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Tindaro Calia – Il senso della figurazione
Una selezione di dipinti eseguiti negli anni più recenti con la tecnica dell’olio su tela o su carta che raffigurano figure di ragazzi, modelle, nudi femminili, soldati ucraini…
Comunicato stampa
Segnala l'evento
La Galleria “Arianna Sartori. Arte & Object Design” di Mantova, nella sala di via Ippolito Nievo 10, presenterà una nuova interessante mostra personale dell’Artista Tindaro Calia.
La mostra intitolata “Il senso della figurazione”, curata da Arianna Sartori e con presentazione di Giorgio Seveso, si inaugura Sabato 10 giugno alle ore 18.00 alla presenza dell’artista e rimane aperta al pubblico fino al prossimo 22 giugno 2023.
Il senso della figurazione
Conosco Tindaro dalla fine degli anni 70, quando, freschissimo di studi, assieme a qualche collega e amico coetaneo, rappresentava qui da noi con la sua pittura intensamente espressiva un momento polemico di viva resistenza contro la marea montante della superficialità culturale tipica della “Milano da bere” di quell’epoca. Erano gli anni delle tendenze concettuali di rifiuto della pittura, allora di gran moda, e dell’edonismo delle affermazioni della transavanguardia, nel suo effimero e opportunistico uso dell’immagine dipinta, cui quei giovanissimi artisti si opponevano con l’energia debordante della loro figurazione impegnata, invece, su un terreno di verità esistenziali.
Ricordo ancora molto bene i suoi quadri di quegli anni. C’era in lui come una sorta di febbrile decisione a scavare nella polpa viva della figura umana, a rivelarne i succhi più intimi e riposti senza mai perdere di vista il soggetto di fondo e la sua verità effettiva, senza consentire che l’enfasi espressionistica montasse a tal punto da diventare fine a se stessa.
Una cosa è certa: a cinquant’anni di distanza quella sua giovanile, incalzante determinazione non si è appannata né calmata. Al centro del suo cuore e della sua sensibilità d’artista continua a esserci il corpo umano, come specchio sintesi di ogni sentimento e di ogni giudizio, come ragione di ogni poetica. E c’è sempre, nel suo sguardo lirico, un sentimento di totale responsabilità verso la pittura, il rigore di una puntigliosa affermazione figurativa, dove il problema dell’espressione non è solo affare di gusto, non è solo talento della mano o tensione lirica, ma è di più: è dipingere devolvendo agli occhi dello spettatore prima di tutto se stesso e la propria sensibilità, la consapevolezza empirica del proprio stare al mondo con gli occhi e il cuore spalancati a sentire, a capire, a sapere le condizioni, le contraddizioni e i limiti di ciò che siamo.
Ciò che oggi è cambiato, piuttosto, è qualcos’altro. É il senso acuto della sua estensione espressiva, l’avvertita e reale portata delle deformazioni, che nel suo dipingere attuale non appaiono come possibili trasfigurazioni, come arbitrarietà o “licenze”, ma sono, invece, sobrie prosciugazioni di un gesto, di una postura o di una prospettiva, con un loro clima esatto e puntuale, con tutta una loro misura di frantumazione sentimentale.
Le sue odierne apparizioni figurali, proprio nella loro precarietà, nella loro fragilità trafitta, nella loro dimessa verità, sono appunto geometrie emotive ricostruite al calore di una visione che dimostra di aver compreso quanto e come le apparenze della realtà siano, in arte, uno dei tramiti più efficaci, se non l’unico possibile, per impadronirsi a fondo della realtà stessa, per poterne fare poesia d’immagine senza tradimenti e senza letteratura.
Credo sia proprio questa consapevolezza a muovere da sempre la mano di Tindaro, a orientarne da pittore le passioni e le attenzioni verso un figurativo preciso e nitido ma al tempo stesso aperto, libero, impetuoso, scevro da vincoli e diplomazie stilistiche, solo attento alle interne nervature della psiche, sismografo sensibile a registrarne le emozioni, il sentimento.
Sì, perché la pittura e il disegno sono evidentemente, per lui, il modo più completo e coerente di relazionarsi con la vita e con i suoi accadimenti, i suoi protagonisti, le sue apparizioni. Sono gli occhi con cui guardare all’animo e agli umori, al sedimentare delle vicende, al trascorrere del tempo.
