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THE LIFE: a Pesaro la prima italiana dell’opera immersiva di Marina Abramović e Tin Drum
Mostre
«So che Pesaro Capitale è incentrato sul rapporto tra scienza, natura e tecnologia; il mio lavoro si basa sulle arti performative e questo è il mio primo esperimento, il mio primo tentativo di utilizzare le nuove tecnologie e di ampliare l’idea di come le arti performative possano essere viste in futuro, se l’artista non è più fisicamente presente», parola di Marina Abramović, che a Pesaro presenta THE LIFE, un’opera immersiva prodotta da Tin Drum con la regia di Todd Eckert.
Nessuna prova era una delle posizioni radicali che Abramović trascrisse nel 1976 in un manifesto, l’Art Vital, che celebrava la sua nuova vita: così era, e così è stato perché nel 2018, quando Marina arrivò nello studio di registrazione a Grenoble, aveva un’idea in mente che non voleva provare prima, per preservare la spontaneità della performance. Tin Drum ricorda «Abbiamo lavorato su ciò che le telecamere avrebbero potuto inquadrare della sua figura e su come l’avremmo presentata in seguito e abbiamo cercato di far funzionare il tutto. E fortunatamente ha funzionato, come dimostra THE LIFE».
Presentata alla Serpentine Gallery di Londra nel 2019, l’opera arriva a Pesaro dopo aver attraversato il mondo, prendendo vita in diverse città, e per l’occasione si è scelto di non cambiare nulla della presentazione originale – superando di fatto la tentazione di correggere le imperfezioni – per favorire il confronto con le idee di assenza e di durata, affrontate attraverso il posizionamento dell’artista in una dimensione oltre il tempo. THE LIFE vive in un orizzonte di eterno presente e punta i riflettori sulle possibili intersezioni tra tecnologia e azione artistica, coltivando al contempo la connessione umana che si crea tra artista e spettatore.
Arricchita di costumi originali ed elementi acustici pensati per riflettere sulla natura della memoria, The Life si apre, non casualmente, in chiave sineddochica: è quella della parte – il vestito rosso, modellato sulla base di quello che da bambina la madre la costringeva a indossare – per il tutto – Marina Abramović – la via che porta all’incontro. Una serie di fotografie mostrano Abramović con la costumista Oana Botez e il curatore del MAI, Billy Zhou, alle prese con la misurazione degli abiti specifici per la produzione che Drum aveva deciso di realizzare (era il 16 maggio 2018), e il regista Todd Eckert e Marina Abramović mentre preparano una ripresa (il 4 giugno 2018) o nel corso di uno scambio descrittivo (il 5 giugno). C’è anche uno scatto di Abramović con il team di Tin Drum, nel corso della preview alla stampa, il 18 febbraio 2019, e un altro di lei che guarda per la prima volta la versione finita di THE LIFE insieme al pubblico.
A Pesaro è esposto anche un video, che ci porta nel cuore di un prezioso scambio tra Drum e Abramović. «In particolare la realtà aumentata indossabile, ci sarà per sempre. Si tratta del primo cambiamento radicale nel modo in cui concepiamo i media, e le performance narrative da quando è nato il cinema nel tardo diciannovesimo secolo. La realtà aumentata indossabile è la persona reale percepita nello spazio. Non c’è nulla di finto. Penso che parta da qui per il futuro. Storicamente non è mai stato possibile percepire l’energia di una performance a meno che non fossimo nello stesso spazio, nello stesso momento… un video veramente non riesce a comunicare questa energia. E quindi ora, se pensi a come le persone si relazionano a te a come sentono la tua energia nello spazio fisico, questa è la prima volta che potranno sentire tutti di te, la tua energia, la tua interezza, attraverso un supporto registrato. Questo non è mai stato possibile», afferma Drum. «THE LIFE si occupa di ciò che resterà dopo che non ci sarò più e potrò affrontare me stessa. È un’esperienza spaventosa. Puoi guardarti come se guardassi il tuo fantasma. C’è sempre questa idea dell’immortalità, che quando morirai le tue opere sopravvivranno, perché possono perpetuarsi nella performance. L’opera è solo nella memoria del pubblico e in nessun altro luogo. Qui sono custodita per sempre», chiude Abramović.
Oltre il video, oltre la serie di scatti, oltre le sei sfumature di rosso che Abramović ha scelto invitando il pubblico a immergersi in esse – raccogliendo le sue istruzioni, «seduti immobili su una sedia, guardare un colore» – oltre il vestito, c’è lo spazio fisico. Nulla di più? Assolutamente no. Nello spazio fisico, solo in apparenza vuoto, indossando un visore trasparente, il pubblico può incontrare Abramović arrivando quasi a sfiorarla tanta è la connessione umana, mentre nel suo vestito rosso e i capelli scuri legati all’indietro cammina, allunga un braccio, si muove, appare, scompare e torna. Ecco, Susan Sontag, a cui Abramović dedicò Seven Easy Pieces, ha detto di noi, uomini di questo tempo attuale, che ricordiamo rievocando di fronte ai nostri occhi un’immagine, non richiamando alla nostra mente un’informazione. Memoriazziamo, dunque, forme iconiche in luogo di parole, frasi, periodi. Abbiamo un bisogno costante di eventi reali che soddisfiamo guardando e riguardando, le immagini ‘in tempo reale’. Quel ‘tempo reale’ che la tecnologia ha reso oggi un eterno presente che permette che tutto assurga nell’adesso di riferimento a nuova vita. Come Marina Abramović, come THE LIFE.