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Nicola Marotta – Carte Ritrovate
Nel suo lavoro ha raccontato il nostro tempo, come somma di più registri culturali, sovrapposti inesorabilmente nei labirinti esistenziali. Ha prediletto la composizione preumanistica, quella dell’assenza della prospettiva, che gli consentiva una composizione libera da condizionamenti oggettivi…
Comunicato stampa
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Carte ritrovate
di Antonello Marotta
Nicola Marotta sin dalla prima giovinezza ha assorbito la cultura greco-romana che derivava, essendo campano, dalla città e dal territorio in cui ha vissuto e studiato: Napoli e i paesi vesuviani. Nella prima formazione, negli anni Cinquanta e Sessanta, ha appreso un modo di guardare il passato con occhi nuovi, attraverso una concezione moderna, innestata in una tradizione più antica. Questa nuova coscienza è diventata un filtro attraverso il quale intraprendere il suo futuro artistico. Con il tempo, la cultura formativa si è decantata a tal punto che rimangono in vita solo i valori pittorici, al di là del racconto oggettivo della pittura occidentale. Nella metà degli anni Cinquanta Nicola Marotta ha conosciuto le avanguardie nazionali e internazionali, unendo le esperienze più vive del Novecento con la passione per il mondo stratificato del nostro passato, lavorando sulle lacune degli affreschi pompeiani. Su questa linea del tempo eroico ed esistenziale, arcaico e contemporaneo, ha tracciato un suo personale racconto in cui aleggiano esistenze sospese nel cielo della storia: icone di un paesaggio mentale e di una geografia sociale. Nel suo lavoro ha raccontato il nostro tempo, come somma di più registri culturali, sovrapposti inesorabilmente nei labirinti esistenziali. Ha prediletto la composizione preumanistica, quella dell’assenza della prospettiva, che gli consentiva una composizione libera da condizionamenti oggettivi e descrittivi, a favore di un racconto atemporale e concettuale. Si possono citare opere come gli Hortus conclusus, gli Avversari immaginari e reali, le Ultime sentinelle, gli Amanti in volo, le Lettere d’amore, sempre alla ricerca di un corto circuito che determina lo straniamento, il ritrovarsi in situazioni inattese e coinvolgenti. Marotta ha voluto raccontare dell’uomo e del suo destino, del viaggio inteso come porta, come passaggio per altre dimensioni. Si è occupato degli spazi della mente, che sono quelli della memoria, accumulata nel tempo, con i suoi depositi e le sue stratificazioni inquiete, che non trovano mai pace. Questa formazione classica diventa un telaio mediante il quale attraversare i movimenti artistici contemporanei e costruire un alveo comune. Oggi, a distanza di tempo, quello che gli interessa della pittura non è tanto l’aspetto figurale delle composizioni, ampiamente indagato dalla critica, quanto il metodo di lavoro: un approccio concettuale e mentale di alcune aree del pensiero che possiamo definire archeologiche, ambientali, e legate al sublime. Sono campi che s’intrecciano uno nell’altro, che s’inseguono e si scambiano le parti e i ruoli. Possiamo asserire che la sua produzione sia una cartografia inconscia, dove le lacune, le aree mancanti del quadro, emergono come la parte più viva e intensa del suo operare. Le ha rilette nella sua mente di giovane artista, quando si recava al Museo Nazionale di Napoli per studiare i mosaici e le pitture pompeiane. Erano composizioni straordinarie di prospettive intuitive, di partiture regolari, di un senso di naturalezza che viveva solo nelle abili mani del pittore, pronto a cogliere il particolare, rapito nell’istante. Eppure, il suo occhio si soffermava sulle parti perdute della composizione, quelle in cui è assente il disegno. In quelle parti perdute rientra la coscienza del presente. Per queste ragioni Nicola Marotta ha voluto superare quella dialettica che separa il presente dal passato, o che lo interpreta come sollievo o fuga. Il presente per lui è solo una proiezione di un tempo più profondo. Così l’archeologia diventa l’occasione di indagare queste tracce dimenticate, celate sotto la coltre del tempo, ma di fatto sempre compresenti. La sua è una pittura di strati e di livelli soggiacenti, che necessita di una radiografia per essere colta nella sua complessità. Il territorio così vive in vedute simultanee che sommano lo sguardo dal basso di un uomo che attraversa lo spazio, con quelle zenitali. Sono territori compresenti, dai margini deboli, aperti, dai confini labili, perché il limite sfuma nello sguardo personale e aspira a una visione universale. Questi territori uniscono struttura e integrazione, si combinano, entrano