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Fuochi su Napoli, fotografie di Mario Amura al Museo di Capodimonte
Fotografia
I “fuochi” a Napoli nella notte di Capodanno sono uno spettacolo magnifico da vedere e da sentire: sono botti, scoppi, squarci, che fanno tremare la terra e le colline in fondo e tutt’intorno, sono crepitii e balenii di luci, archi incandescenti che puntano in alto, salgono nel cielo, appaiono come per miracolo e subito scompaiono. Troppo belli i fuochi a Napoli la notte di Capodanno.
È la stessa forma del luogo, un anfiteatro steso dalle colline ai paesi vesuviani, che ci permette di potere ammirare lo spettacolo dei suoi fuochi, che si distendono, larghi, verso il cielo. Fuochi di luce e di calore. Irripetibili. Che io sappia, non c’è altrove questo spettacolo meraviglioso in un semicerchio di colline: dei fuochi si accendono via via nei vari quartieri, dalla Sanità, a Capodimonte, ai paesi Vesuviani, prima l’uno poi l’altro poi insieme e diventa un tutt’uno: è il fuoco sotterraneo del Vesuvio che si palesa e si rivela amico.
Non so esattamente quando sia successo la prima volta: è Napoli che si esalta e si racconta. Ricordo anni fa, non ero a Napoli, era il primo dell’anno e non c’erano fuochi, non c’erano botti: che pena, non c’era capodanno. Invece da sempre, ho sentito Napoli che, all’avvicinarsi del nuovo anno, freme, si agita e poi si raccorda, con un ritmo sempre più celere, allo scoppio fortissimo della mezzanotte. Non ho mai avuto paura del Vesuvio, anche quando ero bambina: e dei razzi fuori controllo cominciarono a scoppiettare su un terrazzo e a scivolare di qua e di là, mi ci divertivo e il Vesuvio era un amico che faceva festa insieme a me.
Anche quest’anno la festa c’è stata ed è stato Sylvain Bellenger, nel frattempo non più direttore del Museo e del Real Bosco di Capodimonte – attualmente c’è Eike Schmidt – a preparare un suo remake. È stato Bellenger che, salutandola, ha fatto a Napoli l’ultimo regalo: per l’ultima notte dell’anno ha curato questa sua ultima mostra, che s’intitola Napoli Explosion e sarà nel cellaio del Real Bosco di Capodimonte fino al primo aprile 2024.
«In effetti è un regalo che Napoli fa a se stessa, ha detto Bellenger che, come ogni vero napoletano, ama i fuochi. «Questa è una città che ora sento anche mia, perché ho lavorato per lei con tutte le mie energie. Napoli è una città-porto, che si trasforma ed è sempre la stessa, cercano di catturare la sua aura inafferrabile ma non ci riescono. Mi sono accorto che protagonista del capodanno non è il Vesuvio ma la città sommersa dai fuochi, capaci di trasformare la paura in gioia. Ora io non sono più il direttore francese venuto da Chicago nel 2015, sono passati otto anni che mi hanno profondamente trasformato e ammaliato».
I fuochi di Capodanno sono una gioia per cui Napoli si trasforma e diventa una fantasmagoria di luci che cancella ogni cosa che sia altro. Queste, per il capodanno 2024, sono 37 opere fatte di luce, realizzate dall’artista napoletano Mario Amura. Che ha ripreso i fuochi di Capodanno dal Monte Faito con il suo staff, la sua compagna, le sue amiche e i suoi amici. Amura (1973) non è un inesperto novellino. Dopo gli studi di Diritto Internazionale all’Università di Napoli, ha frequentatato il corso di fotografia presso il centro sperimentale di cinematografia e ha iniziato a lavorare come fotoreporter nel 1993. Nel 1999 avviene il suo esordio come direttore della fotografia con E io ti seguo, un film di Maurizio Fiume sull’omicidio del giornalista Giancarlo Siani a opera della camorra. Da allora ha realizzato molte opere fotografiche nel cinema e nella televisione.
C’è una lunga lista delle immagini di Napoli illuminata dai fuochi della notte. Sylvain Bellenger, che ama i fuochi, ama anche le loro riproduzioni in pittura, che naturalmente conosce bene, e cita uno dei più antichi fuochi notturni, quello creato da un pittore francese, Pierre-Jacques Volaire (1729-1799), che, nato a Toulon, la città ora sede della flotta militare francese sul Mediterraneo, si trasferì poi a Napoli e vi si fermò fino alla fine dei suoi giorni. Fu uno specialista dei fuochi vesuviani, ripresi magari di notte durante una festa in riva al mare. Ci trasmette l’incanto di quel luogo e di quel tempo. Bellenger cita anche William Turner (1775-1851), visionario artista britannico, con William Marlow (1740-1813), innamorato delle eruzioni vesuviane, e, tra i contemporanei, Andy Warhol (1928-1987), che, nato in Pennsylvania da genitori emigrati, poi si era stabilito a Manhattan, dove animava la sua Factory, il laboratorio nel quale lavoravano i suoi amici.
Ogni anno, da sempre, a Napoli, si ripete il rito dei fuochi di capodanno. Tutto passa eppure, così, ripetuti ogni anno, sembra che Napoli sia diventata eterna. E se non fosse vero? E se nel buio di una notte di capodanno, senza fuochi e senza luci, anche Napoli scomparisse?