21 luglio 2023

Il caso del lampadario di Giacometti: arriva il divieto di esportazione

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Era volato da 700 sterline a 2,4 milioni a inizio anno, da Christie's. Adesso il Regno Unito emette un veto per dare la possibilità a un’istituzione locale di acquisirlo

Giacometti lampadario
Alberto Giacometti, Chandelier for Peter Watson. Courtesy of Christie’s Images Ltd. 2023

Continua l’odissea del lampadario firmato Alberto Giacometti (ve ne parlavamo qui). Il Regno Unito non rinuncia all’opera ed emette un divieto di esportazione temporaneo per dare la possibilità ad un’istituzione locale di eguagliare il prezzo per l’acquisizione del lampadario in bronzo.

Da 700 sterline a 2,4 milioni. La storia del lampadario riscoperto

Riscoperto a Londra negli anni ’60 dal pittore John Craxton in Marylebone Road, il lampadario fu acquistato dallo stesso per sole £ 700. Il pittore, passeggiando per le vie della sua città, aveva riconosciuto nella vetrina di un antiquario l’opera di Giacometti, commissionata tempo prima dal defunto amico Peter Watson, importante collezionista e mecenate britannico della prima metà del Novecento. Verso la fine degli anni ’40 (1946/47), infatti, Watson aveva incaricato l’artista svizzero di realizzare un lampadario per il suo ufficio nella sede di Horizon, testata d’avanguardia londinese. La rivista chiuse l’anno seguente e alla morte di Watson, il suo ex socio in affari, Cyril Connoly ereditò l’opera che qualche tempo dopo finì da Denton Antiques, in Marylebone Road; proprio dove verrá ritrovata quasi quindici anni dopo da Craxton. Alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 2009, la famiglia decise poi di vendere il lampadario da Christie’s.  

La vendita all’asta e la risposta del RCEWA

L’opera è stata venduta per £ 2,4 milioni ($ 2.9 milioni) alla 20th/21st Century London Evening Sale di Christie’s, lo scorso febbraio, ad un acquirente straniero che però non ha ancora potuto riceverla: il veto arriva dal Reviewing Committee on The Export of Works of Art and Objects of Cultural Interest (RCEWA) amministrato dall’Arts Council England. Il Regno Unito, infatti, può emettere divieti di esportazione se un oggetto di interesse culturale è stato nel Paese per oltre 50 anni, supera la soglia finanziaria per una licenza di esportazione generale e soddisfa almeno uno dei tre criteri Waverley, che valutano la connessione dell’oggetto con la storia e la vita della nazione, la sua importanza estetica e il suo valore culturale.

«La magistrale esplorazione dello spazio e dell’uso del bronzo di Giacometti in questo straordinario lampadario ha fornito un fulcro per la discussione culturale nella Londra del dopoguerra mentre era appeso negli uffici della rivista d’avanguardia Horizon», ha detto Stephen Parkinson, barone di Whitley Bay e ministro delle Arti e del patrimonio, in una dichiarazione. Il divieto di esportazione sarà in vigore almeno fino al 12 novembre, possibilmente seguito da un secondo periodo di differimento di quattro mesi nel caso di offerte per eguagliare il prezzo d’asta. Il costo di acquisto finale dovrà anche includere un’imposta sul valore aggiunto, o IVA, di £ 104.000 ($ 136.000). I musei e le istituzioni che offrono l’ingresso gratuito hanno diritto a un rimborso IVA. 

Preservare i “tesori nazionali”, dall’Italia alla Francia

Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un notevole aumento dei divieti di esportazione di opere d’arte in Europa, come nel caso del Mattia Preti all’asta da Artcurial (qui) e delle fragole di Jean-Baptiste-Siméon Chardin in Francia (qui). In generale, tali politiche possono avere effetti contrastanti sulla conservazione del patrimonio culturale e sulla circolazione delle opere d’arte. Da un lato, possono aiutare a preservare il patrimonio culturale di un paese e impedirne la dispersione all’estero. Dall’altro, possono limitare la circolazione delle opere d’arte e ostacolare il libero mercato, impedendo a collezionisti e musei stranieri di acquisire opere d’arte di valore storico e artistico. Ad esempio, nel caso de Il Figliol Prodigo (ca.1640) di Mattia Preti all’asta da Artcurial, l’Italia ha bloccato la vendita dell’opera, in quanto considerata un “tesoro nazionale” e come tale non può essere esportato dal paese di origine. Allo stesso modo, il Louvre ha reclamato le Il Cestino di fragole selvatiche (esposta per la prima volta al Salon nel 1761) di Chardin in Francia, appellandosi al suo valore per la nazione e chiedendone la classificazione come tesoro nazionale impedendone l’esportazione. In ogni caso, è importante trovare un equilibrio tra politiche di protezione del patrimonio e libero mercato, per garantire sia la conservazione dell’identità nazionale sia una più corretta circolazione delle opere d’arte a livello internazionale.

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