Da sempre per lui è così, da quando ritraeva i suoi compagni e i suoi amici di gioventù in grandi figure realistiche eppure fantastiche, colme d’espressione ribollente e di partecipazione emozionata. Erano appunto ritratti, come del resto anche ora, ma grandi e perentori, incombenti a grandezza più che naturale, meditabondi, talvolta imbronciati. Ombrosi e attoniti, quelle immagini di ragazzi, di amici e di amiche rappresentati in piedi o seduti nello studio, trovavano una sorta di ieratica solennità in una loro consistenza di larghe materie aggrondate, sciolte e veloci, addirittura disinvolte ma, sempre, sensibili.
E dunque anche oggi, per lui, c’è lo stesso empito figurativo, c’è un identico fervore d’espressione testimoniale. C’è la semplicità del figurare, inteso come profondissima metafora del reale capace di contenerne le inaudite complessità: dipinti interpretati, trasfigurati, tirati fino al limite del vero nel pensiero assorto ispirato dalla cronaca del presente dei loro protagonisti e protagoniste, dall’avventura mutevole delle loro vite. E davvero lo sguardo affilato e inquieto del pittore penetra sotto le garze della cronaca e della memoria, ne svela l’attualità dimessa e quotidiana, le geometrie formali del dolore e della disperazione mentre ognuno di loro percorre il suo “fiume carsico” d’oblìo e dissolvenza.
Ne restituisce liricamente, insomma, le tracce di luce e di ombra, i palpiti di speranza e disincanto tramite una pittura di densa presenza e di fascino pensieroso, silenziosamente eloquente, commossa, penetrante.
Giorgio Seveso
Tindaro Calia è nato a Segrate (Mi) nel 1956. Insegna presso il Liceo Artistico di Lodi, esercitando una apprezzata attività di sviluppo delle sensibilità grafiche ed espressive dei suoi alunni.
Prima ancora che artista serio ed impegnato, è uomo colto, preparato ed aggiornato, che può vantare un ricco patrimonio culturale, frutto di anni di lavoro, di ricerca e di perfezionamento. Tindaro privilegia innanzitutto il mondo delle verità, dei sentimenti e delle emozioni.
A tale scopo Tindaro Calia non tralascia di sperimentare sulla tela nulla di tutto quello che è ed è stato il bagaglio delle sue esperienze sia nel mondo dell'arte che in altri ambiti lavorativi, esperienze che in parte risalgono fino agli anni giovanili, quando insieme ai suoi amici pittori, cercava di far affermare una concezione dell'arte pittorica non necessariamente allineata con le mode dell'epoca.
Gli anni '70 sono, così, per Calia anni di profonda ricerca culturale, di discussione e di incontri fatti negli studi dei suoi giovani colleghi a lui affini per pensiero, inclinazioni, iniziative e sensibilità; ma sono, anche, anni di studio, di letture, riflessioni ed esperienze di lavoro fatte nei più svariati ambiti del mondo dell'arte.
Va ricordato, infatti, quanto importante sia stato per lui l'aver partecipato alla messa in scena di rappresentazioni teatrali con la regia di Giorgio Streheler, come "La Tempesta" e il "Nost Milan", al teatro "Piccolo" di Milano.
L'incontro con il grande regista e la continua frequentazione della messa in scena di alcuni suoi spettacoli, in qualità di aiuto scenografo, sono stati avvenimenti che hanno lasciato in Tindaro Calia una ricchezza di apprendimenti validi alla produzione artistica odierna del pittore.
Attraverso quella particolare attività teatrale il Calia non solo ha compreso i significati e le qualità della messa in scena, ed ha apprezzato la capacità straordinaria del saper ricreare nell'ambiente scenico realtà storiche dal forte richiamo evocativo, soltanto ricorrendo all'uso degli strumenti scenografici, dove anche semplici oggetti o particolari effetti luminosi avevano una loro valenza teatrale, ma ha anche e soprattutto arricchito il suo patrimonio spirituale di tutte quelle emozioni che vanno dal senso del fantastico, del suggestivo, del mistero e del magico alla percezione ben più profonda della grandiosità dello spazio scenografico, in cui si realizzano lavori carichi di significati e di valori umani. Tutte queste esperienze hanno segnato positivamente l'artista. È opportuno ricordare in questa occasione anche l'excursus artistico del Calia attraverso le sue mostre più importanti e la partecipazione a concorsi che gli hanno conferito riconoscimenti e premi di alto valore artistico.