uno nell’altro. Nel suo lavoro il paesaggio, il territorio, l’archeologia si fondono. Di conseguenza viene annullata una prospettiva univoca e il territorio si tramuta in una geografia più complessa, dove la mappa sintetizza il luogo reale e quello mentale della fantasia e della razionalità. Le Carte ritrovate sono nate quasi per caso. Nicola Marotta ha sempre interpretato la dimensione dell’essere (umano) in costante richiesta di un riconoscimento, di una certezza d’identificazione. È stata attratto dagli eteronimi pessoani, dalle identità plurime, dalle strutture mentali, astratte, che vivono nella mente di un autore che invoca il suo duplicato, offrendogli una vita reale e una coscienza, almeno letteraria. Gli studi su Luigi Pirandello, su Bertolt Brecht, su Franz Kafka, su Bernard Shaw, su Jorge Luis Borges, su Fernando Pessoa, su José Saramago hanno orientato il suo pensiero e a questi straordinari scrittori ha dedicato negli anni Settanta alcune opere. Era una visione che parlava dell’uomo, e lo faceva con il peso della coscienza. Sono letterature dure e incerte per soggetti reali e drammatici, isolati nella loro ragione che indaga, percepisce, scruta con ingegno e razionalità il mondo. Eppure, da questa ragione nella sua pittura è rimasta la lacuna, le parti perdute di un mondo forse da ricostruire. Da queste premesse sono nate le Carte ritrovate. Nel suo operare è solito mettere sotto le tele su cui lavora fogli di carta comune, di colore giallo-ocra. Alla fine del processo ideativo rimanevano delle macchie, delle colature casuali su cui è intervenuto successivamente. Sono nate così, reinterpretando i segni di un mondo possibile, mappe concettuali di un mediterraneo a lui caro, diagrammi del tempo, figure mitologiche, racconti e frammenti di un suo immaginario sviluppato in decenni di attività. Queste Carte ritrovate raccontano, in maniera sostanziale, la sua visione dell’arte, in cui le sostanze sono sottese e il suo lavoro consiste nel farle emergere, al pari della attività di un archeologo.
Nicola Marotta è nato a Brusciano (Napoli) il 22/08/1936. Ha compiuto gli studi di magistero presso l'Istituto statale di Napoli, sezione pittura. Successivamente ha frequentato corsi parziali di scultura, pittura e nudo nell' Accademia delle Belle Arti della stessa città. Nel 1962 si è trasferito ad Alghero dove attualmente opera.
Sito web: http://nicolamarotta.it
di Antonello Marotta
Nicola Marotta sin dalla prima giovinezza ha assorbito la cultura greco-romana che derivava, essendo campano, dalla città e dal territorio in cui ha vissuto e studiato: Napoli e i paesi vesuviani. Nella prima formazione, negli anni Cinquanta e Sessanta, ha appreso un modo di guardare il passato con occhi nuovi, attraverso una concezione moderna, innestata in una tradizione più antica. Questa nuova coscienza è diventata un filtro attraverso il quale intraprendere il suo futuro artistico. Con il tempo, la cultura formativa si è decantata a tal punto che rimangono in vita solo i valori pittorici, al di là del racconto oggettivo della pittura occidentale. Nella metà degli anni Cinquanta Nicola Marotta ha conosciuto le avanguardie nazionali e internazionali, unendo le esperienze più vive del Novecento con la passione per il mondo stratificato del nostro passato, lavorando sulle lacune degli affreschi pompeiani. Su questa linea del tempo eroico ed esistenziale, arcaico e contemporaneo, ha tracciato un suo personale racconto in cui aleggiano esistenze sospese nel cielo della storia: icone di un paesaggio mentale e di una geografia sociale. Nel suo lavoro ha raccontato il nostro tempo, come somma di più registri culturali, sovrapposti inesorabilmente nei labirinti esistenziali. Ha prediletto la composizione preumanistica, quella dell’assenza della prospettiva, che gli consentiva una composizione libera da condizionamenti oggettivi e descrittivi, a favore di un racconto atemporale e concettuale. Si possono citare opere come gli Hortus conclusus, gli Avversari immaginari e reali, le Ultime sentinelle, gli Amanti in volo, le Lettere d’amore, sempre alla ricerca di un corto circuito che determina lo straniamento, il ritrovarsi in situazioni inattese e coinvolgenti. Marotta ha voluto raccontare dell’uomo e del suo destino, del viaggio inteso come porta, come passaggio per altre dimensioni. Si è occupato degli spazi della mente, che sono quelli della memoria, accumulata nel tempo, con i suoi depositi e le sue stratificazioni inquiete, che non trovano mai pace. Questa formazione classica diventa un telaio mediante il quale attraversare i movimenti artistici contemporanei e costruire un alveo comune. Oggi, a distanza di tempo, quello