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Una ragnatela di spostamenti: ZugZwang al Teatro Basilica di Roma
Danza
Un dilatato, poi ritmato slow-motion di posture, di gesti quieti che si sagomano e scompaiono, si bloccano e riprendono; assumono forme minimaliste, profili esili, linee sbilenche di braccia mani e gambe; rotture e ricomposizioni fisiche, contrazioni del busto. Gesti ripetuti, cadenzati, che racchiudono una memoria famigliare. A essi se ne aggiungono man mano altri accompagnati da piccoli spostamenti nel rimandare l’uno all’altro lo scatto corporeo ed emotivo, che dallo stallo suggerisca un’azione. Nelle intenzioni del loro “ZugZwang”, i danzatori e coreografi Elisabetta Lauro e Gennaro Andrea Lauro (dai percorsi diversi, e attivi tra Germania, Francia e Italia, qui con produzione Sosta Palmizi) si ispirano alla struttura del gioco degli scacchi dello ZugZwang, «…Da quel momento in cui, tecnicamente, il giocatore è obbligato a fare una mossa, benché muovere non gli porterà alcun vantaggio né lo farà avanzare», per costruire una ragnatela inestricabile di semplici combinazioni di movimenti, di incrinature fisiche atte a intessere una relazione che dall’inerzia attivi dinamiche, slanci e ricordi, per aprire spiragli vitali.
I Lauro, ci dicono nelle note programmatiche, di essere due individui, fratello e sorella, pedine all’interno di una scacchiera della quale provano a disinnescare il gioco piegandone le regole, superando enigmi da decifrare. «Trasposta in altri ambiti della vita, la sintassi della scacchiera ci ricorda una certa logica costrittiva che definisce la nostra identità, la nostra presenza nel mondo, il disegno gerarchico di relazioni in cui siamo cresciuti e quindi le nostre presunte possibilità».
Li vediamo appena distanti l’uno dall’altra imperturbabili nel viso, muoversi inizialmente in silenzio ciascuno nella propria solitaria segmentazione degli arti, testa compresa, che ricorda dei segni vicini al Tai Chi, quasi a modellare una ricerca di armonia ed equilibrio nel progressivo agire. Graduale è anche il suono provenire dal fondo di una consolle guidata dal musicista Amedeo Monda, un’interferenza che giunge a smuovere la staticità della coppia e attivare un dialogo sonoro alternato, stridente o appena udibile, che parte dall’armonica a bocca, segue campionamenti elettronici, e cenni di chitarra. Quando il suono pulsante cede il posto alla canzone “Immensità” di Andrea Laszlo De Simone, la danza incalza con i due performer che si avvicinano, si intrecciano, si sincronizzano, si espandono, assumono espressioni facciali sancendo infine, chissà, una ritrovata libertà e unità, mentre la luce si spegne.
Al di là della concettualità simbolica della tematica sottesa, chiara o meno, abbiamo ammirato, nell’impeccabile lavoro della coppia, il rigore compositivo espresso dalla ricerca di movimento, dalla tensione che lo anima, dal plastico conflitto dei corpi nel vibrare come strumenti, sculture, infine umani.
Spettacolo visto al Teatro Basilica di Roma nell’ambito della rassegna di danza contemporanea “Nel blu”. Il 22 luglio a Perugia, Chiostro di Sant’Anna, per “Umbria Danza Festival”. Produzione Sosta Palmizi, Compagnie Meta (Francia), Cuenca/Lauro (Germania), coproduzione “Festival danza in Rete” Teatro Comunale Città di Vicenza.