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Il Gran Teatro della Luce. Tra Tiziano e Renoir, a Domodossola
Mostre
Tiziano, che idealmente avvia lo spettacolo, con i maestri italiani e fiamminghi che hanno seguito la lezione caravaggesca, e i maestri che in Ossola hanno trovato il luogo per eccellenza per raffigurare la luce naturale: Il Gran Teatro della Luce. Tra Tiziano e Renoir narra, per luce, vicende umane e sociali, drammi e gioie, sacre e profane.
Dal lume di candela alla rivoluzione elettrica la luce è protagonista indiscussa della mostra realizzata dal Comune di Domodossola in collaborazione con Enel Green Power che i Musei Civici Gian Giacomo Galletti presentano in Palazzo San Francesco fino al 7 gennaio 2024, con la curatela di Antonio D’Amico e Federico Troletti, il patrocinio della Regione Piemonte e la collaborazione con la Fondazione Angela Paola Ruminelli e il Museo Bagatti Valsecchi di Milano. Le 45 opere esposte, 13 delle quali sono un prestito di Banco BPM, accompagnano il visitatore attraverso luci e ombre, arte e rappresentazione, naturalismo ed espressione simbolica, vero, scienza e visione, in un percorso luminoso che l’architetto e light designer Matteo Fiorini di Studio Lys ha pensato e realizzato per consentire l’immersione in una quinta scenica, dove la luce padroneggia.
Il percorso visivo e insieme fisico, enfatizzato da sinuosità luminose e cabine sceniche, muove da una selezione di opere all’interno delle quali una luce scopre la scena dal buio: non percepiamo, dunque, solo la direzione, ma vediamo la fonte luminosa. Artisti come Trophime Bigot, il Maestro del Lume di Candela, Gerrit van Honthorst, meglio conosciuto con il soprannome di Gherardo delle notti, immortalano un istante sulla tela introducendo la fonte, come una candela o una fiamma, che illumina i volti e cattura all’interno di un potente gioco di buio e luce. Il pittore, come un regista, sottolinea, focalizza e illumina solo alcuni dettagli dando la possibilità di partecipare ai sentimenti dei protagonisti, di pietà come di stupore, lasciando il resto all’oscurità e all’immaginazione. A proposito di questo primo gruppo di opere i curatori parlano di luce diegetica, che svela i personaggi e racconta la scena attraverso la loro mimica senza implicazioni simboliche.
La luce si propaga per intensità: in San Francesco in meditazione davanti a una lanterna di Adam de Coster il fuoco della lampada a olio restituisce l’intimità della preghiera nello sguardo del frate, come in Diogene di Pier Francesco Mola la lanterna illumina dall’interno l’animo umano che si è smarrito negli artifici e nelle convenzioni della vita sociale. Prima di raggiungere la Natura morta di Giorgio de Chirico, allestita in una cabina scenica che enfatizza l’idea di poter prendere parte all’opera, sedendosi attorno a quel tavolo per partecipare alla cena frugale di una famiglia di contadini che stanno per radunarsi, il percorso si illumina – ancor di più – con il confronto prospettico di Il fumatore (uomo con pipa) di Trophime Bigot, che mostra lo sguardo dell’uomo che nell’oscurità della notte si è appena acceso una pipa, e Contadino che accende una candela con un tizzone ardente di Angelo Inganni, che nel’800, due secoli dopo Bigot, riprende lo stesso artificio e regala la medesima illusione di realtà.
Dalla luce diegetica il percorso prosegue con una selezione di opere che testimoniano l’associazione della luce alla presenza del divino, di cui è esempio di rara bellezza il Cristo alla colonna (Flagellazione di Cristo) di Mattia Preti, di chiaro rimando caravaggesco. Nella Natività con pastore di Giuseppe Antonio Pianca convivono, per esempio, una candela diegetica, che Giuseppe tiene tra le mani rivolgendo i raggi luminosi verso Gesù, e una luce soprannaturale coglie i pastori muovendo il loro sguardo in quello squarcio di cielo in cui compare l’angelo in annunciazione. Un simile squarcio nel cielo avviene anche nella straordinaria Deposizione di Tiziano Vecellio – sensazionalmente protetta da un sipario che aprendosi la svela e chiudendosi la raccoglie silenziosamente – in cui l’esasperazione e la gestualità si caricano di un’atmosfera quasi tangibile per la densità delle nuvole che sembrano condividere il dolore e la disperazione degli astanti, anch’essi raffigurati con colorazioni luttuose. Un dirompente fascio di luce, che cade dall’alto, cambia le sorti del dipinto e del racconto, trasformando un dramma in contemplazione e speranza.
