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Ibrahima Thiam – Portrait Vintage
“Portrait Vintage”, la prima personale italiana dell’artista senegalese Ibrahima Thiam, reduce dalla mostra appena inaugurata al KINDL Centre for Contemporary Art di Berlino. La rassegna presenta opere fotografiche realizzate fra il 2014 e il 2019 che raccontano l’immaginario di Thiam.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Giovedì 28 marzo alle 18:30 c|e contemporary inaugura “Portrait Vintage”, la prima personale italiana dell’artista
senegalese Ibrahima Thiam, reduce dalla mostra appena inaugurata al KINDL Centre for Contemporary Art di Berlino.
La rassegna presenta opere fotografiche realizzate fra il 2014 e il 2019 che raccontano l’immaginario di Thiam. Un mondo
ideale che, fin dagli inizi dell’attività dell’artista, si alimenta grazie alle indagini condotte su memoria, archivi fotografici e
narrazioni orali della tradizione africana.
Nato a Saint Louis e trasferitosi a Dakar per studiare economia, Ibrahima scopre, in seguito alla partecipazione a un
workshop organizzato dal Goethe Institute durante il Mese della Fotografia di Dakar, che il medium più adatto per
condurre le ricerche di suo interesse è la fotografia.
La collezione di famiglia che contiene ritratti realizzati da alcuni dei più importanti fotografi africani è stata per lui
stimolo e nello stesso tempo oggetto e base di lavoro per la creazione della serie in mostra.
Ibrahima ritrae persone che tengono nelle mani stampe fotografiche che riproducono persone vissute in altri tempi,
dando così vita a doppi ritratti. Il passato gioca con il presente, l’analogico dialoga con il digitale creando un confronto fra
spazi, tempi e epoche differenti.
La fotografia di studio prodotta fra il Mali, il Senegal e la Nigeria ha infatti una storia importantissima per il continente e i
ricchi archivi esistenti ci narrano di un importante mestiere che veniva trasmesso da padre a figlio.
La fotografia d’arte nei luoghi in cui vive Ibrahima si è posizionata per molto tempo al margine della fotografia di studio.
Il fotografo non era considerato un artista e la fotografia non era considerata una forma d’arte. Con Ibrahima, invece, i due piani finalmente convergono. Prima pittore, poi fotografo con i “portrait vintage”, Thiam si pone in un crocevia di
epoche e di modi di intendere la fotografia e in particolare il ritratto proponendoci una ricostruzione antropologica e
storico-sociale del patrimonio identitario della comunità di cui è membro attivo.
Il suo sguardo è quello di un’artista contemporaneo figlio del suo tempo che vuole catturare e reinventare il linguaggio
visivo che proviene dal passato per non dimenticare; nello stesso tempo, vuole dare un punto di vista contemporaneo e
non nostalgico o puramente documentaristico.
Uno sguardo che porta lo spectator, come definiva il fruitore dell’immagine il grande critico e semiologo Roland Barthes
nel suo testo “La Camera Chiara” del 1979, pubblicato nel 1980, a interrogarsi su quanto l’operator volesse comunicare.
Per restare nel solco tracciato da Barthes possiamo dire che lo studium dell’opera di Ibrahima ci svela il patrimonio
storico-culturale di un continente, dei suoi riti e della sua ricchezza umana.
Mentre il punctum, ovvero quell’aspetto emotivo di una fotografia che ci punge e ferisce al punto di coinvolgerci nel
profondo, quel quid che ci trafigge, in sintesi il noema/ l’essenza di uno scatto in “Portrait Vintage”, si può ravvisare
nell’unione quasi perturbante fra passato e reale contemporaneo che si presenta però senza volto. Infatti, nelle opere di
Thiam, il soggetto contemporaneo che regge la fotografia d’epoca è nascosto dietro essa, celandosi dietro il ritratto di chi
non c’è più.
Sempre per citare il grande semiologo francese, nei lavori di Ibrahima possiamo rinvenire una fotografia sovversiva che
non è quella che spaventa o stupisce, ma quella che induce a pensare a riflettere diventando, in questo caso, quasi
perturbante.
L’artista-narratore ci sconvolge con un racconto che parla del passato e si arricchisce di nuove storie così come è nella
natura delle tradizioni orali, all’interno delle quali chi ha ascoltato può riportare ciò che ha sentito aggiungendo nuovi
elementi che verranno raccontati in seguito.
In un continuo divenire e dialogo fra piani temporali differenti, le fotografie di Ibrahima diventano strumento per
rispondere alle domande che in qualsiasi continue l’essere umano si pone: chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?
Ibrahima Thiam vive e lavora fra Saint Louis e Dakar le sue opere sono state esposte in numerose mostre nazionali e
internazionali
La mostra è curata da Christine Enrile e in collaborazione con Galerie Eulenspiegel di Basilea e OH Gallery di Dakar.
