18 giugno 2024

Andy Warhol, l’epoca della libertà: la mostra a Desenzano del Garda

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Al Castello di Desenzano del Garda, va in scena una mostra che, in più di 70 opere e film, vuole raccontare il mito di Andry Warhol, svelando gli aspetti meno noti della sua personalità

Andy Warhol, Beethoven, 101x101 cm, 1987, impianti serigrafici su carta, opera unica, Collezione privata

70 opere per raccontare la rivoluzione del genio di Pittsburgh: arriva al Castello di Desenzano del Garda, visitabile fino al 22 settembre 2024, The age of freedom, mostra dedicata al grande Andy Warhol. «Fu l’artista determinante nella rinascita artistica della seconda metà del Novecento: cambiò il concetto stesso di arte sovvertendo l’estetica di un’intera generazione», così il curatore Matteo Vanzan introduce la mostra. In esposizione, tra le altre, le opere dedicate a Marilyn Monroe e Mao Zedong e poi i Flowers e le Campbell’s Soup, fino alla Electric Chair, per raccontare «La storia intensa di un mondo fatto di comunicazione e genialità, business e consumismo nel ruolo centrale di una Factory divenuta punto catalizzatore dell’establishment artistico americano». Ma la mostra di Desenzano del Garda vuole svelare anche il lato sensibile dell’uomo timido e riservato che, grazie alla sua esplosiva capacità comunicativa, diventò la superstar del mondo dell’arte e del mercato.

Andy Warhol, una nuova idea dell’arte e del mondo

Nato il 6 Agosto 1928 a Pittsburgh da immigrati cecoslovacchi e morto il 22 febbraio 1987 a New York, Andy Warhol ha fatto della provocazione e dell’ironia il suo modus operandi, creando una vera e propria filosofia, fatta di aforismi e cortometraggi. Una genialità costruita attorno al concetto di un artista trasformato in una macchina di riproduzione seriale, costantemente affascinato dalla ripetizione ossessiva di un’azione, apparentemente fine a se stessa.

Artista pop per eccellenza e di duchampiana memoria, Warhol lavora con film, fotografie, serigrafie, grafiche, fumetti, oggetti pronti all’uso, evitando di “sporcarsi le mani” con barattoli di colore e sgocciolamenti, alla maniera di Jackson Pollock e degli altri espressionisti astratti, l’altra corrente dominante dell’arte statunitense della metà del Novecento. Il tocco dell’artista è minimo, gli intenti sono essenzialmente iconici, lavorando sul limite tra stereotipo quotidiano e immaginario collettivo.

Decisiva fu la scoperta della tecnica della blotted line, ossia la linea a macchie d’inchiostro su carta assorbente, che avrebbe cambiato per sempre il concetto di opera originale e di copia. Le piccole imperfezioni causate da una maggiore o minore pressione della mano e del filtro serigrafico donavano a ogni soggetto una sua personalità. Nell’epoca del trionfo della grande produzione, della grande distribuzione e del grande consumo, Warhol trasformava il ruolo dell’artista spersonalizzando il processo creativo e richiamando il concetto di ready made che, nel 1917, aveva già incrinato il concetto di opera e la sua separatezza dal mondo.

L’uomo prima dell’artista

«Il percorso di mostra è composto non solo dalle opere d’arte ma anche da una stretta selezione di video, documentari e da alcuni film d’epoca», continua Vanzan. «Il nostro obiettivo è quello di raccontare l’uomo prima dell’artista, con tutte le sue nevrosi e le sue insicurezze in un corollario di aforismi che, nell’ironia della sua essenza, tracciano inequivocabilmente la personalità di Andy Warhol come entità capace di generare un microcosmo che riassume in sé il clima del anni Sessanta. Una sottocultura fatta di arte, cinema e musica che racchiude i dogmi fondanti di una nuova società di cui Warhol ha rappresentato il massimo interprete».

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