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Teatri monumenti nazionali, la legge beffa. E c’è anche il danno
Teatro
Il Teatro delle Erbe di Milano è inserito nell’elenco dei teatri “Monumento nazionale”. Peccato che il teatro sia chiuso dal 2007 e che al suo posto sia stato aperto un ristorante. Questa è solo una delle tante e variegate stranezze che si possono trovare analizzando la mappa realizzata da Ateatro dopo l’approvazione alla Camera della legge “Dichiarazione di monumento nazionale di Teatri italiani” del 3 aprile scorso, voluta dal presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone (Fratelli d’Italia). Oltre a spazi chiusi da anni, refusi e doppioni, in questo elenco ci sono teatri che hanno cambiato nome da decenni, come il Teatro Fossati di Milano, ricostruito nel 1986 e ribattezzato Studio Melato nel 2013, o grandi assenti, come il Teatro Romano e l’Arena di Verona, il Teatro Bellini a Napoli e il Teatro Romano di Pompei.
Ma soprattutto non si capisce l’idea che ispira il provvedimento. Da anni ormai la comunità europea finanzia percorsi di audience engagement e development e di capacity building per rimettere al centro la fruizione culturale e scardinare l’idea di un teatro pieno di poltrone di velluto rosso passatempo della borghesia. Questa legge va nella direzione opposta: pensare il teatro come un luogo “monumento” da ammirare, come un involucro ancorato a una logica di fruizione passiva: uno spazio in cui si entra per ammirare quello che avviene e per rimarcare uno status. Invece il teatro è – e deve essere – un luogo dove si fa cultura viva, uno specchio della quotidianità e delle società che porta in scena.
Ne abbiamo parlato con Oliviero Ponte di Pino, autore del volume Cultura. Un patrimonio per la democrazia (Vita e Pensiero, 2023) e curatore di ateatro.it, che ha pubblicato la mappa dei 408 teatri monumento nazionale (consultabile qui).
Perché una mappatura dei teatri “monumento nazionale”?
«Inizialmente i teatri “monumento nazionale” dovevano essere 46, ma questa prima mappa è stata bocciata perché molto lacunosa e perché non si capivano i criteri di inclusione ed esclusione. L’elenco è stato allargato a 408 teatri, ma ci sono ancora molte assenze gravi, come il Teatro Carignano di Torino, sono presenti teatri che sono stati bombardati e non esistono dalla Seconda Guerra Mondiale, ci sono doppioni…Alla Camera nessuno ha riletto la lista!».
Ma che cosa serve eleggere i teatri “monumento nazionale”?
«Dovrebbe essere un grande motivo d’orgoglio per il nostro teatro, perché ne riconosce il ruolo fondamentale nella costruzione dell’identità dei territori e del Paese. Ma chi li frequenta, sa che i teatri non sono solo i muri, ma anche quello che succede lì dentro. L’identità dei territori è legata ai teatri non solo per l’architettura, ma per l’attività che vi si svolge e il rapporto con la comunità».
Tra l’altro è un decreto zero budget…
«Il riconoscimento non prevede alcun sostegno per i teatri né dal punto di vista architettonico né dal punto di vista dell’attività artistica e progettuale. Rischia di essere l’ennesima patacca senza sostanza».
L’idea di “monumento” rimanda a una fruizione passiva senza partecipazione attiva…
«Si rischia di museificare il teatro. Con le invasioni barbariche e il cristianesimo, si era persa la memoria dello spettacolo antico. Alcuni umanisti si chiesero a cosa potessero servire quegli edifici e immaginarono che fossero solo edifici, popolati di statue da guardare “per l’edificazione morale dei cittadini”. Invece il teatro è un luogo vivo, in un rapporto con la società, con il territorio in cui si trova, è il luogo del confronto per eccellenza, dove la comunità degli attori si confronta con quella degli spettatori, in un grande gioco di ruoli».
Ma con questo decreto i teatri cambieranno nome?
«In Italia è in corso un grande dibattito sul rapporto Stato-Regioni e stiamo aspettando il Codice dello Spettacolo, ovvero la prima legge per il teatro, che dovrebbe precisare le competenze dello Stato e quelle delle Regioni. Non si capisce che cosa implichi accostare il termine “nazionale” a questi teatri, che in molti casi sono piccoli teatri comunali, spesso fortemente legati alle storie locali: molti di loro sono nati per volere delle comunità locali, che si sono tassate per costruire un luogo di incontro e di cultura. E non è ancora chiaro in che modo il Ministero voglia farsi carico di questi luoghi…».
Ma il vantaggio di far parte di questo elenco al momento qual è?
«Per ora solo di immagine, di prestigio e orgoglio nazionale. Molti politici e amministratori si sono fatti belli con titoloni sulla stampa locale sui “loro” “monumenti nazionali”, ma poi spariscono quasi tutti quando si parla di contenuti e di finanziamenti. E infatti molti di questi teatri sono chiusi…Ma un aspetto positivo c’è: adesso dovrebbe essere più difficile trasformare quei teatri in un supermercato, in un parcheggio o in un ristorante».