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La città di Arezzo si apre alla mostra Afro. Dalla meditazione su Piero della Francesca all’Informale, curata da Marco Pierini e con il coordinamento scientifico di Alessandro Sarteanesi. Organizzata dalla Fondazione Guido d’Arezzo col Comune di Arezzo, l’esposizione dedicata a uno dei protagonisti del ’900, a livello internazionale, è realizzata in collaborazione con la Fondazione Archivio Afro, presieduta da Mario Graziani, e con Magonza.
Gli spazi della Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea di Arezzo, adiacenti alla Chiesa di San Francesco, che conserva il ciclo delle Storie della Vera Croce di Piero della Francesca, hanno rappresentato per primi una premessa per la figura di Afro Basaldella (Udine, 1912 – Zurigo, 1976) e, ora, ospiteranno un percorso inedito dell’autore. Si tratta di una ricerca che pone un possibile confronto tra la sua arte figurativa, in particolare la pittura murale, e quella classico-rinascimentale. Oltre a Piero della Francesca, il cui riferimento compare nella costruzione spaziale e aerea dell’opera, sia figurativa sia astratta, vengono citati, tra gli altri, anche gli artisti spagnoli El Greco e Goya.
Appaiono in mostra le opere d’esordio dell’autore, tra queste il Cristo morto (da Mantegna) (1932), eseguito a soli diciotto anni e pubblicato sul catalogo generale del Maestro; poi i cartoni preparatori alti sei metri, raffiguranti le Scienze e le Arti che, col contributo di Magonza e della Galleria dello Scudo di Verona, sono stati oggetto di un attento restauro. Segue il bozzetto preparatorio per Le attività umane e sociali, progettato per il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi di Roma. Poi la rilevante presenza di una serie di dipinti, come il Ciclo delle Stagioni, che, grazie al Comune di Rodi e all’intercessione dell’Ambasciata d’Italia ad Atene, sono esposti per la prima volta fuori dall’isola.
«Dimentica i pieni, cioè le figure, e osserva la perfezione delle forme dei vuoti. Impara a leggere i quadri antichi, prescindendo dalla figura, e imparerai a trovare gli stessi valori nei quadri moderni che all’apparenza non hanno un rapporto naturalistico», sostiene Afro che si riteneva un “pittore classico”. Nel momento che separa l’astrazione dalla figurazione, in cui domina “la pittura quella vera e anche un rimpianto, una nostalgia di quest’ultima”, citando le parole di Toti Scialoja, Afro sperimenta e rielabora nella sua produzione un tonalismo veneto, insinuandosi tra le trasparenze dei veneziani Giambattista Tiepolo e Tintoretto, indagando i volumi di Andrea Mantegna.
«Afro arriva ad Arezzo dopo un anno e mezzo di lavoro, e ad un anno di distanza dall’importante esposizione Afro 1950-1970 – Dall’Italia all’America, fortemente voluta da Gabriella Belli per la Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Ca’ Pesaro, alla quale ho collaborato insieme agli amici della Fondazione Archivio Afro. Riportare Afro, per una grande mostra, ad Arezzo, vicina alla mia Città di Castello e ad Alberto Burri, amico di una vita, ha risvegliato in me il ricordo di grandi imprese», spiega Alessandro Sarteanesi. «Ora questa avventura, in parte dedicata anche alla figura di Marco Vallora, affronta nel dialogo con Piero e con la storia di Arezzo la sua sfida, trovando tracce nella dichiarazione dello stesso Afro di fronte alle opere di Piero. Essa è rafforzata dallo studio e dalla messa in relazione di lavori selezionati con rigore per questa esposizione – afferenti alla decorazione murale – dal 1930 al 1958».
Dal punto di vista critico, il curatore si lega ad una profonda ammirazione della lettura di Cesare Brandi; secondo uno sguardo espositivo vi è l’intento di seguire le prospettive “intellettuali” dello stesso Afro, secondo cui i suoi quadri “dovrebbero essere illuminati direttamente dalla ‘luce del cielo’, il museo ideale è un edificio senza tetto”. La Galleria, dunque, ha sottolineato in senso quasi architettonico la “luce della materia glabra”, dialogante fra l’interno e l’esterno dell’edificio, in un dialogo espositivo fra Afro Basaldella e Piero della Francesca, fra la Galleria e San Francesco, “mappando la speranza di un mondo nuovo, un giardino non delle Esperidi, minacciose, ma delle speranze utopiche dolcemente vagheggiate.”
A corredare l’evento, un volume in doppia edizione in italiano e inglese, edito Magonza e curato da Marco Pierini e Alessandro Sarteanesi, con i contributi di William Cortès Casarrubios, Vania Gransinigh, Francesco Innamorati, Luca Nicoletti, e l’esteso apparato fotografico di Michele Alberto Sereni.