Partendo dall'esordio del lontano 1979, in cui viene selezionato dal critico Mario De Micheli che propose una mostra collettiva alla Fondazione Corrente "Esperienza immagine", Milano, progressivamente è stato un crescendo di premi e riconoscimenti in concorsi e mostre collettive, negli anni che vanno dal 1981 ad oggi. Si svolgerà in quell'anno la sua prima personale alla Galleria San Fedele di Milano, in seguito alla selezione della precedente collettiva "San Fedele - Quadro giovani". Il gallerista Vincenzo Palmieri conosciuto nel 1987, promorrà nel 1991 la sua attività, facendolo partecipare ad "Arte contemporanea, al Castello di Sartirana". Seguiranno in questi anni attività espositive con inviti e manifestazioni collettive varie, promosse dai critici Giorgio Seveso e Carlo Franza, tra cui emergono la partecipazione alla manifestazione "Arte giovane in Lombardia", organizzata da Giorgio Seveso e Rossana Bossaglia. Nel 1992 organizza una sua mostra alla Galleria Airone a Messina e alla Galleria Bonaparte di Milano, mentre nel 1996 partecipa alla manifestazione "Figurazioni", arte di immagine in Lombardia, svoltasi al Museo della Permanente di Milano. Carlo Franza lo inviterà, invece, nel 1988 alla collettiva da lui curata al Palazzo Benvenuti di Mondonico e nello stesso anno a Palazzo Litta di Lainate. Dal 1998 le sue opere sono esposte in permanenza nella Pinacoteca Comunale d'arte contemporanea di Ruffano (Le) e nella Fondazione di Don Tonino Bello di Alessano (Le). In questo stesso anno inizia la collaborazione con il critico Renato Valerio e si assiste alla sua partecipazione alle rassegne di pittura murale di "Casoli Pinta", comune di Atri (Te). Segue l'invito nel 1999 a partecipare alla realizzazione di una pittura murale a Foza sull'altopiano di Asiago (Vi).
I suoi quadri sono presenti in collezioni pubbliche e private.
La mostra intitolata “Il senso della figurazione”, curata da Arianna Sartori e con presentazione di Giorgio Seveso, si inaugura Sabato 10 giugno alle ore 18.00 alla presenza dell’artista e rimane aperta al pubblico fino al prossimo 22 giugno 2023.
Il senso della figurazione
Conosco Tindaro dalla fine degli anni 70, quando, freschissimo di studi, assieme a qualche collega e amico coetaneo, rappresentava qui da noi con la sua pittura intensamente espressiva un momento polemico di viva resistenza contro la marea montante della superficialità culturale tipica della “Milano da bere” di quell’epoca. Erano gli anni delle tendenze concettuali di rifiuto della pittura, allora di gran moda, e dell’edonismo delle affermazioni della transavanguardia, nel suo effimero e opportunistico uso dell’immagine dipinta, cui quei giovanissimi artisti si opponevano con l’energia debordante della loro figurazione impegnata, invece, su un terreno di verità esistenziali.
Ricordo ancora molto bene i suoi quadri di quegli anni. C’era in lui come una sorta di febbrile decisione a scavare nella polpa viva della figura umana, a rivelarne i succhi più intimi e riposti senza mai perdere di vista il soggetto di fondo e la sua verità effettiva, senza consentire che l’enfasi espressionistica montasse a tal punto da diventare fine a se stessa.
Una cosa è certa: a cinquant’anni di distanza quella sua giovanile, incalzante determinazione non si è appannata né calmata. Al centro del suo cuore e della sua sensibilità d’artista continua a esserci il corpo umano, come specchio sintesi di ogni sentimento e di ogni giudizio, come ragione di ogni poetica. E c’è sempre, nel suo sguardo lirico, un sentimento di totale responsabilità verso la pittura, il rigore di una puntigliosa affermazione figurativa, dove il problema dell’espressione non è solo affare di gusto, non è solo talento della mano o tensione lirica, ma è di più: è dipingere devolvendo agli occhi dello spettatore prima di tutto se stesso e la propria sensibilità, la consapevolezza empirica del proprio stare al mondo con gli occhi e il cuore spalancati a sentire, a capire, a sapere le condizioni, le contraddizioni e i limiti di ciò che siamo.
