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#lasciamiandare: a Taranto, il progetto di Monica Marioni sul problema delle relazioni tossiche
Progetti e iniziative
di redazione
L’affetto può essere una dipendenza e, per rendersi conto della sua tossicità, potrebbe essere necessario affrontare un percorso complesso, doloroso, all’interno di se stessi. Da questa sensibilità e da un’esperienza personale, prende le mosse #lasciamiandare, progetto immersivo di Monica Marioni, a cura di Maria Rosa Sossai, che sarà attraversabile fino al 14 gennaio 2024 a Taranto, nell’Ipogeo di Palazzo Spartera. Promosso da Sostegno Donna, centro antiviolenza gestito dall’Associazione Alzàia Onlus ETS in ATS con l’Associazione Sud Est Donne, di concerto con l’Assessorato ai Servizi Sociali, Politiche d’Inclusione e Pari Opportunità di Taranto, il progetto racconta, tramite i linguaggi dell’installazione, del video e della performance, il tragitto emotivo che conduce dalla presa di coscienza di un rapporto tossico, alla progressiva riconquista del proprio giudizio, della corretta prospettiva di sé e del mondo e, quindi, alla liberazione da tale relazione.
Un viaggio di scoperta
Quella di Taranto è una delle tappe già intraprese da Monica Marioni, dopo le mostre realizzate tra Napoli, Vicenza, Capri, Lecce, tutte pensate come esperienze immersive e ognuna focalizzata su una fase specifica dell’esperienza relazionale tossica: dalla prigionia all’oggettivazione, dalla manipolazione – fra controllo, isolamento, gaslighting – fino allo scarto, da cui poi parte la lunga strada verso la riconnessione con se stessi, verso la consapevolezza, il divenire e, quindi, la rinascita che permette di vedere ciò che prima non si riusciva nemmeno a percepire.
«Il progetto è un vero e proprio viaggio, sia dell’interiorità che fisico. È un lungo cammino, quello verso la consapevolezza come stabile dimensione esistenziale a cui tutti noi dovremmo tendere», spiegano gli organizzatori.
Il percorso nell’Ipogeo
Quattro le opere in esposizione: Porta, Quieto, Libera e Trauma. Varcata la soglia dell’ipogeo, il pubblico si trova di fronte la prima opera, Porta: una vulva neon come un’improbabile insegna che marca il punto di accesso all’intimità del trauma in cui si sta scendendo. Stiamo infatti percorrendo l’intimità esperienziale dell’artista, a partire dal punto finale dell’esperienza traumatica, la fase della rimarginazione del danno, rappresentata dal Quieto (vivere). È il momento del riscatto che permette l’accesso a una nuova consapevolezza, espressa dal video Il Battesimo proiettato su una parete e dai due schermi di Olia e Villa Lysis dentro una gabbia aperta verso lo spettatore, a simboleggiare l’avvenuto affrancamento da un dolore ormai ridotto a traccia, cicatrice, non più di un drappo rosso ma ormai leggero nell’anima.
Proseguendo incontriamo Libera: è la riscoperta della libertà, il passo appena precedente la liberazione, l’incontro con chi si occupa dell’aiuto alle persone che cercano di superare il trauma. È una fase difficile, lunga e altalenante, testimoniata dalle voci delle donne seguite dal centro antiviolenza Sostegno Donna. Il palloncino rosso che rimbalza leggero è replicato molte volte, poiché descrive le tante voci diverse di una stessa dolorosa esperienza.
Trauma conclude il percorso espositivo: è la ferita ancora viva e profonda sotto la cicatrice. «Siamo dentro al dolore, nel suo nido. In questo punto di massima profondità intima sta quanto vissuto nei peggiori momenti. Il rosso domina, ma è a sua volta dominato dall’occhio controllante e controllore. Perché il trauma risiede nel controllo subito. Il controllo è possesso, e l’occhio spalancato sembra voler controllare i movimenti dello spettatore». A rimarcare una condizione emotiva di profondo dolore fisico e spirituale, che diventa ossessivo nel movimento ripetuto della testa, la proiezione video La colpa.
L’arte della condivisione
«#lasciamiandare di Monica Marioni è un lungo racconto rivolto a tutte le donne che, come lei, hanno vissuto l’esperienza di una relazione mortificata dalla prepotenza maschile. Da questa prova esistenziale vissuta nella profonda solitudine che accompagna il trauma, è nata negli ultimi cinque anni una ricca produzione artistica che esplora la sua vita intima di artista e di donna, alle prese con le conseguenze di un amore violento, che diventa un atto di accusa contro una cultura tutt’ora ostile alla libertà di pensiero e di azione delle donne», scrive Maria Rosa Sossai, nel testo L’arte della condivisione / Io con le altre.
«Le performances di Monica Marioni creano al primo sguardo un senso di disagio, perché risvegliano in chi guarda i fantasmi dell’inconscio. Ma un istante dopo, dalle immagini emergono la dignità e l’autorevolezza proprie di ogni agire, con cui combattere il senso di colpa e la vergogna che a volte rendono ancora più acuta la sofferenza.
Le opere di #lasciamiandare guidano progressivamente verso un nuovo stadio di consapevolezza che ci permette di essere all’ascolto di ciò che le donne pensano, sentono, attraversano, lontano dai luoghi comuni di un femminile inventato da una cultura dominante che pretende di pensare per loro. L’invito è a resistere e a rivendicare il diritto ad affrancarsi da un destino già scritto».