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iMorticelli: il primo Punto di Comunità nella città di Salerno
Progetti e iniziative
iMorticelli, il nostro punto di comunità! è il titolo del progetto vincitore dell’avviso pubblico Creative Living Lab – IV edizione promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, ideato dal collettivo Blam in collaborazione con il Comune di Salerno – Politiche sociali e Politiche giovanili, la Fondazione Comunità Salernitana Ets, Ablativo, Arteria Salerno e BAG studio.
Approcci di co-produzione tipici del living-lab e il coinvolgimento di professionisti, amministrazione e soprattutto della cittadinanza attiva – attivi sin dal 2018 – hanno contribuito a trasformare l’ex chiesa cinquecentesca di San Sebastiano del Monte dei Morti, nota come Chiesa dei Morticelli e dismessa e abbandonata dagli anni ’80, nel primo centro di produzione culturale a vocazione sociale della città di Salerno.
Di questo percorso di riuso adattivo del bene storico attraverso un processo partecipativo di cui la comunità è diventata la principale interprete ne abbiamo parlato con Ludovica La Rocca, co-founder del collettivo Blam, prendendo come spunto ciò che scriveva John Ruskin: «vi sono due compiti che incombono su di noi nei confronti dell’architettura del nostro paese la cui importanza è impossibile sopravvalutare: il primo consiste nel conferire una dimensione storica all’architettura di oggi, il secondo nel conservare quella delle epoche passate come la più preziosa delle eredità».
La nuova dimensione della Chiesa dei Morticelli è quella di un centro di produzione culturale a vocazione sociale. Da dove arriva quest’idea, come si concretizza, chi coinvolge e in che direzione si muoverà?
«Il nuovo uso dell’ex chiesa dei Morticelli è un valore condiviso costruito attraverso un processo di riuso collaborativo definito in gergo “adattivo”. Quando all’interno del Dipartimento di Architettura di Napoli abbiamo maturato l’idea di riattivare l’ex edificio religioso, comunale e chiuso da più di 30 anni, abbiamo strutturato un processo di rigenerazione a base culturale per sperimentare in tempo reale possibili usi del Bene cooperando con cittadini, professionisti, artisti e amministrazione pubblica, a valle di un’indagine territoriale molto densa. Nel primo anno sono state sperimentate e co-prodotte circa 40 attività differenti, che hanno fatto emergere una vocazione culturale, ma anche sociale, fortissima. Da qui è emersa l’idea di definirvi un Punto di Comunità. Il progetto, vincitore di Fermenti in Comune e poi della IV edizione del Creative Living Lab della DGCC del Ministero della Cultura, in partenariato tra gli altri con il Comune di Salerno, ci ha permesso di attivare nuove figure lavorative, orientando l’offerta attorno 4 cantieri: hub culturale, portineria e info-point di quartiere, lab e formazione, caffetteria sociale. Oggi iMorticelli coinvolgono professionisti chiamati a curare i cantieri tematici, operatori culturali e ETS per realizzare le attività, e volontari che lo animano. Proprio per questo, progettiamo sempre un futuro spettacolarmente “incerto”, affinché per iMorticelli possano essere sempre quello che tutti insieme vorremmo fossero».
Che rapporto esiste tra il progetto presente e l’eredità del luogo?
«L’eredità di un ex edificio religioso è fortissima, per il suo valore storico e architettonico, ma anche simbolico. Come diciamo spesso, qui dentro si consumavano riti di comunità e ci si scambiava il segno della pace. Entrando, qualcuno ancora porta le mani al capo in segno della croce. E troviamo questo un valore aggiunto da preservare nella sua essenza, se si aggiunge che, nel caso specifico dell’ex chiesa dei Morticelli, le storie e le leggende relative alla morte offrono molteplici spunti tematici per relazionarsi allo spazio e costruirne la proposta. Basti pensare che il nome scientifico del progetto è stato presto abbandonato per preservare “iMorticelli” quale espressione dialettale usata dagli abitanti per indicare questo “piccolo cimitero” alle porte del centro storico. Allo stesso modo, la narrativa architettonica barocca è estremamente presente, e se da una parte limita lo spettro di riusi possibili, dall’altra diventa anche una cornice unica nella quale esporsi e una sfida, per noi, che plasma i nuovi allestimenti architettonici così come l’intera offerta socio-culturale chiamata ad adattarsi alle specificità del luogo».
