31 maggio 2023

Il corpo è molteplice. “Le identità mutanti” nel nuovo libro di Francesca Alfano Miglietti

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Il libro di Francesca Alfano Miglietti, alla sua seconda ristampa, offre un’analisi aggiornata di un “corpo” eternamente sottoposto al cambiamento, anche alla luce degli accadimenti post pandemici

Brazil, Terry Gilliam, 1985.

Pubblicato per la prima volta nel 1994, recentemente dato ad una seconda ristampa da Shake edizioni, Identità mutanti, Contaminazioni tra corpi e macchine, carne e tecnologia nelle arti contemporanee di Francesca Alfano Miglietti è stato definito sin dalla sua prima edizione la “Bibbia” delle contaminazioni e degli scenari performativi dell’età contemporanea. Identificato e riconosciuto nel tempo come il manifesto tra universi teorici della mutazione, il volume indaga, fin dal principio, la relazione costituente I principi di “identità” e “corpo” secondo l’esigenza di reinventare, il rapporto io/altro, all’interno di una prospettiva di mutazione antropologica e di un passaggio al trans e post-umano.

Diviso in tre capitoli, presenta un’introduzione della stessa FAM, la prefazione di Lea Vergine, la postfazione di Franco Berardi Bifo e un’appendice dove confluiscono due conversazioni tra la stessa autrice e altri artisti. Se già nella prima edizione era stato chirurgicamente distinto il criterio di “molteplicità” del corpo, analizzandolo nella prospettiva metamorfica delle pratiche artistiche e performative, questa seconda edizione si innesta in continuità, soffermandosi sullo sconfinamento delle possibilità biologiche, per il conseguimento di una propria autorappresentazione.

Fura dels Baus, Suz/o/Suz, Madrid, 1985, foto di E. Gomma Guarneri

L’arte visiva e performativa, ma anche la letteratura e la cinematografia a cui FAM attinge, non costituiscono l’oggetto del testo, sebbene osservate in maniera esemplarmente analitica e acutamente storico – critica, bensì diventano infospazio di ciò che si dispiega fuori dalle costrizioni dell’addestramento culturale tout court.  <<Una schizoide cartografia delle micromutazioni sensibili di cui l’arte è testimone>> la definisce Bifo. Un’affermazione ontologica dell’arte stessa, spazio immateriale e generativo di immaginazione.

La molteplicità dell’immagine “corpo” è il risultato di una metodologia di ricerca che l’autrice, con una scrittura magmatica, riversa tra le pagine utilizzando il prelievo, lo slittamento di senso, il campionamento, il missaggio, lo shifting.

Come possiamo, non interrogarci su quanto sia indispensabile rivedere la nozione di identità in relazione a fattori quali la perdita del reale, il superamento di concezioni binarie e oppositive, l’accelerazione dei processi comunicativi, la metamorfosi politico-economica? A questo sembra rispondere già un’oracolare Lea Vergine: <<il corpo è multi-identitario e gli umani sono pronti a modificarsi per il futuro>>. Avanzava già la prospettiva di quell’intersezionalismo harawayano che intravede nella contaminazione tra tecnologia, generi e natura l’unica mutazione per una sopravvivenza possibile.

A seguito dei due anni di pandemia è emerso un altro tipo di corpo, quello umano, fragile e vulnerabile, esposto ancora a malattie, a cui fanno seguito la guerra, i disastri umanitari ed energetici, quelli tecnologici e non ultimi i cambiamenti climatici, corpi anch’essi. Sotto questi fattori di spinta, l’identità continua a rivelarsi terreno mobile e precario, soprattutto a partire dalla considerazione che gli individui, fino a poco tempo fa, non avevano potuto scegliere nulla dei tratti della propria identità: non la sessualità, non la razza, non lo stato sociale, non le malattie o la morfologia. Il corpo si conferma l’avamposto dei nuovi processi di definizione dell’identità. Ed ecco, quindi, che si rivelano profetici i capitoli scritti e pubblicati in precedenza, come quello dedicato all’“umano”, mortale, suscettibile di malattie della carne, ma teso a istituire un’incipiente relazione con i sistemi tecno-comunicativi.

Jana Sterbak, Generic Man, 1987
Mark Pauline (Survival Research Laboratories) con la sua Running Machine, 1993

FAM rintraccia nei body artist degli anni ‘60 la spinta ad usare il corpo come segno primario di rivolta. Sono i paesaggi del corpo quelli che Vito Acconci usa per la prima volta nel 1969, trasformando il corpo in medium assoluto, attraverso cui l’artista trasforma se stesso e la propria immagine. L’utilizzo del corpo come mezzo di espressione artistica viene dirottato verso l’esperienza tecno-mutativa. L’idea di corporeità spinta verso i suoi limiti sfalda le forme del pensiero, sgretolandone, inevitabilmente il senso intrinseco.

Gli anni ‘80 e ‘90, forieri di uno sconfinamento estetico che diviene connessione satellitaria, tratteggiano nel mondo delle arti performative quello che era il bordo già superato, lo spazio oltre il quale, non più entro cui, accadevano cose e cessavano al contempo di esisterne altre, come le categorie e le istanze culturali ormai fatte esplodere. Così, le azioni performative di artisti come Franko B o le fotografie di Andres Serrano, allargano le maglie dell’identità moltiplicata, condensandole in repliche del sé come fa Cindy Sherman.

Il limite biologico su cui la body art avvia una riflessione estende le sue propaggini verso l’incontro fulminante con l’innovazione tecnologica, portando il corpo in costruzione ad un’ibridazione tra organico e inorganico, fantastica, eppure concreta. È la compenetrazione tra corpo e tecnologia che chiarisce il senso di questa nuova dimensione all’interno della cultura contemporanea, tessuto su cui la nuova edizione del libro posa ulteriormente la lente. Il corpo mutante segna il passaggio a una identità in fibrillante metamorfosi, quella del corpo contemporaneo, mappa topografica su cui le ibridazioni inorganiche possono innestarsi. Questo corpo multiplo è il luogo di concatenamenti macchinici, incrocio tra carne e tecnologia, forma alterata di una nuova fenomenologia estetica. Il cybercorpo scavalca il sistema di produzione postindustriale, ed è intento a reinventare le geometrie politiche, riorganizzare lo sviluppo tecnologico in termini di biopotere, all’interno del quale si determinano il dibattito scientifico e l’immaginario culturale che lo fiancheggia. Una corporeizzazione tecnologica e una corporeità tecnologizzata, che spodesta le identità costituite e ridisegna la soggettività mutante.

Mutoid Waste Company

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