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Brafa, all’inizio della fiera: tutti pazzi per Wesselmann e Delvaux
Mercato
Facevano un gioco i surrealisti, il Cadavre Exquis. Ognuno disegnava su un foglio di carta, lo piegava e lo passava a un altro partecipante, che a sua volta aggiungeva il suo contributo, piegava, passava, disegnava, piegava, passava. Così, all’infinito. Brafa 2024, a Bruxelles, è come il foglio di carta finale. Una sintesi esatta di spunti, di tracce, ma qui sono stand che riassumono cinquemila anni di storia – senza limiti di spazio, di tempo, di memorie che si accumulano eleganti negli spazi di Brussels Expo. C’è l’arte del Novecento al vaglio, Pierre Alechinsky da Axel Vervoordt e Jean-Michel Basquiat da Zidoun-Bossuyt Ballery, solo per iniziare. Ci sono senz’altro i vecchi maestri, vedi lo stand di De Jonckheere, che non tradisce il suo animo fiammingo – porta in scena i tulipani striati di Jan Brueghel il Giovane, i volti poco rassicuranti di Jan van Amstel (venduti a poche ore dal gong del via), poi torna al moderno con le nuvole di Magritte. Ci sono i gioielli eclettici di Gioielleria Nardi, il design di Robertaebasta (un’altra sfilza di bollini rossi, “sold!”), i capitelli con foglie di acanto e palme di Mearini Fine Art. Tutto in mostra e tutto in vendita, 132 gallerie riunite insieme sotto il cielo plumbeo di Bruxelles.
Si apre il sipario sulla 69esima edizione di Brafa – accesso al pubblico da oggi, 28 gennaio, fino a domenica 4 febbraio. Fuori, dall’aeroporto ai palazzi eccentrici del Sablon, svettano come totem le bandiere blu della fiera. Dentro, tra gli ampi corridoi, ovunque sogni allucinati, nuvole, teschi e apparizioni. Il filo rosso è il Surrealismo, a cento anni dal suo Manifesto – c’è un’edizione originale in vendita, a proposito, nello stand di Clam, asking price € 25.000. Ed è il pittore Paul Delvaux a fare gli onori di casa – belga, ovviamente, nacque nel 1897 ad Antheit, non lontano da Liegi – lo ritroviamo ovunque nella fiera: nello spazio di Harold t’Kint de Roodenbeke, presidente di Brafa ed esperto di arte moderna, dove i disegni più piccoli sono offerti a partire da € 5000; da Boon Gallery, con una grande La ville lunaire esposta alla XXVII Biennale di Venezia nel 1954; da Guy Pieters Gallery, dove l’opera su carta Alésia ou les captives del 1973 è offerta per € 350.000-450.000; ancora da Opera Gallery, con i giochi di luce de La Fin du Voyage (1968), nel 2022 passava sotto il martello di Sotheby’s per € 2,3 milioni e nel 2003, dalla competitor Christie’s, per £ 380.650.
«Cos’è il Surrealismo?», lo scriveva – e rispondeva – proprio Paul Delvaux. «Per me soprattutto una rinascita dell’idea poetica nell’arte, la rinascita del soggetto, ma in senso ben deciso, è quella dello strano e dell’illogico». Ed ecco Le Palais de rideaux di Magritte, anno 1928, esposto da Galerie de la Béraudière: quattro forme antropomorfe su uno sfondo dorato appartenute a Marcello Mastroianni, che le acquistò nel 1965 e le conservò per anni nella sua villa di Fregene. Asking price: nella regione dei € 2-3 milioni. Poi un’altra opera surrealista, La Légende des Siècles di Magritte, in bella mostra da De Jonckheere, proprio all’inizio della fiera. In ottima compagnia con gli scatti di Dora Maar da Galerie Alexis Pentcheff, con la mela dorata di Lalanne da Helene Bailly Gallery, con Félix Del Marle e Salvador Dalì da Galerie Ary Jan, ancora Oscar Dominguez da Galerie AB&BA. E c’è anche Max Ernst tra i pezzi forti di Brafa 2024: da Die Galerie, allo stand 80, Corps enseignant pour une école de tueurs – una sorta di anti-monumento irriverente, perfettamente in linea con il carattere anarchico dell’artista – cerca un acquirente per € 2,6 milioni.
Non solo Surrealismo. C’è un altro nome dominante tra le fila di Brafa, è Tom Wesselmann, maestro della Pop Art. La Samuel Vanhoegaerden Gallery gli dedica l’intero stand: dai collage di salotti americani (estremamente rari, si trovano per lo più nelle collezioni museali) all’iconica serie dei Great American Nude, ispirata da Matisse; e poi soprattutto un focus straordinario sui suoi steelcut works, quei lavori in acciaio realizzati a partire dagli anni ’80 grazie alla tecnica del laser, che lo resero – disse – un artista nuovo. «Il record d’asta per un’opera di Tom Wesselmann è di $ 10,7 milioni, risale al 2008», dicono dalla galleria. «Va da sé che la fascia di prezzo delle opere esposte a Brafa è notevolmente inferiore, compresa tra € 50.000 ed € 750.000, ma è plausibile che Wesselmann possa essere una delle riscoperte dei prossimi anni». E già si vocifera che la Fondation Louis Vuitton sia pronta a dedicargli un’ampia monografia, nessuna conferma per il momento dalla programmazione ufficiale.
