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L’architettura di voci di William Kentridge a Palazzo Branciforte
Mostre
di Giulia Papa
Curata dalle storiche dell’arte Giulia Ingarao e Alessandra Buccheri, ideata dal direttore artistico di ruber.contemporanea Antonio Leone e sostenuta da Fondazione Sicilia con il coordinamento di Sicily Art and Culture, la mostra You Whom I Could Not Save prende il titolo dalla nuova installazione sonora che William Kentridge ha pensato per lo struggente luogo dove i palermitani poveri impegnavano i loro abiti, nel Monte dei Pegni di Santa Rosalia a Palazzo Branciforte.
Il progetto espositivo, che possiamo considerare quasi come un site specific, prende vita all’interno delle scaffalature lignee, apparentemente infinite, che si dilungano negli ambienti che, vivendo nella penombra e seppur immobili, donano una sensazione di continuo movimento dato dalle numerose scale, palchetti e ballatoi, lunghi corridoi e piccole stanze. Tutto ciò sembra rievocare in noi, e forse anche nell’artista, l’interno delle navi con l’odore del legno e i suoi scricchiolii.
William Kentridge, dopo aver visionato nel 2019 il luogo, decide di dialogare con esso, non alterandolo ma usufruendolo nella sua interezza. Mantiene la sacralità, la maestosità e l’immobilitá dello spazio, a cui aggiunge un’altra sacralità: la sua, data e diffusa dal suono e dalle voci di un canto, immortalato nel tempo e che ne riempie il vuoto, che diventa un vuoto solo visivo, per fare spazio ad una pienezza di sensi. «Un’architettura di voci» la definisce Antonio Leone, che cantano di trionfi, di lamenti e di perdita.
Come in una cavità, è facile lasciarsi trascinare dalle voci, per la precisione sette, che cantano in una lingua a noi sconosciuta, appartenente al gruppo delle lingue nguni, su una musica composta da Nhlanhla Mahlangu. Questa melodia ci conduce, cosi, istintivamente nei meandri della sala. A conclusione, troviamo la proiezione del video Sibyl del 2020. Kentridge diventa attore, regista e scenografo. Nella sua pratica artistica multidisciplinare, usa diversi media: dalla scultura all’installazione, ma ciò che lo contraddistingue è la realizzazione delle animazioni video da lui ideate.
In questo melting pot di pratiche, l’artista mescola video e disegno, non ponendosi limiti, e ponendosi in piena contrapposizione con chi prevede l’uso di un solo modo di rappresentare. Questi brevi film, composti, frame by frame, fotogramma per fotogramma, da migliaia di disegni in bianco e nero realizzati in carboncino. Non è casuale neanche la scelta del carboncino per gli inediti 16 disegni. Il carboncino per Kentridge è un ritorno all’originale, al disegno, alla manualità in un’epoca in cui il digitale prende il sopravvento. Video e carboncino si scontrano cosi, in un’eterna lotta tra il digitale e il manuale, tra il nuovo e l’antico. La sua pratica artistica appare allo stesso tempo radicata nel passato ma proiettata verso il futuro. Un futuro dominato solo dalla casualitá.
Il susseguirsi di questi disegni, ombre, frasi in continua evoluzione, ci ipnotizzano facendoci perdere la concezione del tempo. Ai nostri occhi si susseguono immagini surrealistiche, ombre cinesi, figure umane, il tutto in una scultura in movimento che ricorda le opere ingegneristiche leonardesche, per poi concludersi nello scorrimento delle pagine di un libro. I 16 disegni inediti sono pagine palinsesto. Il termine palinsesto, deriva dal greco “raschiato di nuovo”. Forse mai definizione è stata più coerente per il suo lavoro: Kentridge raschia idealmente queste pagine in cui danzano figure immaginarie e non, riconosciamo volti, ritroviamo paesaggi, oggetti. Ci soffermiamo anche a provare a leggerne lo sfondo, che altro non è che fogli disseminati di un registro contabile in cui, con un’attenta lettura, distinguiamo le voci “dare” e “avere” che donano ritmo alla struttura del foglio legandosi idealmente ai disegni dell’artista. La mostra continua nella varietà delle pratiche artistiche e così ammiriamo sculture in bronzo e in bronzo dipinto; e una sequenza di arazzi.
Il lavoro di Kentridge, pregno della sua sensibilità, ha soprattutto un’eco politica, che ha origini nel passato, il suo stesso passato. C’è molto di biografico, del suo considerarsi un privilegiato, nato bianco a Johannesburg negli anni Cinquanta, del suo essere figlio di ebrei lituani riusciti a scappare ai pogrom russi di fine Settecento.
Questo bagaglio biografico, lo renderá, nella vita, sensibile nei confronti della storia tra oppressori e vittime. Questo lavoro, più attuale che mai in un momento storico come quello oggi, in cui ancora assistiamo a viaggi della salvezza, della speranza, di morti nel mare, di guerre, sembra un ciclo storico senza mai una fine. Il lavoro di Kentridge ci fa riflettere, ci aiuta a soffermarci su temi a noi forsi lontani… che poi, forse, cosi lontani da noi non sono.