che gli interessa della pittura non è tanto l’aspetto figurale delle composizioni, ampiamente indagato dalla critica, quanto il metodo di lavoro: un approccio concettuale e mentale di alcune aree del pensiero che possiamo definire archeologiche, ambientali, e legate al sublime. Sono campi che s’intrecciano uno nell’altro, che s’inseguono e si scambiano le parti e i ruoli. Possiamo asserire che la sua produzione sia una cartografia inconscia, dove le lacune, le aree mancanti del quadro, emergono come la parte più viva e intensa del suo operare. Le ha rilette nella sua mente di giovane artista, quando si recava al Museo Nazionale di Napoli per studiare i mosaici e le pitture pompeiane. Erano composizioni straordinarie di prospettive intuitive, di partiture regolari, di un senso di naturalezza che viveva solo nelle abili mani del pittore, pronto a cogliere il particolare, rapito nell’istante. Eppure, il suo occhio si soffermava sulle parti perdute della composizione, quelle in cui è assente il disegno. In quelle parti perdute rientra la coscienza del presente. Per queste ragioni Nicola Marotta ha voluto superare quella dialettica che separa il presente dal passato, o che lo interpreta come sollievo o fuga. Il presente per lui è solo una proiezione di un tempo più profondo. Così l’archeologia diventa l’occasione di indagare queste tracce dimenticate, celate sotto la coltre del tempo, ma di fatto sempre compresenti. La sua è una pittura di strati e di livelli soggiacenti, che necessita di una radiografia per essere colta nella sua complessità. Il territorio così vive in vedute simultanee che sommano lo sguardo dal basso di un uomo che attraversa lo spazio, con quelle zenitali. Sono territori compresenti, dai margini deboli, aperti, dai confini labili, perché il limite sfuma nello sguardo personale e aspira a una visione universale. Questi territori uniscono struttura e integrazione, si combinano, entrano uno nell’altro. Nel suo lavoro il paesaggio, il territorio, l’archeologia si fondono. Di conseguenza viene annullata una prospettiva univoca e il territorio si tramuta in una geografia più complessa, dove la mappa sintetizza il luogo reale e quello mentale della fantasia e della razionalità. Le Carte ritrovate sono nate quasi per caso. Nicola Marotta ha sempre interpretato la dimensione dell’essere (umano) in costante richiesta di un riconoscimento, di una certezza d’identificazione. È stata attratto dagli eteronimi pessoani, dalle identità plurime, dalle strutture mentali, astratte, che vivono nella mente di un autore che invoca il suo duplicato, offrendogli una vita reale e una coscienza, almeno letteraria. Gli studi su Luigi Pirandello, su Bertolt Brecht, su Franz Kafka, su Bernard Shaw, su Jorge Luis Borges, su Fernando Pessoa, su José Saramago hanno orientato il suo pensiero e a questi straordinari scrittori ha dedicato negli anni Settanta alcune opere. Era una visione che parlava dell’uomo, e lo faceva con il peso della coscienza. Sono letterature dure e incerte per soggetti reali e drammatici, isolati nella loro ragione che indaga, percepisce, scruta con ingegno e razionalità il mondo. Eppure, da questa ragione nella sua pittura è rimasta la lacuna, le parti perdute di un mondo forse da ricostruire. Da queste premesse sono nate le Carte ritrovate. Nel suo operare è solito mettere sotto le tele su cui lavora fogli di carta comune, di colore giallo-ocra. Alla fine del processo ideativo rimanevano delle macchie, delle colature casuali su cui è intervenuto successivamente. Sono nate così, reinterpretando i segni di un mondo possibile, mappe concettuali di un mediterraneo a lui caro, diagrammi del tempo, figure mitologiche, racconti e frammenti di un suo immaginario sviluppato in decenni di attività. Queste Carte ritrovate raccontano, in maniera sostanziale, la sua visione dell’arte, in cui le sostanze sono sottese e il suo lavoro consiste nel farle emergere, al pari della attività di un archeologo.
Nicola Marotta è nato a Brusciano (Napoli) il 22/08/1936. Ha compiuto gli studi di magistero presso l'Istituto statale di Napoli, sezione pittura. Successivamente ha frequentato corsi parziali di scultura, pittura e nudo nell' Accademia delle Belle Arti della stessa città. Nel 1962 si è trasferito ad Alghero dove attualmente opera.
Sito web: http://nicolamarotta.it
26
maggio 2023
Nicola Marotta – Carte Ritrovate
Dal 26 maggio all'undici giugno 2023
arte contemporanea
Location
BONAIRE CONTEMPORANEA
Alghero, Via Principe Umberto, 39, (Sassari)
Alghero, Via Principe Umberto, 39, (Sassari)
Orario di apertura
da venerdì a domenica ore 19-22
Vernissage
26 Maggio 2023, ore 19
Autore
Autore testo critico