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Qual è stato il tuo percorso artistico?
Dopo un’infanzia dura e difficile, una giovinezza sregolata da bad boy, aver dovuto abbandonare una carriera calcistica, sono miracolosamente tornato a studiare e mi sono diplomato al Liceo Artistico di Comiso, in Sicilia. Dedicandomi in quegli anni solo alla pittura e al bodybuilding. Successivamente, mi sono trasferito a Milano per frequentare l’Accademia di Brera e ho conseguito la laurea, a pieni voti, con una tesi dal titolo Fun Art. Ordinando centinaia di panini del McDonald’s in occasione del festeggiamento. Terminati gli studi, sono stato selezionato dalla 18th Street Arts Center a Santa Monica, il centro di residenza per artisti più longevo nel Sud della California. Approfittando dell’esperienza per trovare me stesso, mi sono comprato uno skateboard per esplorare il posto e un taccuino per annotare i miei pensieri. Da qui è nato il Manifesto del Fallimento, punto di partenza della mia ricerca che mi ha permesso di esporre in una mostra collettiva alla SADE Gallery di Los Angeles. Esordendo affittando un camioncino dei gelati. Conclusa la residenza, ho organizzato una festa per il mio open studio, grazie al quale ho ottenuto la mia prima mostra personale nella Galleria HGZ in Messico, che attualmente mi rappresenta. Questo incredibile viaggio in America, all’insegna dell’edonismo sfrenato, mi ha infine portato in Grecia per incontrare Dakis Joannou, il collezionista multimiliardario più importante dei nostri tempi.
Quali sono gli elementi principali del tuo lavoro?
Viaggio, fede e scoperta. Grazie a questi elementi ho costruito un linguaggio che ha preso istintivamente forma nel tempo. Se non so cosa accadrà, corro sempre un rischio. Allora la produzione delle mie opere diventa eccitante. Mi piace l’idea del fallimento, il successo mi sembra troppo banale. La bellezza dell’arte corrisponde alla vita stessa. Non sappiamo come vivere, quindi cerchiamo di trovare le istruzioni. Cercando di capire questo mondo caotico attraverso il flusso della vita. Bisogna accettare di perdersi a volte e poi, all’improvviso, appare la luce. Personalmente mi bacchetto duramente durante il mio percorso. Ho un ossessivo bisogno di controllo e una sorta di attenzione perfezionista, ma quando mi scontro con le cose tutto cambia. Durante le mie prime mostre mi sono imbattuto in situazioni scomode. Avevo progettato qualcosa ma non c’erano abbastanza opere che parlassero veramente di tutto ciò che avrei voluto comunicare. A fine giornata, quello che ho in testa e quello che realmente faccio non si incontrano mai. Ma se ho fiducia nel fatto che mi sto muovendo verso ciò che l’opera deve essere, allora arrivo a ciò che l’opera deve effettivamente essere. Il segreto sta nel saper trasformare i fallimenti in successi. D’altronde ci sono artisti che vengono riconosciuti durante la vita e altri no. Questa cosa è molto triste! A volte temo di fare la stessa fine. Allo stesso tempo questo è un modo per evitare di dimostrare qualcosa. Non mi faccio illusioni, ma ho scoperto delle cose durante la strada che non sopporterei portarle con me finché muoio. È molto importante passare tutte le informazioni con la stessa rabbia e intensità con cui le hai vissute. Sembra sbagliato, ma funziona! Alla fine ti ritrovi a fare quel che prima criticavi nel mondo dell’arte. Tuttavia se mi arrendo adesso sarebbe stata una perdita di tempo provarci sin dall’inizio. Se credi sia grandioso quello che fai non devi preoccuparti dei rischi. Affinché gli altri ci credono, devi essere tu il primo a farlo!
In quale modo secondo te l’arte può interagire con la società, diventando strumento di riflessione e spinta al cambiamento?