L’iter di trasformazione e rigenerazione è in atto dal 2018. Quali obiettivi avete già raggiunto e quali vi prefiggete nel futuro, a breve e a lungo termine?
«Date le tempistiche relativamente brevi in cui si è sviluppato il processo (pensiamo anche all’anno di chiusura per il Covid), essere qui a guardarci indietro e raccontarlo è già un risultato non scontato per le complessità del percorso. Tra le principali ricadute per la città, sicuramente l’avvio dei lavori di completamento dei restauri esterni dei Morticelli, attratti in seguito alla riapertura del bene, così come l’avvio della chiusura parziale alle auto su Largo Plebiscito su cui insiste l’ex Chiesa, anche grazie ad alcuni interventi di urbanistica tattica ed espedienti culturali funzionali a dei primi test. Inoltre, iMorticelli cominciano a intravedere un valore d’uso specifico quale Punto di Comunità, per cui ci siamo dotati, proprio negli ultimi mesi, di un sistema di identità e di un modello di sostenibilità e di governance con un manifesto valoriale, in collaborazione con La Scuola Open Source, con il supporto scientifico di Paolo Venturi e la partecipazione di cittadini e professionisti. Intanto, stiamo lavorando con l’amministrazione per attivare strumenti in grado di assegnare questo bene con un orizzonte temporale più ampio, affinché possa maturare partnership più solide e programmare con maggiore respiro il suo futuro».
Il progetto mira a una forte intergenerazionalità. Che rapporto esiste con la comunità, che è destinataria e insieme protagonista attiva?
«L’attivazione delle Comunità è per noi un tema centrale, per questo in qualche occasione ci siamo trovate a condividere loro la stessa domanda! Uscire fuori dalle nicchie praticando intersettorialità, multidisciplinarietà e intergenerazionalità, è tutto quello che costantemente proviamo a fare. Ovviamente, nella pluralità delle comunità esistenti, alcune non si sentono attratte o, forse, ancora non siamo riuscite a costruire occasioni affinché possano sentirsi rappresentate nei Morticelli. Allo stesso tempo, in alcune occasioni in cui il bene si è trovato ad esser chiuso, proprio lì quando lo spazio è venuto meno, dalle richieste e dal supporto ricevuto è chiarissimo che una comunità dei Morticelli si sia costituita. Possiamo dire che oggi, per qualcuno, iMorticelli sono casa, e che non si è più così tanto disposti a rinunciarci. Le modalità di ingaggio sono poi diverse: dai tavoli di comunità per ridefinire insieme le prospettive dello spazio e riformularne l’offerta, ai form attraverso cui candidare le proprie proposte per lavorare nei cantieri tematici, alle call pubblicate per coinvolgere abitanti e/o professionisti in progetti specifici. L’obiettivo principale è che iMorticelli siano una palestra di co-produzione, in cui le comunità vengono coinvolte nei processi creativi in una prospettiva di welfare culturale, con l’intento di offrire una proposta unica, specifica per lo spazio e per il suo contesto. Poi, ognuno ne fruisce come vuole, oppure no. L’importante è che abbia la possibilità di farlo».
Cosa è oggi comunità? Che valore ha rispetto alle sfide della contemporaneità spazio-temporale?
«Proviamo a parlarne sempre al plurale, consapevoli di interfacciarci con comunità residenti o temporanee, comunità di prossimità o comunità di intenti, che per natura e obiettivi diversi possono riconoscersi nello spazio e trovare in esso opportunità di esprimersi non solo per sé stessi o per gli altri, ma con gli altri. Se tra le sfide riflettiamo sui processi di trasformazione urbana, allora le comunità acquisiscono un valore centrale ove le città, come ricorda spesso il prof. Zamagni, non sono solo urbs, ovvero apparati urbanistici e manufatti architettonici, ma anche civitas, dunque comunità di abitanti, e non, che le città le costruiscono, le vivono e quindi le trasformano. Quello che possiamo fare oggi, allora, non è più (solo) costruire nuovi edifici, ma radicare processi attraverso cui le comunità diventano centrali nel riuso dei suoi spazi per realizzare insieme futuri possibili, preservandone i valori storici, senza temere di costituirne di nuovi».