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Stills of peace and everyday life: un dialogo sulla nonviolenza
Mostre
Il programma espositivo (potete leggerlo qui) si articola in cinque mostre ospitate in tre sedi espositive tra Atri e Pescara, coordinate da un team di cinque curatori e punta sulla forza del linguaggio dell’arte contemporanea, un linguaggio simbolico ma capace di generare cambiamenti reali nella vita di tutti i giorni.
Le cisterne del palazzo Acquaviva ad Atri, ospitano le mostre Purity a cura di Antonio Zimarino e Chiunque tu sia a cura di Mariano Cipollini. Purity è un invito ad adottare uno sguardo non-violento, tale è definito lo sguardo contemplativo, capace di comprendere, nella doppia accezione di abbracciare e capire, ciò che si presenta di fronte ai nostri occhi. Un approccio riflessivo che diventa un esercizio di accoglienza. Le opere degli artisti in mostra, Mohammad Alì Famori, Jukhee Kwon, Ignacio Llamas, Kaori Miyayama e Gino Sabatini Odoardi, sono accomunate da una tensione verso l’essenzialità e dalla volontà di instaurare con l’osservatore un dialogo aperto affinché quest’ultimo, lungi dall’essere un elemento passivo, possa sviluppare un proprio sguardo puro attraverso un percorso percettivo ed intellettuale autonomo.
Lo sguardo di chi scrive si posa sulla relazione tra materiale e immateriale, corpo e linguaggio, qui presi non come estremi di un pensiero dicotomico ma come elementi compresenti e interagenti. Paradigmatico in questo senso il lavoro di Jukhee Kwon in cui il linguaggio, diventa materia plastica e le possibili forme della conoscenza vengono espresse attraverso la fisicità della materia cartacea assumendo ora una presenza totemica, aggressiva e dolorosa al contempo, come in Red book, 2013 ora la forma intima e accogliente del Nido, 2023.
Un linguaggio inclusivo quello dell’arte contemporanea che nella visione di Mariano Cipollini, mira allo sviluppo di modalità relazionali indipendenti dai poteri economici, su un doppio livello, quello materiale degli spazi e delle risorse e quello immateriale del pensiero libero. Attraverso le opere degli artisti Navid Azimi Sajadi, Jean Gaudaire-Thor, Massimo Ruiu, Barbara Uccelli e Wang Youngxu l’osservatore è invitato a prendere parte ad una collettività socializzante. Qui il linguaggio è preso in causa attraverso la forma della parola scritta, come in Pietra miliare mobile Alfa/Omega, 2022 di Massimo Ruiu dove la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto assumono una presenza marmorea, durevole, immortale e al contempo i concetti di principio e fine, nascita e morte assumono un carattere relativo, orientabile, procrastinabile, attraverso la presenza delle ruote girevoli. Una circolarità.
Nascita e morte, il tema ritorna nella mostra Polvere di stelle/Stardust a cura di Eva Comuzzi, ma questa volta siamo nel Museo Archeologico di Atri, dove a fornire lo spunto iniziale è la materia intergalattica derivata dalla “morte” delle grandi stelle che torna a nuova vita riformandosi nel nostro materiale genetico. Gli artisti presenti T-yong Chung, Anna Galtarossa, Sabine Delafon, Randa Maroufi, Aryan Ozmaei, Banafsheh Rahmani e Uzma Sultan indagano attraverso pittura, video, scultura e installazione il tema dell’origine dell’umanità e la sua autodistruzione, come in Somebody around column, 2019 di T-yong Chung dove la colonna androcefala, omaggia una memoria antica, un rimando all’artificio della conoscenza umana che operò nella verticalità la prima azione di trasformazione dello spazio e ne rivela il declino, nell’apparenza a metà tra il rudere e il totem.
È nuovamente la memoria storica ad assumere un “corpo” attraverso il lavoro fotografico di Nazik Armenakyan nella mostra Survivors a cura di Paolo Dell’Elce. Uno sguardo, quello dell’artista, che dona presenza ed esistenza al tragico vissuto di quarantacinque sopravvissuti al genocidio armeno. I duplici ritratti presenti nelle immagini delineano degli estremi temporali, in cui è la memoria a sancire l’identità dei soggetti, rivelando tutto il peso del tempo.
Testimoniare è anche l’obiettivo della mostra La vita è un’altra cosa ospitata nella sede di Fondazione La Rocca|Volume per l’Arte a Pescara, a cura di Simone Ciglia. Dal carattere documentativo, la mostra, frutto di una ricerca all’interno della collezione di Gianni e Giuseppe Garrera, si concentra sul decennio rivoluzionario degli anni ’70. Le opere esposte, degli artisti Carla Accardi, Mirella Bentivoglio, Joseph Beuys, Daniel Buren, Gea Casolaro, Maurizio Cattelan, Giuseppe Chiari, Daniela Comani, Claire Fontaine, Ketty La Rocca, Lucia Marcucci, Elisa Montessori, Cesare Petroiusti, Lamberto Pignotti, Vettor Pisani, Cloti Ricciardi, Yoko Ono, Luca Vitone, sono caratterizzate da forme effimere ma pervasive in quanto destinate ad un’ampia diffusione, esempi di lotta poetica attraverso cui gli artisti hanno operato sulla coscienza collettiva. Un’arte politica. Non a caso il percorso espositivo inizia con Joseph Beuys, artista che ha fatto del linguaggio una forma d’arte e ha utilizzato la parola per plasmare quella che ha definito «scultura sociale». Qui la relazione evidenziata all’inizio del percorso, tra materiale e immateriale, corpo e linguaggio, trova una definitiva risoluzione nell’identità tra arte e vita quotidiana.