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En attendant la nuit: la cruda realtà della finzione nell’ultimo film di Celine Rouzet
Cinema
di Irene Guida
Questa storia inizia nel più ordinario dei modi. Dal buio, un bambino viene alla luce in un ospedale francese, la madre e il padre se ne prendono cura, ma nulla è normale nel più ordinario dei mondi. Il bambino non beve latte materno ma sangue, il suo nome sarà Filèmone. Il film è costruito all’inizio come un documentario impossibile sull’adolescenza ordinaria di un vampiro di provincia, disperatamente alla ricerca di natura, comunità, gioia. En attendant la nuit è il primo film di finzione dell’autrice Céline Rouzet, alla quale abbiamo deciso fare qualche domanda, in occasione delle Giornate degli Autori del Festival del Cinema di Venezia.
Partiamo dalla fine. Il film ha una dedica, Per te, Vincent. Mi ha incuriosito, potresti parlarne?
«Sì, questo film è un omaggio a mio fratello Vincent. Il film racconta la sua storia. Mio fratello è in una condizione di differenza, come dietro sbarre invisibili che hanno reso difficili le relazioni con gli altri, per questo ha fatto di tutto per farsi accettare, come Filemone nel film. Quando era un bambino, nella sua cameretta vedeva sempre dei vampiri che arrivavano per parlargli, e lo spaventavano molto, all’inizio. Pian piano si è affezionato a questi esseri. La condizione di mio fratello per la mia famiglia era diventata un dramma, e mi ha riempito di molto dolore, ma anche di un sentimento di ingiustizia e di impotenza molto grandi, avevo bisogno di raccontare questa emozione. Un giorno mi sono svegliata e ho pensato, ecco, la storia di mio fratello è una storia di vampiri. Mio fratello sentiva una vicinanza speciale con questi mostri, fragili, incompresi dagli altri, la cui condizione è invisibile a prima vista».
Quindi non hai fatto un film realista, ma un film di finzione e di genere molto ben costruito, pieno di riferimenti, con un linguaggio cinematografico molto forte e preciso. Io mi sono identificata senza sapere nulla della storia vera, l’ho riferita a un mio personale alter ego di Filemone. Provo a dire le citazioni che mi è parso di riconoscere, ma secondo me tu ne hai di più. Mulholland Drive, di David Lynch, Monty Python con Il senso della vita, o Godard con A bout de souffle.
«Sì è così, la sensazione passa perché era così forte e così intima, grazie per la domanda e per i riferimenti. Di David Lynch amo la poesia inquietante dei suoi film, e in particolare Elephant Man è stato un riferimento importante, e sulla diversità uno dei film più potenti è Edward Mani di Forbice di Tim Burton, o la Mosca, di Cronenberg, ma anche dei film come The Virgin Suicides di Sofia Coppola per il romanticismo un po’ cupo. Del linguaggio cinematografico che mi piace, amo la commistione dei generi. Adoro Bong Joon-ho, il regista di Parasite, di Memories of Murder, mette sempre al centro dei suoi film dei personaggi fragili, con un tono parodistico, per questo il suo lavoro è sempre molto politico. Nei suoi film c’è sempre la commistione di generi, il dramma è inseparabile dalle storie d’amore, l’orrore dalla commedia. Di fatto lo sforzo che abbiamo fatto con lo sceneggiatore William Martin è stato quello di trovare un equilibrio fra dramma, lirismo, romanticismo, humour e critica sociale.
Ho scoperto scrivendo questo film un’autrice fantastica, Shirley Jackson. I suoi racconti, The Lottery (tr. it. La lotteria), The Haunting of Hill House (tr. it. La casa delle vacanze), hanno ispirato Stephen King. L’oggetto dei suoi racconti sono le degenerazioni dell’ordinario, la famiglia, la casa, il villaggio vacanze. Quello che mi ha ispirato è stato proprio l’ambiente perfetto, così normale da diventare inquietante. C’è qualcosa di inquietante che si nasconde sempre dietro l’ordinario, i sorrisi, la familiarità, insomma dietro le convenzioni. Anche l’inizio del film è molto ironico, la cosa più normale del mondo è l’urlo abominevole della madre durante il parto».
C’è uno sguardo molto femminile, una certa familiarità con il sangue e il corpo femminile che non è contemplativa o oggettivante. Qual è il tuo atteggiamento rispetto a questi temi?
«Sono femminista, certo. Ma non ho girato un film solo per le donne. Gli argomenti femministi ci sono ma mi interessa uno sguardo decostruito, Filèmone è un personaggio androgino, non è un donnaiolo. Charles, il fidanzato di Camilla, è molto più maschile. Ma anche in questo personaggio ci sono degli aspetti di fragilità, è un uomo che piange. Camilla è una giovane donna desiderante. Abbiamo lavorato molto con William Martin per definire questo personaggio, per capire che è suo il desiderio del morso del vampiro, è lei che si muove per cercarlo, c’è del masochismo, c’è audacia, impertinenza, disobbedienza. Quindi volevo fosse una protagonista che avesse anche dei piccoli difetti, e volevo che gli attori fossero tutti molto belli. E in più c’è una relazione fusionale madre-figlio. Per noi era molto importante che i caratteri di genere narrativo corrispondessero a quelli reali. E quindi si sa che l’allattamento può essere molto doloroso, che il seno può sanguinare e l’impressione di una madre può essere quella di avere un figlio – vampiro».
Puoi dirci qualcosa sulla tua formazione, se hai studiato in scuole di cinema?
«No, ho studiato Scienze Politiche e poi giornalismo, e ho sempre sognato un tipo di giornalismo impegnato, letterario, ho scritto un articolo per Le Monde Diplomatique, ExxonMobil bouleverse la société papoue che poi è diventato un documentario radiofonico per Radio France, quindi ho girato un film documentario, 140 Kilometres a l’Ouest de Paradis. La traiettoria è stata verso la narrazione, verso lo sguardo più soggettivo, poetico, musicale».
Infatti c’è molta musica in questo film.
«Sì, Il musicista è Jean-Benoit Dunkel, un componente degli Air, compositore della sonora di The Virgin Suicides. I temi musicali della nascita e della fuga, della famiglia, della storia d’amore, dell’ambiente apparentemente confortevole, della rissa, hanno sempre un suono aereo, leggero. En attendant la nuit è un film politico, sul bisogno di nascondersi al buio, insieme con quello impossibile di evadere per trovare un lato arioso, solare, libero».