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Idolo, Bologna: il monito di Atelier dell’Errore a non sottovalutare l’immaginazione
Mostre
«Se saprai guardare, vedrai manifestarsi davanti ai tuoi occhi gli esseri che pullulano negli abissi dell’animo umano. Non fantasmi, non apparizioni, bensì vere immagini di ciò che c’è lassù, in alto, nel cielo, di quello che c’è qui, sulla terra, accanto a noi» ha scritto una volta Marco Belpoliti rivolgendosi a coloro che avrebbero intrapreso quel viaggio, veramente straordinario, creato da Atelier dell’Errore.
Quest’avviso torna utile in occasione di Idolo, la nuova mostra di AdE, il collettivo fondato da Luca Santiago Mora, a cura di Leonardo Regano, che assorbe e trasforma lo spazio dell’antico ex Oratorio di Santa Maria degli Angeli, da più di 40 anni adibito a laboratorio di restauro (LabOratorio degli Angeli), con una forza immensa, quasi liturgica, che proviene da altrove ed è diretta altrove. L’incontro, tra la provenienza e la destinazione, come in un lampo, come un colpo d’occhio su qualcosa che si relaziona con noi ma non si esaurisce con noi.
«Noi ci troviamo a nostro agio qui, già per l’odore che si respira. È un laboratorio, è popolato di materie prime», spiega Luca Santiago Mora avvicinandosi a un blocco unico di grafite – materia prima che esiste in natura, che viene cavata dalla montagna – su base di ottone, Idolo nero, che anticipa e fonda quel rapporto con l’atto creativo che è diventato un tratto identitario di AdE: la grafite è infatti la materia di base del disegno, che è la tecnica che ha dato fondamento e inizio all’opera del collettivo – dal 2018 studio d’arte cooperativo con sede nella Collezione Maramotti.
La fisicità della materia prima, rigorosa, finanche imperitura nel suo allestimento, è la stessa corporeità del San Giovannino in restauro e dell’installazione fotografica a grado zero intitolata a Castore (2018) e Polluce (2018), i due Diòscuri, entità benevoli e protettrici, a cui si rivolge una ragazza, che qualcuno forse riconoscerà: correva l’anno 2015 quando i ragazzi dell’Atelier dell’Errore realizzarono il video The Fairy Queen (proiettato, proprio quell’anno, nel monastero di Sant’Agata del Carmine a Bergamo nel progetto di Contemporary Locus) durante il quale, in un ritmo ipnotico, proprio quella ragazza catalizzava le energie liberate dagli animali fantastici lasciando intuire un secondo punto di fuga, questa volta non naturale ma creato dalla capacità di superare, quasi sfondare, i limiti che le convenzioni sociali impongono.
Ecco, per Idolo, la ragazza veste una maschera rituale, sciamanica, si rivolge ai Diòscuri affinché segnino il tragitto verso il cuore dell’intervento di AdE, nel cuore dell’ex Oratorio dove Luca Santiago Mora narra abiti – nascosto dietro una parete – un grosso animale rosso che lascia intravedere soltanto le sue zampe. Chi mai potrebbe contraddirlo? La verità del resto ci appartiene, ce l’abbiamo addosso. Ed è visibile, recuperando i nostri sensi. Qui, Idolino rosso, una scultura aracneiforme che districa i suoi arti nello spazio circostante per la prima volta, perché ha sempre vissuto dentro all’atelier di AdE, trova posto ergendosi su una Montagna Sacra che «voleva essere un Merzbau, una cosa punk – spiega Luca – una cosa che fosse energia pura e irrefrenabile, come siamo noi» e alla fine è diventata un ostensorio liturgico. Idolino vive come fosse un campo di forza, si interseca con tutte le emanazioni spazio-temporali, proprie e altrui, entrando in relazioni causali tra sé nei suoi elementi e con noi, così come in connessioni inter-oggettive creando, di fatto, una prospettiva. Che potrebbe sembrare, scoprendoci tutti un po’ liturgici, l’ammonimento del processo divinatorio in atto.
Sulla parete sinistra è esposta laGrande Cellula Madre, omaggio intrinseco alla femminilità creatrice, che svela l’inizio di ogni cosa, è informe che dà vita e origine a un immaginifico bestiario, fatto di esseri insettiformi e di presenze aliene che invadono e trasformano l’ambiente che le ospita. Dietro lIdolino, sulla destra 12 Cellule Oracolari si dipanano come prodomi nucleici di energia fluttuante e luminosa in atto di incarnarsi. Sulla parete destra invece, sotto i residui residui affrescati dei tre grandi ovali che ritraggono tre grandi donne dell’Antico Testamento, Abigail, Ester e Ruth, è esposta The Ghost Parade, una parata di 4 enormi creature fantasmatiche, evidenziate da enigmatiche rotondità in foglia oro, probabilmente generate dall’azione generativa mitica.
Il video Micro-Atlas, in cui un giovane artista di AdE, ferma il suo sguardo, quasi impietrito sul lento e circospetto muoversi di una Halyomorpha halys (la cimice marmorata o asiatica) su una versione in miniatura dell’Atlante di Zoologia Profetica, chiude il percorso espositivo, che però ha in programma di vivere, «fino a far tremare i vetri» anticipa Luca, con la performance Idol, in programma stasera e domani pomeriggio. In quest’occasione, che sempre è contenuta nella stessa intenzione dell’opera e fa venire in luce ciò che in essa è contenuto, Nicole Domenichini e Matteo Morescalchi, due performer di AdE, interpreteranno Pizia-Cassandra e Tiresia, nel ritmo di un cut-up dai primi trenta “Cantos” di Ezra Pound introdotto e conchiuso, in dialogo simbolico e biografico, con “Psalm III” di Allen Ginsberg.
Cosa resta? Nel testo che accompagna la mostra il curatore Leonardo Regano scrive «L’Atelier dell’Errore ha dato una forma all’informe energetico (ed emotivo) su cui si regge, e ha creato la vita», e cita Foucault «Con un senso tutto nuovo e in una cultura differente le forme resisteranno: soprattutto quella importante di una separazione rigorosa che è esclusione sociale ma reintegrazione spirituale» per spiegare l’essenza della diversità. Quella diversità che si nutre di un’immaginazione urgente, che muove alla mancanza di spazi e tempi convenzionali «tra le pareti della nostra casa o del nostro nido» per farci vedere di più, udire di più, sentire di più.