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Si parla di sogni e inconscio nella mostra “Just Sleeping” alla Galleria Gilda Lavia di Roma
Mostre
Il percorso espositivo all’interno della Galleria Gilda Lavia propone le opere di tre giovani artisti che riflettono sul tema del sonno e della connessa dimensione del sogno, della quale vengono indagati, secondo diverse declinazioni, i complessi, spesso insondabili processi legati al manifestarsi della sfera dell’inconscio.
Anche a seguito dei paradigmatici studi di psicanalisi di Sigmund Freud che nel 1899 pubblica L’interpretazione dei sogni, il tema del sogno ha costituito motivo di interesse in diversi movimenti artistici e letterari come, tra gli altri, il Surrealismo (1924), e continua ancora oggi a rappresentare un campo di indagine per le ricerche contemporanee rispetto al quale è possibile ancora proporre nuove e originali interpretazioni.
L’idea di questa mostra nasce dall’istallazione di Oriente Plazzi Marzotto, C’è chi veglia e c’è chi può dormire (2023). Tre polisonnografie stampate su carta, occupando per intero le pareti di una sala, rappresentano lo studio di alcuni pazienti affetti da disturbi del sonno. Assieme al tracciato dell’attività cerebrale, sul supporto cartaceo è impressa una frase del Macbeth shakespeariano tradotta nel linguaggio dei segni e leggibile solo attraverso l’attivazione di una luce Uvb:
«Non dormirai più! Macbeth scanna il sonno – il sonno innocente, il sonno che dipana la matassa imbrogliata dell’ansia, la morte d’ogni giorno di vita, il bagno dell’amara fatica, il balsamo degli animi feriti, la seconda portata della grande natura, il nutrimento primo nella festa della vita» William Shakespeare, Macbeth, Atto II.
L’atmosfera psichedelica dell’istallazione, resa anche attraverso uno specifico sistema di illuminazione, conduce lo spettatore in uno spazio surreale, del tutto confacente alla sfera del sonno, dove risuona l’emissione di frasi disarticolate o parole pronunciate con enfasi anomala dagli stessi pazienti.
Janneke Leenders si inserisce nella linea tematica della mostra proponendo You are not die you are just sleeping, proiezione di un video all’interno di uno schermo nel quale l’artista sta dormendo accanto a un fantoccio realizzato in stoffa. Lo schermo è riverso, ad una certa altezza, in direzione del pavimento in maniera tale che sia osservabile solo stendendosi in terra in posizione sottostante. La ricerca di Janneke Leenders allude efficacemente alla cesura, spesso molto labile, tra realtà e finzione, nel momento in cui il video trasmette un’immagine concreta ma pur sempre restituente l’idea di una persona che non è cosciente.
Nel percorso incontriamo poi Dissolved (2023) teli di cotone sui quali Janneke Leenders ha dormito lasciando il segno di ciò che accade durante il sonno attraverso l’uso di olio da pittura. Le tracce che il corpo ha lasciato impresse sulla stoffa corrispondono a tratti leggeri, astrattizzanti, indecifrabili nei loro sviluppi e raccontano, attraverso segni dinamici, l’evolversi dello stato d’incoscienza. L’opera si pone come un’entità atta a conservare la “memoria” di un’attività fisica compiuta involontariamente dal corpo mentre è in atto il meccanismo del sonno, ma diventa anche segno tangibile di una condizione intangibile, astratta, interiore, afferente alla sfera dell’inconscio la cui attivazione è massimamente sollecitata nell’ambito del sogno.
Francesco Andreozzi declina, invece, il tema proponendo rappresentazioni tratte direttamente dalla dimensione onirica nel tentativo di farci immergere in quell’universo incongruo, irreale, irrazionale proprio della condizione del sogno. La sottrazione dell’elemento della luce è comune ai diversi lavori, dove tutto appare riemergere faticosamente da una condizione di profondo quanto inquietante buio evocato attraverso un fondo blu notte. In Nel mio sogno (2023) si appalesa un volto femminile dai tratti assai sfumati, che d’improvviso e in maniera illogica si illumina grazie all’inaspettato emblema di un cuore che, poggiato su di un occhio, rende nitido il dettaglio del volto.
La figura favolistica de Il re (2023) parimenti si appalesa in maniera inquietante in un atteggiamento pensoso, scevro dalla dimensione celebrativa o trionfalistica che solitamente si addice ad un sovrano, ora prigioniero di un profondo “buio” interiore.