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Un pianoforte dalla spalla al polso: Ramona Ponzini da FuturDome
Arti performative
di redazione
FuturDome, a Milano, chiude la stagione espositiva 22/23 con un doppio appuntamento: la live performance di Ramona Ponzini e il finissage della mostra di Marco Pietracupa, “The Vacuum Decay, inaugurata lo scorso aprile e a cura di Atto Belloli Ardessi.
La pratica di Ramona Ponzini si inscrive in un territorio ibrido, che coniuga tecniche proprie delle arti visive e letterarie, come il collage o il cut-up burroughsiano, alla sperimentazione sonora e all’improvvisazione di stampo noise e jazzistico. Ponzini esordisce nel 2005 con il progetto Painting Petals On Planet Ghost, incentrato sulla poesia giapponese come fonte privilegiata di testi musicabili, che approda su PSF Records, etichetta nipponica di culto di artisti quali Keiji Haino e Kaoru Abe. Negli anni collabora con figure del calibro di Lee Ranaldo dei Sonic Youth, Tom Greenwood dei Jackie-O Motherfucker, e con il percussionista industrial Z’ev. Il progetto solista, sviluppato a partire dal 2016, consiste in inusuali Dj set contaminati da interazioni vocali e in collage sonori.
Nel 2018 è resident dj alle OGR di Torino nell’ambito della mostra Dancing is what we make of falling, curata da Samuele Piazza e Valentina Lacinio. Nel 2019 realizza un vinile e una performance dedicati all’opera di Salvo, presentati dalla Galleria Norma Mangione e durante la mostra Autoritratto come Salvo al MACRO – Museo d’Arte Contemporanea di Roma (2022). La sua ultima produzione, frogs.picus.VANNA (2021) è un’installazione sonora a tre canali commissionata dal Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea.
La performance a FuturDome, Un pianoforte dalla spalla al polso, è un collage sonoro ispirato alla necessità dell’ibridazione e della contaminazione tra discipline, sull’urgenza dell’espressione musicale anche laddove il suono non sembra possibile. Una meditazione sonora in divenire, sempre uguale a sé stessa ma sempre diversa, che affonda le sue radici nella pratica dell’Om Dhyanam.
Negli stessi spazi, Marco Pietracupa presenta una serie di immagini create durante il primo lockdown di marzo 2020. Il fienile della sua casa, forzatamente riconvertito in set fotografico, si trasforma in una sorta di osservatorio cosmogonico in cui il decadimento del vuoto diventa l’attivatore per un ciclo di ritratti alla sua famiglia e ai parenti stretti che condividevano ineluttabilmente le stesse mura. I corpi senza volto, fotografati davanti a un green screen cinematografico, restano in attesa dell’evento ultimo, decadendo come massa generativa del vuoto che li annullerà. Le immagini esposte rappresentano l’effettiva realizzazione dei molteplici stati dell’essere. Sono l’emancipazione del macabro che teme l’instabilità del nostro vuoto. Corpi e cose sono rapiti dalla logica della scomparsa e costretti a una vigilia estenuante.
Sebbene in diverse scuole di pensiero religioso il corpo rappresenti un elemento adatto solo alla mortificazione attraverso esperienze spesso ripugnanti e dolorose, in “The Vacuum Decay” esso riposa nello spazio e persiste in esso solo come oggetto che lo attraversa e lo trapassa. Essere consapevoli delle molteplici volte in cui si è vissuta la propria giovinezza, rende conto di Pietracupa come un’estensione del proprio sgomento.