Ciò che oggi è cambiato, piuttosto, è qualcos’altro. É il senso acuto della sua estensione espressiva, l’avvertita e reale portata delle deformazioni, che nel suo dipingere attuale non appaiono come possibili trasfigurazioni, come arbitrarietà o “licenze”, ma sono, invece, sobrie prosciugazioni di un gesto, di una postura o di una prospettiva, con un loro clima esatto e puntuale, con tutta una loro misura di frantumazione sentimentale.
Le sue odierne apparizioni figurali, proprio nella loro precarietà, nella loro fragilità trafitta, nella loro dimessa verità, sono appunto geometrie emotive ricostruite al calore di una visione che dimostra di aver compreso quanto e come le apparenze della realtà siano, in arte, uno dei tramiti più efficaci, se non l’unico possibile, per impadronirsi a fondo della realtà stessa, per poterne fare poesia d’immagine senza tradimenti e senza letteratura.
Credo sia proprio questa consapevolezza a muovere da sempre la mano di Tindaro, a orientarne da pittore le passioni e le attenzioni verso un figurativo preciso e nitido ma al tempo stesso aperto, libero, impetuoso, scevro da vincoli e diplomazie stilistiche, solo attento alle interne nervature della psiche, sismografo sensibile a registrarne le emozioni, il sentimento.
Sì, perché la pittura e il disegno sono evidentemente, per lui, il modo più completo e coerente di relazionarsi con la vita e con i suoi accadimenti, i suoi protagonisti, le sue apparizioni. Sono gli occhi con cui guardare all’animo e agli umori, al sedimentare delle vicende, al trascorrere del tempo.
Da sempre per lui è così, da quando ritraeva i suoi compagni e i suoi amici di gioventù in grandi figure realistiche eppure fantastiche, colme d’espressione ribollente e di partecipazione emozionata. Erano appunto ritratti, come del resto anche ora, ma grandi e perentori, incombenti a grandezza più che naturale, meditabondi, talvolta imbronciati. Ombrosi e attoniti, quelle immagini di ragazzi, di amici e di amiche rappresentati in piedi o seduti nello studio, trovavano una sorta di ieratica solennità in una loro consistenza di larghe materie aggrondate, sciolte e veloci, addirittura disinvolte ma, sempre, sensibili.
E dunque anche oggi, per lui, c’è lo stesso empito figurativo, c’è un identico fervore d’espressione testimoniale. C’è la semplicità del figurare, inteso come profondissima metafora del reale capace di contenerne le inaudite complessità: dipinti interpretati, trasfigurati, tirati fino al limite del vero nel pensiero assorto ispirato dalla cronaca del presente dei loro protagonisti e protagoniste, dall’avventura mutevole delle loro vite. E davvero lo sguardo affilato e inquieto del pittore penetra sotto le garze della cronaca e della memoria, ne svela l’attualità dimessa e quotidiana, le geometrie formali del dolore e della disperazione mentre ognuno di loro percorre il suo “fiume carsico” d’oblìo e dissolvenza.
Ne restituisce liricamente, insomma, le tracce di luce e di ombra, i palpiti di speranza e disincanto tramite una pittura di densa presenza e di fascino pensieroso, silenziosamente eloquente, commossa, penetrante.
Giorgio Seveso
Tindaro Calia è nato a Segrate (Mi) nel 1956. Insegna presso il Liceo Artistico di Lodi, esercitando una apprezzata attività di sviluppo delle sensibilità grafiche ed espressive dei suoi alunni.
Prima ancora che artista serio ed impegnato, è uomo colto, preparato ed aggiornato, che può vantare un ricco patrimonio culturale, frutto di anni di lavoro, di ricerca e di perfezionamento. Tindaro privilegia innanzitutto il mondo delle verità, dei sentimenti e delle emozioni.
A tale scopo Tindaro Calia non tralascia di sperimentare sulla tela nulla di tutto quello che è ed è stato il bagaglio delle sue esperienze sia nel mondo dell'arte che in altri ambiti lavorativi, esperienze che in parte risalgono fino agli anni giovanili, quando insieme ai suoi amici pittori, cercava di far affermare una concezione dell'arte pittorica non necessariamente allineata con le mode dell'epoca.