Grande domanda! Non credo che l’arte abbia un “compito” da svolgere, ma come spinta al cambiamento è ideale. Trovo che l’arte sia una sorta di conoscenza anticipata. Quando guardi un’opera d’arte, improvvisamente il tempo e lo spazio non esistono più. Sei da un’altra parte del mondo, nella testa di qualcun altro, viaggi nel tempo, impari cose nuove e, alla fine, rifletti sul significato dell’esistenza. Per questa ragione sono convinto che l’arte sia soprattutto una questione sulla morte attraverso la vita. La morte è per me una specie di ossessione salutare. Se una persona che ha paura di morire crede di vincere sulla morte, chiaramente commette un’idiozia. Piuttosto bisogna prenderla in giro, saperla raggirare. Non come questo diffuso desiderio posthuman di eternità (ride). Lo trovo assolutamente ridicolo.
Quali sono i tuoi programmi per il futuro?
Spiritualmente l’arte è l’obbiettivo della mia vita. Ci sono arrivato in modo infantile e con un atteggiamento nichilista. Ma non posso tornare indietro. Sto cercando di attraversare la vita attraverso l’arte, spingendomi ai limiti di cosa significa essere vivi. Il fatto è che nell’arte c’è qualcosa di magico che esiste. Ci credo davvero! È l’unico motivo per cui passo tutto il tempo a convincermi di questo. È una vera magia l’arte! E se perdi questa magia, perdi inevitabilmente te stesso. C’è una sola regola nell’arte: devi essere quello che sei! Non puoi essere un bugiardo, accada quel che accada, devi comunicare quello che senti. Se non lo fai, sei solo un infame! Ad esempio, L’isola dei Fannulloni, sono sicuro che sia il progetto della mia vita. È stata un’illuminazione improvvisa concepirla. Sono riuscito a immaginare una società in cui i pigri hanno finalmente un posto sotto il sole. Ho addirittura pensato di fondare delle residenze per nullafacenti, un posto in cui vieni selezionato e pagato per non fare nulla. Puoi fare qualsiasi cosa nel periodo di soggiorno, a condizione di non lavorare. Se cominci a lavorare sei licenziato. Mi chiedo, perché dopotutto l’essere umano deve lavorare? Siamo ai lavori forzati e non ce ne rendiamo conto. La nostra sorte sulla terra sembra quella di dover lavorare per pagare pure l’aria! Ho letto un romanzo russo dal titolo Oblomov che parla di un uomo pigro che viveva di rendita e non voleva abbandonare il suo divano. È questo quello che la nostra società dell’abbondanza non capisce, o non vuole capire. C’è abbastanza cibo sulla terra per tutti senza dover lavorare. Basterebbe tornare al baratto (ride). Ma l’ipercapitalismo spinge nella direzione opposta a questo fenomeno. Quindi la mia idea rimane un modello assolutamente utopico.
In quale modo le istituzioni potrebbero agevolare il lavoro di artisti e curatori?
Dovrebbero capire che deve esserci spazio per tutti in misura diversa. Questo potrebbe accadere solo quando si renderanno finalmente conto che siamo sulla terra proprio per estinguerci. Ci sarà sempre un progresso che farà fuori quello precedente. Noi, per esempio, esercitiamo il controllo sulla specie animale perché ci reputiamo più intelligenti e possiamo decidere del loro destino. Allo stesso modo, l’intelligenza artificiale che stiamo generando potrà decidere sulle nostre sorti. Quindi penso che la risposta a questa domanda non si trovi nel futuro ma nel nostro passato. Adesso invece, tutto ruota intorno a questi ridicolissimi soldi. A volte mi dispero per farli ma poi penso che da qualche parte arriveranno. Tutto quello che conta per me è portare a termine i miei obbiettivi. Non posso sconcentrarmi per una sciocchezza simile. Non credo che avere una quantità infinita di soldi possa decidere sul nostro reale status symbol. Mi sembra enormemente una stupidaggine! Ma sicuramente agevolerebbero la vita degli artisti e dei curatori. Eliminare la preoccupazione economica ti rende libero di agire. Questo è certo! Sentite, ma siete davvero sicuri di farci un’intervista con queste dichiarazioni?!