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A proposito di Povere Creature!: Yorgos Lanthimos rischia di perdere il suo smalto?
Cinema
Da sempre il regista greco è interessato a dare forma a storie che ruotano intorno a sistemi chiusi. I dialoghi sono spesso ridotti all’osso ma l’attenzione al lessico è decisiva. Le parole, decontestualizzate e cambiate di senso, rappresentano indizi misteriosi e sostegni a cui sorreggersi in narrazioni a prima vista reticenti. Simbolismi e metafore si accompagnano a uno stile controllato, non per questo meno visibile o appariscente. I suoi primi fortunati lavori, all’inizio degli anni Duemila, si collocano agli albori del nuovo cinema greco – meglio conosciuto come GreekWeird Wave – insieme all’opera di Babis Makridis, Alexandros Avranas e Athina Tsangari. Il duraturo sodalizio instaurato con lo sceneggiatore Efthymis Filippou non è interrotto neppure dal passaggio a film in lingua inglese che ricalcano con discreta esattezza la struttura degli esordi. Certo, aumentano i mezzi a disposizione, il nome degli attori diviene più blasonato, lo stile si consolida. In generale, molti elementi del cinema di Lanthimos – la precisione della regia, la freddezza della messinscena, la fascinazione per i gruppi familiari opprimenti, le atmosfere create dal ripetersi di routine asfissianti – aderiscono perfettamente alla nuova ambientazione. Un film su una società distopica, in cui solo chi è in una relazione sentimentale può vivere in libertà, The Lobster, ne precede un altro, Il sacrificio del cervo sacro, su una famiglia borghese in cui ogni autorità viene messa in dubbio dalla subdola presenza di un estraneo. Il percorso espressivo e autoriale evolve in modo all’apparenza coerente fino ad arrivare a una svolta: la strada imboccata finisce per condurre a quest’ultimo Povere creature!, Leone d’oro al Festival di Venezia e attualmente nelle sale italiane.
Nel 2018, il barocchismo de La favorita è il banco di prova perfetto per misurare le nuove ambizioni. Alla sceneggiatura, Filippou cede il posto a Tony McNamara. Robbie Ryan sostituisce ThimiosBakatakis, altro collaboratore abituale, nel ruolo di direttore della fotografia. Abbondano sequenze in cui le inquadrature distorcono lo spazio, curvando i bordi dell’immagine e costringendo i personaggi in gabbie deformate. Emma Stone dà una grande dimostrazione di talento alternando registri diversi dentro un impianto narrativo che propone continui ribaltamenti di fronte e di fortuna. Il film ottiene premi importanti a Venezia e riceve numerose candidature agli Oscar, vincendone solo uno (a Olivia Colman come miglior attrice).
Molto di ciò che si è detto risulta vero anche per Povere creature!.La macchina produttiva si accresce ulteriormente. Il budget sale, con stime che attestano una cifra, ancora media per il mercato americano, di circa trentacinque milioni. La troupe è confermata sia nelle maestranze, sia nella sua interprete, stavolta nelle vesti di assoluta protagonista e di produttrice. La storia, tratta dal romanzo di Alasdair Gray, racconta le tappe della formazione e della crescita di Bella Baxter, giovane donna a cui è stato impiantato il cervello di una bambina. In viaggio in Europa, troverà l’emancipazione e conquisterà l’indipendenza attraverso una presa di coscienza, per così dire, filosofica dei propri desideri e della propria identità. Poiché le vicende si svolgono in un passato ipertecnologico, si è parlato di favola steampunk, ma la naturalezza per affrontare il genere sembra fare difetto alle inclinazioni del regista, rivolte piuttosto verso un’idea di moderna satira di costume. Furbamente pubblicizzato come un Barbie gotico, il film somiglia più a una versione ricercata di Crudelia – blockbuster Disney sceneggiato da McNamara e ovviamente interpretato da Stone – per l’uso consistente di effetti speciali nella costruzione delle ambientazioni e le sembianze stravaganti del trucco e dei costumi.
Se la produzione precedente di Lanthimos aveva rappresentato una formula facilmente esportabile all’estero – forse ricordando la parabola di altri beniamini dei festival europei approdati ben presto negli Stati Uniti, vedasi i casi recenti di Ruben Östlund e Kristoffer Borgli – adesso viene intrapresa una via diversa che punta a legittimarlo nella ristretta cerchia hollywoodiana degli autori di fantasy ad alto costo. Il film, in particolare, presenta un debito notevole nei confronti dell’immaginario di Tim Burton da cui sembra prelevare l’uso pop di elementi grotteschi e la comicità stralunata. La sfida – visti gli incassi, il largo consenso critico e le undici nomination ai prossimi Oscar – sembra vinta, ma rimane difficile non notare il calo di tensione che avviene nel capitolo che mette in scena la permanenza sulla nave.
All’arrivo al bordello di Parigi, complice anche la temporanea uscita di scena di un inedito ma bravissimo Mark Ruffalo, la pellicola ha perso tutta la sua magia e non sa più rilanciarsi narrativamente in modo convincente. Si rifugia invece nel constatare l’ovvio, con la pretesa di essere presa sul serio e riducendo il tema, prima affrontato con trascinanti toni farseschi, in una tirata didattica destinata a sfaldarsi nel sovrabbondante segmento finale. La sceneggiatura zeppa di botta e risposta e scambi di battute brillanti, ovvio veicolo per gli attori, riassume dentro di sé lo scarto fra ciò che interessavaal Lanthimos di inizio carriera e ciò che caratterizza quello del presente. In effetti, è un’apertura: ma verso una rappresentazione meno impegnativa e più impersonale, all’affannosa ricerca di un riconoscibile marchio stilistico. Il senso del controllo e l’esercizio del potere attraverso la sessualità, motivi cari nelle regie passate, si tramutano in orpelli estetizzanti attraverso il grandangolo, il fish-eyee in insipide citazioni di Fassbinder (tutta la sezione del viaggio in mare in cui è infatti presente Hanna Schygulla).
Lo spunto, non originale ma neppure privo di interesse, di una prospettiva ancora fanciullesca sulle dinamiche della società degli adulti, corrotta e patriarcale, può avvincere, così come possono apparire interessanti alcuni dettagli, come il gusto surrealista – fra i collage di Max Ernst e i fotomontaggi di Joan Fontcuberta – del bestiario mutante di casa Baxter. Povere creature!, però, seppur erede della tradizione postmoderna del Frankenstein e nonostante il grande successo, costituisce un passo interlocutorio nella filmografia di un regista pronto a diventare grande, sulla via della definitiva affermazione nell’industria d’oltreoceano.