Gli anni '70 sono, così, per Calia anni di profonda ricerca culturale, di discussione e di incontri fatti negli studi dei suoi giovani colleghi a lui affini per pensiero, inclinazioni, iniziative e sensibilità; ma sono, anche, anni di studio, di letture, riflessioni ed esperienze di lavoro fatte nei più svariati ambiti del mondo dell'arte.
Va ricordato, infatti, quanto importante sia stato per lui l'aver partecipato alla messa in scena di rappresentazioni teatrali con la regia di Giorgio Streheler, come "La Tempesta" e il "Nost Milan", al teatro "Piccolo" di Milano.
L'incontro con il grande regista e la continua frequentazione della messa in scena di alcuni suoi spettacoli, in qualità di aiuto scenografo, sono stati avvenimenti che hanno lasciato in Tindaro Calia una ricchezza di apprendimenti validi alla produzione artistica odierna del pittore.
Attraverso quella particolare attività teatrale il Calia non solo ha compreso i significati e le qualità della messa in scena, ed ha apprezzato la capacità straordinaria del saper ricreare nell'ambiente scenico realtà storiche dal forte richiamo evocativo, soltanto ricorrendo all'uso degli strumenti scenografici, dove anche semplici oggetti o particolari effetti luminosi avevano una loro valenza teatrale, ma ha anche e soprattutto arricchito il suo patrimonio spirituale di tutte quelle emozioni che vanno dal senso del fantastico, del suggestivo, del mistero e del magico alla percezione ben più profonda della grandiosità dello spazio scenografico, in cui si realizzano lavori carichi di significati e di valori umani. Tutte queste esperienze hanno segnato positivamente l'artista. È opportuno ricordare in questa occasione anche l'excursus artistico del Calia attraverso le sue mostre più importanti e la partecipazione a concorsi che gli hanno conferito riconoscimenti e premi di alto valore artistico.
Partendo dall'esordio del lontano 1979, in cui viene selezionato dal critico Mario De Micheli che propose una mostra collettiva alla Fondazione Corrente "Esperienza immagine", Milano, progressivamente è stato un crescendo di premi e riconoscimenti in concorsi e mostre collettive, negli anni che vanno dal 1981 ad oggi. Si svolgerà in quell'anno la sua prima personale alla Galleria San Fedele di Milano, in seguito alla selezione della precedente collettiva "San Fedele - Quadro giovani". Il gallerista Vincenzo Palmieri conosciuto nel 1987, promorrà nel 1991 la sua attività, facendolo partecipare ad "Arte contemporanea, al Castello di Sartirana". Seguiranno in questi anni attività espositive con inviti e manifestazioni collettive varie, promosse dai critici Giorgio Seveso e Carlo Franza, tra cui emergono la partecipazione alla manifestazione "Arte giovane in Lombardia", organizzata da Giorgio Seveso e Rossana Bossaglia. Nel 1992 organizza una sua mostra alla Galleria Airone a Messina e alla Galleria Bonaparte di Milano, mentre nel 1996 partecipa alla manifestazione "Figurazioni", arte di immagine in Lombardia, svoltasi al Museo della Permanente di Milano. Carlo Franza lo inviterà, invece, nel 1988 alla collettiva da lui curata al Palazzo Benvenuti di Mondonico e nello stesso anno a Palazzo Litta di Lainate. Dal 1998 le sue opere sono esposte in permanenza nella Pinacoteca Comunale d'arte contemporanea di Ruffano (Le) e nella Fondazione di Don Tonino Bello di Alessano (Le). In questo stesso anno inizia la collaborazione con il critico Renato Valerio e si assiste alla sua partecipazione alle rassegne di pittura murale di "Casoli Pinta", comune di Atri (Te). Segue l'invito nel 1999 a partecipare alla realizzazione di una pittura murale a Foza sull'altopiano di Asiago (Vi).
I suoi quadri sono presenti in collezioni pubbliche e private.
10
giugno 2023
Tindaro Calia – Il senso della figurazione
Dal 10 al 22 giugno 2023
arte contemporanea
personale
personale
Location
GALLERIA ARIANNA SARTORI
Mantova, Via Cappello, 17 , (Mantova)
Mantova, Via Cappello, 17 , (Mantova)
Orario di apertura
dal Lunedì al Sabato 10.00-12.30 / 15.30-19.30, Domenica chiuso
Vernissage
10 Giugno 2023, ore 18.00
Autore
Curatore
Autore testo critico