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Perugino e Burri, in mostra il Nero che unisce il classico al contemporaneo
Mostre
Quando si parla del colore nero e del suo utilizzo nell’arte e nella pittura, è impossibile non pensare a Alberto Burri. Meno intuitivo, invece, è il suo utilizzo nell’arte tardo rinascimentale, a cavallo tra il XV e il XVI secolo, quando l’Umbria era palcoscenico e culla di altri maestri: primo su tutti Pietro Vannucci, detto Il Perugino. Eppure, anche nella sua opera, il nero svolge un ruolo importante, talvolta fondamentale. Ed è su questo elemento di insolita liaison tra due artisti distanti cinque secoli che si basa la mostra NERO Perugino Burri (dal 22 giugno al 2 ottobre 2023) ospitata da Palazzo Baldeschi, a Perugia, in occasione delle celebrazioni per il Cinquecentenario dalla morte del Perugino.
Il frutto della collaborazione tra Fondazione Perugia e Fondazione Burri, a cura della storica dell’arte Vittoria Garibaldi e di Bruno Corà, mette in dialogo le opere di due tra i più grandi artisti umbri attraverso il comune denominatore del nero, soluzione cromatica suggestiva e peculiare adottata da entrambi. Dando vita a un’esposizione in grado di far emergere i tratti distintivi di due artisti pari per grandezza e, forse, solo cronologicamente distanti, comunque accomunati dal profondo legame verso la loro terra natia.
Quell’Umbria amata dai due artisti e animata nella storia dell’arte da Piero della Francesca, da Raffaello e non solo dal Perugino, ha lasciato radici indissolubili in Burri che si rivelano e trovano conferma nelle forme, nei colori e nelle composizioni delle sue opere, da Catrame del 1949 e Nero Cellotex del 1968. Qui la materia emerge prepotente dalla tela e l’attenzione è posta tutta sull’equilibrio tra forma e colore, con una predilezione per il nero e lo scuro, tratto diventato emblematico dell’artista tanto da essere soprannominato “il maestro dei neri”.
Eppure il nero rappresenta un colore potenzialmente problematico, spesso evitato dagli artisti, come afferma Bruno Corà, poiché pieno di possibili valenze simboliche. «È un colore azzerante e difficile da usare – prosegue il presidente della fondazione Burri – capace di isolare qualsiasi forma o immagine che gli sia avvicinata, così come la può rendere emblematica. È un colore che suscita molte domande e tocca il sentimento in profondità».
Ma se per Burri rappresenta uno dei tratti più ricorrenti della sua opera, nel caso del suo illustre predecessore, l’uso del nero rappresenta una grande innovazione per l’epoca in cui visse il Perugino. Le opere di Burri possono quindi essere considerate una ideale dialettica proposizione con le tavole di Vannucci: se nel Quattrocento il fondo nero serviva a far risaltare il soggetto principale dell’opera, in Burri il nero è protagonista e diventa materia viva che si espande ed emerge.
L’esposizione, accolta da un apposito restyling di Palazzo Baldeschi, in grado di creare un’atmosfera immersiva e un suggestivo gioco di luci, in un percorso emotivamente coinvolgente, è arricchita da prestiti provenienti da alcuni fra i più rinomati musei del mondo, tra cui il Museo del Louvre di Parigi, le Gallerie degli Uffizi di Firenze e la Galleria Nazionale dell’Umbria, oltre alla Collezione Burri. In un percorso sviluppato attraverso venti opere, in un costante confronto tra i due artisti, reso attraverso il dialogo di loro opere selezionate dai curatori e proposte in coppie. Per esaltare quel trait d’union alla base della mostra – e, se vogliamo, della ricerca qui proposta – che è appunto l’uso del nero fatto dai due maestri. In dialogo con le tavole di Perugino ci sono quindi una decina di opere di Burri, in cui si può ritrovare il medesimo interesse per il nero inteso sempre non come mancanza di colore, ma come buio che permette alla luce di emergere.
L’idea della mostra nasce dall’opera del Perugino Madonna col Bambino e due cherubini: una pregiata tavola dal sapore intimo e familiare conservata proprio nella collezione permanente di Fondazione Perugia. Il capolavoro ritrae la Vergine con il bambino che si stagliano su uno sfondo completamente nero, permettendo agli incarnati e ai colori delle vesti di risaltare in un modo assolutamente innovativo per l’epoca. Sono questi gli anni più belli del percorso del maestro, quando, attivo a Firenze, conosce e assorbe la pittura fiamminga e la luce di Leonardo, ma è anche coinvolto dall’atmosfera di Venezia dove si reca più volte nel corso degli anni Novanta.
Da qui la volontà di indagare l’uso dello sfondo nero in alcune opere del Perugino, tutte di piccolo formato e datate a cavallo tra il XV e il XVI secolo, dove non c’è nessun paesaggio ideale o preso in prestito da una suggestione visiva, nessuna architettura prospettica, solo il profondo nero su cui si stagliano i protagonisti della scena, come mai si era visto prima. Questa ricerca ha permesso di ottenere importanti prestiti, come lo splendido Ritratto di Francesco delle Opere, probabilmente dipinto a Venezia, e il Ritratto di giovinetto, provenienti dalla Galleria degli Uffizi, e ancora la Madonna con Bambino tra San Giovanni e Santa Caterina del Museo del Louvre.
Il risultato di questa indagine tra i secoli è una mostra suggestiva, che ha il merito non solo di esaltare i due maestri umbri, ma di esplorare nuovi orizzonti, aprendo le porte a nuovi filoni di indagine e di ricerca sui due artisti. Favorendo, magari, anche uno sguardo più attento verso il contemporaneo in un territorio a volte quasi ostile nei confronti di ciò che esce fuori dal classico o dal romantico.