Sembrano d’accordo gli espositori di Brafa 2024, sono in tanti a scommettere sull’artista erotico-pop. Da Cortesi Gallery, con i piccoli Blonde on Beach (1967) e Study for bedroom painting 25 (1967), fino a QG Gallery e Boon. Sempre perfettamente amalgamati con i micro-topic più vari, da un booth all’altro della fiera. C’è tutto: da Romigioli Antichità, una collezione di posate cinquecentesche, tutte cesellate in maniera differente, è offerta per € 90.000. La parigina Galerie Hioco, specializzata in arte indiana e del sud-est asiatico, assegna ben presto una Jālī ad arco, particolarmente popolare durante il periodo Moghul, € 25.000. Poi le ceramiche di Laurence Lenne, l’arte africana di Dalton Somarè, il baldacchino del XV secolo da Di Bardi Art. Straordinari – come a ogni edizione – gli arazzi di De Wit. «Brafa è sempre una splendida occasione per incontrare i nostri clienti locali», conferma a exibart Pierre Maes, direttore della galleria, che ha sede proprio in Belgio, a Mechelen. La selezione 2024 è un incontro tra antico e moderno: da una scena di corte del XVI secolo – giochi di sguardi, simboli e tradizioni, tutti tessuti in seta e lana – fino a Cassiopèe, un esperimento tessile di Victor Vasarely, un multiplo; ben in linea con la sua visione democratica dell’arte, con la sua cité polychrome du bonheur.
A proposito di varietà: Zebregs & Röell – che tra i suoi clienti abituali conta il Metropolitan Museum di New York, il Boston Museum of Fine Arts e il Chicago Art Institute, per rendere l’idea – dà vita a una vera e propria wunderkammer nello stand numero 110. Vedi il carapace in vendita per € 8000, insieme a un dente di megalodonte (€ 9500), le miniature indiane, un prezioso cabinet intarsiato che «per la sua somiglianza molto stretta, potrebbe essere il pendant del mobile di Van Mekeren ora al Victoria & Albert Museum» (€ 45.000). Eterogeneità, tra le parole chiave di Brafa. Di generi, di prezzi – e di collezionisti, ça va sans dire.
Pit stop obbligato allo stand numero 94, probabilmente il più originale di tutta la fiera. Perché la Galerie Marc Maison ha interamente ricostruito una sala progettata dal grande maestro dell’Art Nouveau Victor Horta per un edificio di Kortrijk, in Belgio. Fu commissionata agli inizi del XX secolo dai Devettere Bonnet (una ricca famiglia della borghesia industriale che prosperava nella produzione di tabacco da fiuto e sigari), ma «in assenza di archivi», spiegano, «i suoi interni erano caduti nel più completo oblio». Di recente, la galleria ne ha rinvenuto i rivestimenti, il camino, le credenze, ma anche le preziose vetrate, il lucernario, perfino quattro statuette in gesso dorato di Pierre Braecke. Poi si è rivolta alla Prelle Manufacture, la Galerie Marc Maison, per replicare perfettamente il tessuto “Horta”, un damasco di seta verde moiré. Ed ecco il risultato: un tesoro riscoperto, inedito, oggi ricomposto tra i booth del Brussels Expo. Il valore si aggira intorno ai € 12 milioni.
«C’è tutto a Brafa», ripetuto come un mantra. Inclusa la contemporaneissima Anna Weyant, l’enfant prodige che scuote il mercato delle aste e nel 2022 fissava il record, da Sotheby’s, a quota $ 1,6 milioni. Da Stern Pissarro Gallery, la sua Charlotte, un classico ritratto su sfondo impenetrabile, nero, è presentata per € 200.000-300.000. Così, da Repetto Gallery, trova posto un’altra superstar del mercato, l’italiano Salvo, con una serie di paesaggi come Il ruscello del 2014 o Sant’Anna del 2009. Poi un salto indietro nel tempo con gli Old Masters di Giammarco Cappuzzo Fine Art: come Alessandro e Diogene di Giovanni Battista Langetti – la barba incolta, i riflessi sull’armatura, il linguaggio quasi teatrale delle mani – molto simile nella composizione a quello della Pinacoteca Nazionale di Bologna; o ancora l’Apostolo di Jusepe de Ribera, che trova echi notevoli nella serie di apostoli del Prado. A proposito di qualità museale.
Antico e moderno si incontrano, tra i corridoi di Brafa, a Bruxelles. Nessun limite, nessun tempo, un po’ come nei sogni in chiaroscuro di Delvaux. Inizia la fiera.