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Dall’inizio di gennaio, il quarto piano del Museo del Novecento di Milano è stato interdetto al pubblico e le sale dedicate all’arte d’avanguardia della seconda metà del XX secolo con le opere del Gruppo T sono state disallestite: l’accesso tramite la passerella sospesa tra Arengario e Palazzo Reale è stato chiuso. A mettere in evidenza la situazione è la Fondazione Mudima, con una lettera inviata agli organi di stampa e firmata dagli artisti Giovanni Anceschi e Davide Boriani: «Non è neppure possibile rintracciare informazioni sulla eventuale prossima riapertura e sul destino di quegli spazi. Un biglietto collocato all’entrata avvisa i visitatori che “per motivi tecnici” alcune sale del percorso espositivo sono solo parzialmente visitabili».
Il Museo del Novecento, insieme ad altre prestigiose sedi espositive, come la GAM – Galleria d’Arte Moderna, fa parte del Polo Museale del Moderno e Contemporaneo, diretto da Gianfranco Maraniello e sotto l’egida del Comune di Milano. A settembre 2023 è stato approvato un progetto di ampliamento da 27 milioni di euro, vincitore di un concorso internazionale di progettazione, che aumenterà la superficie espositiva a disposizione per la collezione civica di arte moderna e contemporanea, coinvolgendo anche il secondo edificio dell’Arengario, che sarà collegato al gemello tramite una passarella aerea.
Nello specifico, le sale smantellate sono quelle dedicate al Gruppo T, fondato a Milano, nell’ottobre del 1959, da Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi, a cui si aggiunse poco dopo Grazia Varisco. Il gruppo proseguì la sua attività fino alla fine degli anni ’60, inserendosi nel solco delle coeve ricerche internazionali dell’arte programmata e dell’arte cinetica. I suoi membri parteciparono, tra le altre manifestazioni, alla Biennale di Venezia del 1964 – l’edizione in cui la Pop Art statunitense fu “ufficialmente” presentata in Europa – e all’epocale mostra The Responsive Eye al MoMA – Museum of Modern Art di New York nel 1965, scandendo un momento significativo per l’arte italiana e per l’ambiente culturale di Milano, di cui il Museo del Novecento teneva traccia attraverso una serie di opere e installazioni che, adesso, sono state smontate.
«La Tricroma di Anceschi è stata restituita. I quattro “ambienti”, l’Ambiente a shock luminosi di Anceschi, l’Ambiente stroboscopico n. 4 di Boriani e l’Ambiente Strutturazione a parametri virtuali di Gabriele Devecchi, smontati e, se non di proprietà del museo, restituiti anch’essi, come nel caso dello Spazio elastico ambiente di Gianni Colombo», continua la lettera, che fa notare come sia sembrata «Strana» la scelta di museo di «Privarsi di opere già acquisite, diminuendo di fatto il fondo che costituisce la sua ricchezza». Nella lettera, si specifica come sia «Assente qualsiasi rassicurazione rispetto ad una loro possibile nuova collocazione all’interno del museo». «Ma soprattutto è la decisione di smontare gli ambienti, allestimenti per loro natura fragili e difficilmente ripetibili, senza un progetto concreto di ricollocazione che desta le maggiori preoccupazioni».
Spesso capita che nei musei le opere vengano movimentate, non solo per prestiti a mostre temporanee in altre sedi ma anche per esporre altri lavori, conservati nei depositi e visti meno di frequente ma non meno preziosi, nell’ottica di una sana rotazione. Il discrimine, ovviamente, è seguire una metodologia precisa, dichiarata e storiograficamente motivata, programmatica e non occasionale. Va inoltre chiarita la posizione giuridica delle opere, se di proprietà della collezione del museo oppure concesse in comodato d’uso o in prestito. In tal caso, alla scadenza dei termini stabiliti, l’opera dovrà tornare al proprietario, se le parti dovessero decidere di non rinnovare il prestito o di non acquisirla definitivamente – e per vari motivi di opportunità, un museo è libero di non acquisirla, come un proprietario può decidere di non rinnovare il prestito.
Gli “ambienti” erano stati allestiti nel 2010, con l’attiva collaborazione e supervisione degli artisti, «Fatto che rendeva quell’allestimento irripetibile, rappresentando un’esperienza museale unica a livello internazionale» (Devecchi purtroppo è scomparso nel 2011). «Ciò che è avvenuto al Museo del Novecento prefigura sostanzialmente l’affossamento dell’idea originaria da cui è nato il museo e, in generale, la rinuncia a ogni prospettiva che tenga conto dello svilupparsi dell’avanguardia artistica».
Gli estensori della lettera lanciano allora un appello: «Chiediamo alla città, agli artisti, ai critici e agli intellettuali di mobilitarsi perché venga preservato un luogo amato dai milanesi, visitato dagli studenti, anche i più piccoli, e attrattivo per i turisti e gli studiosi di tutto il mondo. Raccoglieremo e pubblicheremo documenti e dichiarazioni di artisti, critici, intellettuali e cittadini che sono contrari o che giudicano negativa sul piano storico l’eliminazione della sezione del Museo del 900 dedicata all’arte programmata e cinetica e la distruzione degli ambienti che questa sezione raccoglie». Per rispondere all’appello, si può scrivere a anceschi.boriani.gruppot@gmail.com.