a dipingere.

 

Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?

Osservazione e memoria. L’inchiostro di china per disegnare bozzetti che opportunamente ingranditi andranno a comporre l’immagine finale. Adoro preparare i telai, quindi la tela, artigianalmente come gli antichi maestri. Poi pennelli, colori ed olio di lino. La scelta di questi strumenti è dovuta al loro stimolo olfattivo. La musica mi trasporta. A volte la prima stesura di colore non ha la felicità significativa del disegno preparatorio e allora ricomincio da capo, cancellando l’immagine creata. Così nascono le mie opere a colori, da un fondo grigio, generato da una cancellatura: un palinsesto di immagini sotto la conclusiva elaborazione. Altro risultato, un tempo differente, quando le figure realizzate ad olio nero sulla superficie bianca manifestano immediatamente una certa solidità. Lascio che il bianco del fondo, senza ulteriore intervento, definisca i volumi delle figure appena caratterizzate e lo spazio nel quale sembrano muoversi.

 

In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?

L’arte nasce con l’uomo, quindi con la storia dell’umanità. Rappresenta un bisogno primordiale di espressione, quello che differenzia l’essere umano da qualsiasi altra specie. Si può dire che il segno nasca insieme alla parola. Considerando questo, una società sempre più evoluta e sempre più tecnologicamente efficace non credo possa fare a meno dell’espressione artistica come dato più immediato e spontaneo dell’attività umana. Non so se questa basterà ad essere considerata come strumento di spinta al cambiamento ma senza dubbio uno strumento di riflessione, un commento a quello che accade intorno. Gli artisti hanno il compito di spingere gli altri esseri umani alla riflessione, a far comprendere, attraverso il proprio linguaggio, la bellezza dell’esistenza. Se si riesce a distogliere i propri simili da azioni scellerate e bellicose, anche solo per un momento, grazie ad una piccola emozione, a “una goccia di splendore” (A. Mutis) si sarà sulla strada giusta per un cambiamento delle coscienze, anche quelle purtroppo più distorte.

 

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?

Realizzare una mostra personale a Bogotà presso la MMason Gallery, lasciando che le impressioni e gli accadimenti nella metropoli colombiana entrino a far parte delle mie opere. In Italia, invece, con l’aiuto del mio mercante a Roma pubblicare un catalogo generale della mia produzione artistica.

 

In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?

Concedendo spazi in disuso, luoghi abbandonati opportunamente ristrutturati per la circolazione del pensiero, delle idee, della cultura. Spazi destinati all’arte in tutte le sue forme, adeguatamente amministrati da curatori umili ed illuminati che sappiano attraverso un linguaggio semplice far conoscere gli artisti, sempre più emarginati, sempre dislocati, ma sempre a caccia di visibilità. Preparare, educare, formare un pubblico curioso e appassionato è lo sforzo che attende tutto il sistema dell’arte contemporanea sempre più avviluppato su se stesso, costretto in un linguaggio fumoso che allontana invece di accogliere.

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