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Negli spazi della Fondazione Brodbeck, che ha sempre la capacità di immedesimarsi e diventare scenario perfetto delle mostre che ospita, Francesco Balsamo, in dialogo con il curatore Antonio Grulli, ci presenta L’Oro della Lontananza che, solo mostra non è, ma è un viaggio emozionale su più livelli.
Francesco Balsamo è considerato da Grulli come un uomo dal duplice talento, un uomo che ha in sé il dono raro di “poetare” con l’arte, insomma artista e poeta al medesimo tempo. Un artista contemporaneo ma, di altri tempi, dei tempi rinascimentali e non solo, tempi cari agli storici dell’arte che considerano, tutt’oggi, il disegno come la pratica artistica per eccellenza e, l’artista, come colui in grado di disegnare. Anche se il medium artistico principale di Balsamo è il disegno, sul foglio diventa poesia. Grulli, allora, sottolinea: «Non sono forse entrambi strumenti di misurazione delle vibrazioni dell’anima dell’uomo?».
La mostra nasce dalla duplice esigenza di narrare sei anni di lavoro, continuo e profondo, e di disegnare, che per Balsamo significa riuscire ancora a emozionarsi. Nasce, anche, per essere una risposta, un risultato personale, per l’artista, mosso dalla necessità di capire se il proprio lavoro è un lavoro riuscito, se avrà o meno un riscontro finale e se sia un lavoro in grado di creare atmosfere coinvolgenti e pregnanti. Balsamo ci illumina su come i lavori celati, non esposti, forse, esistono a metà, poiché sono negati alle emozioni altrui. Ma, quando altri li guardano, comincia la loro esistenza, escono dal buio, non sono più nascosti ed è allora che diventano generatori, cortocircuiti di emozioni, di tensione e curiosità.
Siamo di fronte a una mostra non più e mai estetica, ma concettuale e mentale. Saliamo su un altro livello. L’Oro della Lontananza si basa su due serie di disegni come due polarità in contrapposizione nel loro essere esposte al muro e su tavolo.
Le opere al muro sono opere stratificate, con disegni fitti, lo spazio è colmo in maniera armoniosamente soffocante di piccoli e continui tratti, segni scuri che donano oscurità in contrasto con il bianco del passepartout, non con quello del foglio, poiché il disegno non ne lascia spazi liberi. È un’azione estremamente meticolosa, lenta, fatta di sovrapposizioni. Grulli in questi disegni vede quasi una personalità fotografica, le percepisce quasi come le vecchie foto ottocentesche, che hanno subito gli effetti del passare del tempo. Ciò che rappresentano, ciò che ricordano, sono frammenti di non semplice definizione, sembrano qualcosa che emerge dal nostro essere più profondo, o da frammenti di sogni vacillanti tra due opzioni: forieri di albe felici o di inquietanti incubi. Particolare interessante e ricorrente e il richiamare dell’artista, attraverso i suoi disegni, di alcuni tratti di opere d’arte spesso anche famose “quasi il disegno fosse uno strumento di salvezza di frammenti di memoria e di un universo fondamentale alla nostra vita spirituale”. A riprova due disegni basati su dettagli della famosa scena di caccia nella neve di Pieter Bruegel il Vecchio.
I disegni su tavolo sono al contrario composti da un unico segno, un unico tratto, sono minimali ed eleganti, espressi su fogli color bianco lattiginoso. Questi segni, come dotati di vita, , affiorano ed emergono dal foglio dando la sensazione di poter scomparire all’improvviso. Realizzati su piccoli fogli di carta opaca trasparente, di forme differenti, come se fossero quasi dettati da una scelta casuale, in realtà sintomi di attenzione al dettaglio. I soggetti sono minimali, semplici, puri, tracciati con poche linee ma nette. Ma cosa è realmente rappresentato? Cosa riconosce subito il nostro occhio che alla loro visione è continuamente stimolato? Corpi umani, spesso maschili, spesso corpi con le teste mancanti o cancellate. Corpi in tutte le loro espressioni: invecchiati, malati, all’apparenza morenti e, dunque, fragili, deboli e innocenti, ma anche corpi sensuali, erotici. Le teste nascoste, il tronco e gli arti ben visibili sottendono una loro supremazia, quasi una rivincita della fisicità rispetto alla mente.
Nella maggior parte dei casi ricordano qualcosa, qualcosa di difficile definizione: sembrano stralci di fotografie di vecchi libri tecnici o didattici, o appaiono come frammenti di film, come se il modello iniziale fossero fotogrammi. Ma alcuni di questi rivelano una loro ragione profonda manifestandosi come campionature di opere d’arte, spesso anche famose, quasi il disegno fosse uno strumento di salvezza di frammenti di memoria e di un universo fondamentale alla nostra vita spirituale.
I quarantotto disegni hanno come comune denominatore una profondità di differenze. La loro pratica artistica non è il solo filo conduttore a legarle, c’è di più, c’è l’oro. Quest’ultimo si fa portatore di molteplici significati. Istintivamente, di primo acchito, l’oro porta il pensiero al sacro, allo spirituale. Ma significa anche abbaglio e, come sostiene Antonio Grulli, l’oro, colpito dalla luce, ci restituisce luce, una luce che riflette e acceca. L’oro lo troviamo come confine, limite dello spazio dei disegni esposti in maniera classica, appesi al muro. Sono racchiusi all’interno di un passepartout. Le cornici in oro le completano.
Dove l’oro prende silenziosamente la scena, seppure sempre in secondo piano rispetto ai disegni, è proprio nelle opere sui tavoli e così guardando i disegni ci specchiamo nell’oro, ci immergiamo in una luce dorata che, quasi come un gioco di specchi, riflette la nostra immagine. Ricordo una frase di Balsamo durante un’intervista in cui asseriva che per lui disegnare era anche un modo per stare con se stessi, un tenere fuori il mondo in quanto siamo immersi nel nostro mondo interiore. Ed è così che noi ci poniamo di fronte alla mostra. Entriamo silenziosamente e rispettosamente nel suo mondo, in punta di piedi, ma, come un incantesimo, il mondo rappresentato in ogni singolo disegno, indipendente l’uno dall’altro, ci risucchia e, da mondo a sé, con il nostro bagaglio umano, diventa parte di noi. Le sue parole si avverano: la sua mostra, il suo lavoro è riuscito, perché il cortocircuito la tensione si è creata e noi ne siamo l’esempio finale e perfetto.