L’artista sarà presente all’opening e disponibile per interviste
senegalese Ibrahima Thiam, reduce dalla mostra appena inaugurata al KINDL Centre for Contemporary Art di Berlino.
La rassegna presenta opere fotografiche realizzate fra il 2014 e il 2019 che raccontano l’immaginario di Thiam. Un mondo
ideale che, fin dagli inizi dell’attività dell’artista, si alimenta grazie alle indagini condotte su memoria, archivi fotografici e
narrazioni orali della tradizione africana.
Nato a Saint Louis e trasferitosi a Dakar per studiare economia, Ibrahima scopre, in seguito alla partecipazione a un
workshop organizzato dal Goethe Institute durante il Mese della Fotografia di Dakar, che il medium più adatto per
condurre le ricerche di suo interesse è la fotografia.
La collezione di famiglia che contiene ritratti realizzati da alcuni dei più importanti fotografi africani è stata per lui
stimolo e nello stesso tempo oggetto e base di lavoro per la creazione della serie in mostra.
Ibrahima ritrae persone che tengono nelle mani stampe fotografiche che riproducono persone vissute in altri tempi,
dando così vita a doppi ritratti. Il passato gioca con il presente, l’analogico dialoga con il digitale creando un confronto fra
spazi, tempi e epoche differenti.
La fotografia di studio prodotta fra il Mali, il Senegal e la Nigeria ha infatti una storia importantissima per il continente e i
ricchi archivi esistenti ci narrano di un importante mestiere che veniva trasmesso da padre a figlio.
La fotografia d’arte nei luoghi in cui vive Ibrahima si è posizionata per molto tempo al margine della fotografia di studio.
Il fotografo non era considerato un artista e la fotografia non era considerata una forma d’arte. Con Ibrahima, invece, i due piani finalmente convergono. Prima pittore, poi fotografo con i “portrait vintage”, Thiam si pone in un crocevia di
epoche e di modi di intendere la fotografia e in particolare il ritratto proponendoci una ricostruzione antropologica e
storico-sociale del patrimonio identitario della comunità di cui è membro attivo.
Il suo sguardo è quello di un’artista contemporaneo figlio del suo tempo che vuole catturare e reinventare il linguaggio
visivo che proviene dal passato per non dimenticare; nello stesso tempo, vuole dare un punto di vista contemporaneo e
non nostalgico o puramente documentaristico.
Uno sguardo che porta lo spectator, come definiva il fruitore dell’immagine il grande critico e semiologo Roland Barthes
nel suo testo “La Camera Chiara” del 1979, pubblicato nel 1980, a interrogarsi su quanto l’operator volesse comunicare.
Per restare nel solco tracciato da Barthes possiamo dire che lo studium dell’opera di Ibrahima ci svela il patrimonio
storico-culturale di un continente, dei suoi riti e della sua ricchezza umana.
Mentre il punctum, ovvero quell’aspetto emotivo di una fotografia che ci punge e ferisce al punto di coinvolgerci nel
profondo, quel quid che ci trafigge, in sintesi il noema/ l’essenza di uno scatto in “Portrait Vintage”, si può ravvisare
nell’unione quasi perturbante fra passato e reale contemporaneo che si presenta però senza volto. Infatti, nelle opere di
Thiam, il soggetto contemporaneo che regge la fotografia d’epoca è nascosto dietro essa, celandosi dietro il ritratto di chi
non c’è più.
Sempre per citare il grande semiologo francese, nei lavori di Ibrahima possiamo rinvenire una fotografia sovversiva che
non è quella che spaventa o stupisce, ma quella che induce a pensare a riflettere diventando, in questo caso, quasi
perturbante.
L’artista-narratore ci sconvolge con un racconto che parla del passato e si arricchisce di nuove storie così come è nella
natura delle tradizioni orali, all’interno delle quali chi ha ascoltato può riportare ciò che ha sentito aggiungendo nuovi
elementi che verranno raccontati in seguito.
In un continuo divenire e dialogo fra piani temporali differenti, le fotografie di Ibrahima diventano strumento per
rispondere alle domande che in qualsiasi continue l’essere umano si pone: chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?
Ibrahima Thiam vive e lavora fra Saint Louis e Dakar le sue opere sono state esposte in numerose mostre nazionali e
internazionali
La mostra è curata da Christine Enrile e in collaborazione con Galerie Eulenspiegel di Basilea e OH Gallery di Dakar.
L’artista sarà presente all’opening e disponibile per interviste
28
marzo 2024
Ibrahima Thiam – Portrait Vintage
Dal 28 marzo all'undici maggio 2024
arte contemporanea
Location
C|E CONTEMPORARY MILANO
Milano, Via Gerolamo Tiraboschi, 2, (Milano)
Milano, Via Gerolamo Tiraboschi, 2, (Milano)
Orario di apertura
martedì - sabato 9-13 | 15-19
Vernissage
28 Marzo 2024, dalle 18.30
Sito web
Autore
Curatore