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Juan Araujo, il senso del tempo: la mostra a Palazzo Massimo, Roma
Mostre
Con l’intento di far lentamente intercettare i propri lavori, Juan Araujo li ha disseminati tra le opere di arte antica conservate nelle sale del piano nobile del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo. Così, i 20 lavori specificatamente realizzati per questa personale romana, dal suggestivo titolo Clouds and Shadows on Mars, curata da Luis Pérez-Ormas e Stéphane Verger, in collaborazione con Galleria Continua, sono stati sparsi dall’artista col fermo intento di porli in un serrato confronto con la collezione museale, in particolare con i preziosi affreschi romani qui conservati.
Nato nel 1971 a Caracas e stabilitosi a Lisbona, Juan Araujo, considerato tra i più importanti artisti dell’America Latina, ha posto al centro della propria ricerca artistica pittorica la volontà di mettere in crisi le coordinate tempo e spazio, per invitare a riflettere non solo su queste nozioni, relative e non assolute, ma anche sull’essenza effimera dell’uomo in relazione proprio alla durata senza termine dell’universo. Attraverso la riproduzione di soggetti, elementi e frammenti estratti da immagini di cataloghi, libri di arte, riviste, giornali, costruisce i suoi lavori sulla giustapposizione di linguaggi e immagini, riproducendo quei dettagli individuati all’interno di una nuova immagine. Ragionando, quindi, non solo sulle immagini di per sé e la loro circolazione e permanenza ma, in generale, sulla cultura occidentale e sulla storia dell’arte.
L’opera che titola la mostra esemplifica pienamente la pratica dell’artista nel creare cortocircuiti visivi e mentali. Collocato nella sala X, nel piccolo olio su tela (27x35cm), una scena di guerra, tratta dall’attuale conflitto in Palestina, è abbinata alla descrizione che la NASA fa della superficie di Marte il 21 giugno, riprese effettuate da Viking Orbiten; ed è posto davanti alla megalografia del III-IV sec. con lacerti di un carro trainato da una creatura marina con auriga, che ornava le pareti della Domus Faustae (che affianca la monumentale cosiddetta Dea Roma).
Tuttavia, sempre in questa sala, sono presenti altri due lavori, che esemplificano in modo chiaro la pratica artistica di Araujo e, al contempo, anche il concetto di base su cui tutta l’esposizione è stata costruita. Al centro del grande ambiente, è sistemato un tavolino, sul cui ripiano è adagiato Erased Morandi, un altro olio su tela (anch’esso di piccole dimensioni, 21x30cm) mentre, in un angolo, Mars (27x35cm). Le opere che hanno per soggetto i diversi pianeti del sistema solare (Urano, Plutone, Mercurio, IO, Saturnian Rings) vogliono ricordare proprio la vastità dell’Universo, che travalica qualsiasi civiltà umana. Un invito, dunque, a ragionare su quanto l’uomo sia un effimero passaggio della durata di un battito di ciglia, rispetto alla continuità dell’Universo, un’esortazione a guardare nella giusta prospettiva la storia umana e la sua reale collocazione.
Diversamente, l’opera che cita Morandi, si muove su un triplice registro: la cancellazione, la citazione, la Storia dell’Arte. Perché una pratica con la quale spesso lavora Araujo, è proprio la cancellazione delle immagini, che l’artista avverte simile al processo cui sono soggetti gli stessi affreschi. Citazione e riferimento alla Storia dell’Arte nominando, non solo Morandi, ma anche Ghirri, Twombly, finanche la cultura più popolare con Pinocchio (meccanicamente allestito nella sala con le pitture con pesci, provenienti da Porto Fluviale di San Paolo).
Innegabilmente, non è inedita l’idea di allestire una mostra di arte contemporanea all’interno di un museo di arte antica e, negli ultimi tempi, sembra divenuta prassi far ospitare mostre di arte contemporanea negli spazi di musei e gallerie di arte antica col desiderio di accendere un dialogo fra artisti attuali e opere del passato. Per chi scrive, tale modalità è un’operazione delicata, soprattutto quando il confronto vuole essere impostato con manufatti di arte antica carichi di storia e fondamentali indicatori di importanti passaggi artistici. Pertanto, con la loro rilevanza, imponenza e valore, facilmente fagocitano qualsiasi opera contemporanea, a patto che non sia altrettanto muscolosa o irriverente.
Cosa si vuol dire? L’esempio è offerto dai due lavori posti nella Sala II. La sala II conserva gli affreschi provenienti dal ninfeo sotterraneo della villa di Livia raffiguranti il giardino della villa a Prima Porta; parliamo di Livia, la moglie dell’imperatore Augusto (30-20 aC). Attualmente, rappresentano un unicum sia per la completezza, per la qualità di esecuzione, che per essere le pitture illusionistiche di giardino romane più antiche in assoluto. Collocare all’interno di questa sala Spitz A3P Planetarium Projector e Casa do Vidro 10, significa farle inghiottire completamente dal verde indistinto della vegetazione a grandezza naturale e dall’elegante turchese del cielo, divenendo trasparenti, invisibili all’occhio, immediatamente e unicamente catturato dalla raffinatezza degli affreschi romani. Riescono altrettanto poco visibili quelli allestiti nella sala III (Mercurio) nella quale sono esposti Mosaici romani che interamente ricoprono le pareti e il pavimento. Oppure Boceto de una fotografia de Ghirri para mencionar a Morandi nella sala VIII con gli affreschi provenienti dal complesso imperiale della Stazione Termini. Lavori così delicati, intimi, come quelli realizzati da Juan Araujo necessitano di un ambiente raccolto, di sicuro senza l’interferenza di elementi di un portato storico-artistico rarissimo.