12 gennaio 2024

Other Identity #94. Altre forme di identità culturali e pubbliche: Li Tung

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Other Identity è la rubrica dedicata al racconto delle nuove identità visive e culturali e della loro rappresentazione nel terzo millennio: la parola a Li Tung

Li Tung
Li Tung

Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Li Tung.

 

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Other Identity: Li Tung

Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?

«Penso che la mia arte rappresenti una comunicazione simbolica con la società. Tutti i miei pensieri e le mie idee provengono dalla vita comune di una “nuova generazione asiatica”. Si dà il caso che noi siamo la generazione rimasta incastrata tra i valori tradizionali e i valori diversificati e ciò causa molti conflitti tra le persone e dentro di noi. Perciò, voglio mostrare attraverso le mie opere questi pensieri che prima erano proibiti ma che ora vengono accettati.

Credo che i social media o anche Internet mantengano ancora un certo livello di privacy, vale a dire che possiamo scegliere cosa vogliamo mostrare e su quale piattaforma pubblicare. Tutto questo è semplicemente il risultato della commercializzazione. La nostra identità è ancora lì, dobbiamo solo trovare il modo giusto per mostrarla».

Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?

« Mi piace pensare alla mia identità di pensatore o, si potrebbe dire, di filosofo. L’idea centrale nei miei lavori è che non importa quale sia il tuo genere, colore, età o identità culturale, siamo tutti uguali di fronte all’idea. Voglio trasmettere il mio punto di vista, pensiero e filosofia attraverso le mie opere. Il motivo per cui ho usato il corpo umano nudo come componente principale della mia arte è che il corpo senza vestiti e decorazioni è la fonte più pura dell’essere umano. Non c’è nessun’altra cosa che possa influenzare l’impressione dell’osservatore sulla parte del corpo che si presta alle mie idee».

Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?

«L’aspetto sociale è molto più importante che mai questa volta, ma in realtà non mi interessa cosa pensano gli altri di me. Voglio ancora mostrare il vero sé a tutti coloro che amano la mia arte in ogni modo possibile. Scegliere con delicatezza come presentarsi su Internet non è sempre politicamente corretto. Ma dico sempre agli haters di andare a farsi fottere. “Se non ti piace, puoi semplicemente andartene”».

Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?

«Penso che il valore della mia arte siano la mia persona e i miei pensieri. In questo periodo difficilmente si trova qualcosa che nessuno abbia mai fatto prima, soprattutto nel campo dell’arte. So che gli accademici pensano che trovare l’originale nel “metodo” o durante il processo di produzione sia la risposta a questa domanda. Ma penso che i diversi pensieri come individuo rappresentino la vera originalità. Mi presento come artista semplicemente essendo me stesso, il più sinceramente possibile. Faccio quello che sono!».

ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?

«Sì. L’arte è la cosa più libera del mondo. Non penso che sia necessario tracciare un cerchio e metterci dentro tutto ciò che pensiamo appartenga all’arte e rifiutare qualsiasi altra cosa. Tutto potrebbe essere arte; ognuno potrebbe essere artista se vuole. La questione dell’eternità o della teoria accademica non è ciò che mi interessa».

Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?

«Nient’altro che me stesso. Non sto cercando alcun tag o etichetta su di me. Essere semplicemente me stesso è già abbastanza affascinante».

Biografia

Li Tung è un fotografo e videomaker di Taiwan conosciuto come “Visual Wasted”. Ha lavorato nel campo dell’arte visiva per cinque anni. Tutte le sue creazioni si ispirano alla società contemporanea. Riguardano la relazione tra se stesso e il resto della comunità in cui vive. «Credo che le arti mettano in discussione il sistema. Questo spirito è il fulcro delle mie fotografie. L’arte può riflettere te stesso. Stiamo tutti conoscendo meglio noi stessi durante il processo di creazione».

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