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Othello tango: la tragedia di Shakespeare, nei passi di Luciano Padovani
Danza
Si svolge davanti a un fondale astratto, somigliante a un muro sbrecciato, che muterà colore, prevalentemente rosso. Come la passione, l’amore che brucia nel petto dei due amanti immortalati da Shakespeare nell’ “Otello”, fino a consumarli. Rosso squillante è anche il colore di quasi tutti i costumi dei personaggi. Nero, invece, quello del perfido Jago, il manipolatore che con la sua doppiezza muoverà le passioni dominando di fatto l’Otello passivo e incerto reso da lui schiavo consumato dalla gelosia. Bianco è il colore delle molte Desdemona che vediamo, in apertura di spettacolo, entrare e sdraiarsi a terra, poi sollevate da figure nere e senza volto che le culleranno e le porteranno via come corpi senza più vita. È subito il presagio del funesto destino che attende l’innocente e inconsapevole Desdemona, la giovane moglie del Moro, destinata a soccombere stretta dalle sue mani.
È a tutti nota la tragedia del Bardo, vicenda dalla quale il coreografo Luciano Padovani ha tratto ispirazione declinandola in quella che è una delle sue cifre creative, ovvero il tango. Una contaminazione, in parte, che ben si amalgama col linguaggio più propriamente contemporaneo che egli innesta nei passi tipici del ballo argentino, e mettendo in dialogo i movimenti dei danzatori della compagnia Naturalis Labor, con quelli di tre coppie di tangueros. Sulla scena si alternano, tra ingressi e uscite, ad assoli, duetti, terzetti, unisoni, con scambi e raggruppamenti, evocando personaggi, luoghi, suggerendo situazioni e passi struggenti sulle note di Astor Piazzolla o di Pablo Garcia.
Sono però ben altre le musiche che determinano il climax emotivo di questa storia di per sé lineare ma spesso ardua nel trovare le giuste atmosfere qualora si ambisca a scavalcare il tempo della sua ambientazione. La scorrevole scrittura drammaturgica e coreografica di questo “Othello tango” firmato da Padovani (al Teatro Verdi di Padova), si avvale di un efficace mix musicale che va da Vivaldi a Jóhann Jóhannsson, da MachineFabrieck al suggestivo brano da “Les Cathédrales” di Matthieu Saglio dove il violoncello trionfa in solitudine su richiami bachiani.
Padovani, nello sviluppo progressivo della chiara trama, fa emergere nella sua coreografia l’effettiva forza espressiva, il sottotesto emozionale, innervando la vicenda di Shakespeare di spunti graffianti, di gesti veloci e allusivi, specie nella travolgente sequenza dell’esplosiva gelosia finale di Otello verso Desdemona: una danza di movimenti violenti, di gesti fatali, in una lotta senza soste tra prese, cadute, strattonamenti, che dicono tutta la passione d’amore e tutto il folle accecamento che il tarlo della gelosia produce, “quel mostro dagli occhi verdi che si diletta col cibo di cui si nutre”, fino a segnare la morte dell’oggetto amato e dello stesso Otello, che si accascia a terra spento da una stretta di braccia di una delle figure nere, simulando così il darsi da solo la morte.
Sono intensamente credibili nel trasporto fisico ed emotivo, sensuale e distruttivo, dei ruoli, i bravi Jessica D’Angelo e Giuseppe Morello, a cui si aggiungono l’incisivo Andrea Rizzo nel ruolo di Jago, Roberta Piazza e Loredana De Brasi.