In materia di meditazione la mostra conta di altri importanti capolavori, come Cristo morto sorretto dagli angeli di Paolo Piazza, che fa reggere a un angelo in basso a destra una torcia che rinforza la plasticità del corpo piagato di Cristo, accentuandone la sinuosità e le stigmate, e La creazione della luce o Il lavacro dell’umanità, entrambi di Gaetano Previati, in cui rispettivamente il tema religioso si fonde con quello della luce e l’ambientazione si trasforma in un’apparizione surreale. Oltre i temi biblici e religiosi, a esercitare un grande fascino sugli artisti, è sempre stato anche il paesaggio. D’Amico e Troletti, nel testo in catalogo che accompagna la mostra, ricordano a tal proposito che che «Aristotele aveva suggerito quanto l’aria fosse fondamentale e necessaria per trasmettere alla vista alcune informazioni, e che, come l’acqua, per essere trasparente aveva necessità di essere colpita da una fonte di luce cosicché sta nella luce la potenza di dare trasparenza al mezzo che veicola l’immagine. Una spiegazione affascinante come pure l’idea che ogni luogo possieda una luce propria, affermazione forse leziosa ma che ha un fondo di verità, a cui si deve aggiungere che il medesimo luogo, con diverse condizioni ambientali e atmosferiche, offra colori in base alle stagioni e al trascorrere delle ore».
Attrae, così, nella tela di Domenico Induno, La pittrice, la variazione, istante dopo istante, della condizione luminosa e con essa dei colori; come l’intensità dei due Dintorni della Venaria Reale, l’uno con effetto d’aurora e l’altro con effetto di tramonto, dipinti da Jules Cesar Denis van Loo e sapientemente allestiti l’uno di spalle all’altro per consentire il movimento dello spettatore in un intimo e personale moto di rivoluzione. La luce è protagonista assoluta anche in Panni al sole di Pellizza da Volpedo e Le lavandaie di Carlo Fornara, entrambi esempi di straordinaria bellezza resa attraverso un gioco di scomposizione e composizione della luce di respiro divisionista. Un altro prezioso tesoro, da scoprire avvicinandosi, è Les laveuses au Béal, Cagnes di Pierre-Auguste Renoir, che come una madeleine proustiana ci riporta a quel passaggio delle stagioni e delle ore e all’impatto che la luce lascia sul paesaggio tanto caro agli impressionisti.
Dalle pennellate fluttuanti, corte e nervose, che trasferiscono alla scena la mutevolezza del tempo di Renoir all’orientalismo di Ippolito Caffi, si giunge a una selezione mirata a svelare gli effetti di luce narrante che comprende Il bacio di Gaetano Previati, Soccorso ad un rovescio di fortuna di Giuseppe Molteni e La morte di Cleopatra di Achille Glisenti. Chiude il percorso l’opera di Giovanni Sottocornola, romantico esempio di narrazione attraverso la luce ma anche testimonianza che il Gran Teatro della Luce si ripete ogni giorno. Gioia mia è un vero e proprio racconto di luce che si infiltra tra i volti di una madre e il suo bambino, svelandone l’intimo senso di un bacio, e prosegue nelle immagini delle tende illuminate dal chiarore naturale, facendo luce su tante piccole scene di genere narranti l’amore in ogni sua forma.
La luce va ben oltre l’aspetto fisico, sul fronte psicologico «resta per l’uomo una delle esperienze fondamentali e più potenti» ha scritto Rudolf Arnheim e ha ricordato Federico Troletti all’apertura del sipario: Il Gran Teatro della Luce è in scena.