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“È iniziato tutto da uno spettacolo di magia”: parola a Hans-Walter Müller, l’architetto che costruisce con l’aria
Architettura
Costruire con l’aria è il sogno a cui Hans-Walter Müller ha dedicato la sua vita. Nato a Worms nel 1935, l’instancabile architetto, artista, ingegnere – e anche mago – è noto in tutto il mondo per le sue architetture gonfiabili. I suoi “volumi” d’aria creano ampi spazi trasparenti, pesano in genere meno di 40 kg e si montano in pochi minuti. Vicino al movimento dell’Art Cinétique, nella sua lunga carriera Müller ha collaborato con artisti come Salvator Dalì e Jean Dubuffet, progettato strutture per festival e Olimpiadi, centri di accoglienza per migranti e teatri in mezza Europa. Oggi Müller è tornato a realizzare un progetto in Italia, nella città di Bolzano, dopo diversi anni di assenza, grazie all’invito di Nina Maccariello e Kathrin Oberrauch, curatrici del Kids Culture Festival. L’iniziativa è parte del programma di Transart, il Festival di cultura contemporanea «Impetuoso, radicale e sorprendente», che anche in questa ventitreesima edizione si propone di «Vivere l’energia contemporanea dei luoghi». Obiettivo più che mai raggiunto con il progetto Müller.
Come una gentile astronave aliena, l’enorme bubble d’aria progettata dal geniale architetto tedesco ha infatti abbracciato il monumento dell’altrimenti compostissima piazza Walther a Bolzano (il 12 settembre), per poi spostarsi nell’Oasie di Transart, nel giardino di villa Gasteiger. Qui ospita al suo interno workshop e laboratori per bambini e bambine (fino al 22 settembre).
«Per il progetto di Bolzano mi hanno chiesto di creare un dialogo con la città ed è una cosa che mi interessa molto, sono entusiasta. Il volume riprende la struttura ad ottagono alla base del monumento della piazza», ci ha raccontato Müller. Fin dalle prime battute è subito chiaro: quando Müller parla della sua architettura rivela sempre una sua visione sul mondo. Un intreccio di arte e vita, che sgorga leggero, ma saldo, dalle sue parole.
È vero che l’idea di dedicarsi alle architetture gonfiabili nasce da un insuccesso, quando, all’inizio della sua carriera era impegnato in uno spettacolo di magia?
«Sì, mi trovato sull’isola francese di Porquerolles ed ero stato invitato a un congresso sulla fotografia, avevo messo una tela su un albero per proiettare dei giochi di luce e di interazione con la musica, ma il telo all’improvviso mi è crollato addosso e la gente ha applaudito… allora mi è venuta l’idea».
E prima ancora aveva fatto di necessità virtù quando, durante la Seconda guerra mondiale, aveva utilizzato il garage di casa per degli spettacoli di marionette
«Tutti i bambini venivano da me, anch’io ero un bambino e per un po’ potevamp sognare ed evadere dalla realtà, cercare di vivere in un altro mondo…».
Perché quello in cui viveva non era molto bello…
«Io dico sempre “si può fare più del normale”. Si può andare sempre oltre e non percorrere le solite vie, come fanno tutti, e allora si crea, si diventa artisti».
A proposito di normalità: lei abita in un’architettura gonfiabile da oltre cinquant’anni, come si vive in una “casa d’aria”?
«Vede, per me era importante non “farsi dei castelli d’aria”, ma provare a vivere il proprio sogno, e sperimentarne anche i vantaggi. La mia è un’architettura in cui tutto può cambiare ed in cui suono e movimento vengono integrati – normalmente quando si costruisce una casa si tende ad aggiungere e non sfruttare fino in fondo le possibilità di integrazione tra le dimensioni del suono, della luce e dell’elettricità. Prendi un quadro, un televisore, e lo appendi, fine. Ma come architetto credo sia importante vivere lo spazio, esperirlo in più dimensioni: non è piatto, si può estendere e con pareti mobili, proiezioni e l’utilizzo del suono si espande e cambia».
Quindi la sua concezione di architettura ha legami con il Bauhaus? Le forme ricordano anche quelle dello Space Age Design
«Certamente, ma è anche molto vicina al barocco. Ad esempio, consideriamo le forme arrotondate dei soffitti barocchi: non è solo una questione di decorazione, ma un modo di vivere meglio lo spazio. Quando siamo all’interno di un edificio e guardiamo verso l’alto non è piacevole passare dalla parete verticale al soffitto così all’improvviso. Ci vuole un momento di passaggio, è così anche per le facciate in cui vengono esposte sculture, sono il collegamento tra terra e cielo».
Anche se, tra terra e cielo, lei ha fatto la sua scelta: per tutta la vita ha cercato di liberarsi della forza di gravità
«Nell’architettura tradizionale si costruire mattone su mattone e il peso cresce, nella mia è il contrario, per quando possa suonare paradossale. La pressione creata dal motore all’interno dei miei volumi si moltiplica e si diffonde sulla superficie della struttura. Per me è una metafora della vita: una volta accumulato bisogna redistribuire, intendo anche con il denaro, accumulare e basta non serve a nulla».
L’aria è una materia così intangibile…come la mettiamo con la sicurezza?
«Io dico sempre che se la mia architettura crolla non ti cade un mattone in testa! E poi cade a terra lentamente, e crea una situazione intima, piacevole per chi sta all’interno. Quando sono con amici a volte la faccio crollare apposta. Come quella volta a Porquerolles».
Ne parla come di un’architettura vivente…
«Sì, ad esempio per la retrospettiva di Dalì al Pompidou ho realizzato un volume che “respirava”, per la sala del periodo “molle”, è stato molto interessante».
Qualche svantaggio lo avranno però i suoi volumi: come la mettiamo con l’isolamento e la sostenibilità?
«La mia casa ha più di 40 anni e la plastica utilizzata, se rapportata al metro cubo rispetto al volume è molto poca, se pensiamo ai materiali utilizzati nelle case “normali”. Certo l’isolamento può essere un problema, ma dipende dalla posizione, ad esempio la casa in cui abito è in parte collocata nel terreno ed è circondata dagli alberi, funziona molto bene. Poi esistono materiali migliori, in grado di riflettere la luce».
Insomma, lei non teme il rischio e l’instabilità, anzi, in un’intervista per la tv franco tedesca arte ha detto “il rischio è interessante”
«La gente ha paura del rischio, per questo le assicurazioni guadagnano!».
Però è normale avere paura del pericolo, e della morte
«Se hai vissuto appieno la tua vita non temi la morte. Si sa che, da quando si nasce, si ha un certo tempo a disposizione, breve o lungo, ma non bisogna farsi sfuggire la possibilità di farne qualcosa di speciale… chi non lo fa è già morto, un morto vivente».
Ultima cosa: lei avrebbe anche detto che nelle sue architetture verrebbe voglia di fare l’amore…
«Questo glielo spiego la prossima volta!».