02 luglio 2024

Trasgressivi e indomabili, i Bonsai Riot di Federico Tosi crescono a Milano

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Sculture in terracotta, resina e pigmenti, raffigurano Bonsai che espandono le radici fino a spezzare i loro vasi; composizioni modulari in resina a grandezza naturale interpretano le nostre dita: Monica De Cardenas ospita, fino al 31 luglio, Bonsai Riot di Federico Tosi

Federico Tosi, Bonsai Riot. Installation view, 2024, Galleria Monica De Cardenas, Milano

Il presidio, il corteo, l’occupazione, l’azione per il cambiamento: il riot [tumulto m., sommossa f., sollevazione f., rivolta f.: es. student riots, sommosse studentesche] che si propone come via per cercare di eccedere il presente e i suoi evidenti fallimenti agisce nello spazio milanese di Monica De Cardenas per mano, e per volontà, di Federico Tosi che « ha iniziato ad immaginare questa mostra sui “ribelli” mentre era su un’isola tropicale nelle Filippine, alla ricerca di una natura quasi incontaminata. È poi nel forte contrasto del ritorno a Manila che è esplosa in lui l’immagine di una serie di bonsai sovversivi: dei bonsai riot che facessero della propria ribellione un tentativo altro di crescita e di vita, una cifra della propria esistenza, una maniera per cambiare la propria forma, un modello di resistenza» – scrive Giovanna Manzotti nel testo critico che accompagna la mostra. 

Federico Tosi, Bonsai Riot. Installation view, 2024, Galleria Monica De Cardenas, Milano

Contro la forza dell’abitudine, e dell’indifferenza, ecco allora Bonsai Riot, che si apre con la vista su Blu, una scultura in terracotta, acciaio, magneti e resine che insieme agli altri esemplari seminati nelle altre stanze (Papaya, Pink Winter, Colossus, Darkness retreat e Yellow Monday) espande le radici fino a spezzare il proprio vaso, mentre i rami crescono selvaggiamente verso l’alto o lateralmente in cerca di luce e libertà, ribellandosi alle costrizioni imposte dalla centenaria tecnica di coltivazione giapponese. Ognuno con il proprio colore, e istintivamente viene da pensare odore, sembra rivelare la tacita e accettata funzione svolta dalla regolazione sociale nel creare conformismo, passività e indifferenza, non solo come una fiammata di malcontento o come una sommossa disordinata, ma, anzi e soprattutto, come una formula multipla di proteste, appropriata e necessaria, in riferimento a questo particolare momento storico.

Nella stessa sala Friends II, una serie di inedite composizioni modulari – che si ritrovano anche nelle altre sale, Friend I e Friends III – interpretano le nostre dita, «straordinario punto d’azione personale – afferma Federico Tosi – e di interrelazione sociale ma anche perfetta sintesi di tutte le azioni che abbiamo eseguito». Realizzate in resina, a grandezza naturale, e disposte erette in fila su una serie di mensole come per sineddoche evocassero personaggi, sono anche queste intimamente connesse alla ricerca sul tema della ribellione. Spiega Tosi: «Ho immaginato le dita come incastrate nel nostro corpo, schiave delle nostre volontà. Ho pensato così di liberarle. Quello che ne è derivato è una narrazione sull’amore e sulla pace, sull’uguaglianza e sulla pacifica combinazione di etnie e generi». E infatti le singole dita, come radici staccate dal corpo e diverse tra loro per caratteristiche e per genere, sembrano ciascuna e tutte insieme procedere ordinatamente e assumere la necessità di agire per creare vere e proprie riconfigurazioni e rivendicazioni dell’esistente con un linguaggio universale che oltrepassa confini e fa coesistere voci e visioni: razza, genere, classe e corpi che non contano; disuguaglianze, modello di sviluppo estrattivo-distruttivo, alienazione individuale e sociale. 

Federico Tosi, Bonsai Riot. Installation view, 2024, Galleria Monica De Cardenas, Milano

I bonsai soffrono o godono? Si isolano o si cercano? E, parimenti, le dita sono solitarie, le une indipendenti dalle altre, o abitano «una solitudine straordinariamente popolata», come la considera Giovanna Manzotti? Inteso come particolare forma di lotta, il riot sembra essere illuminante rispetto alla fisionomia della crisi, proponendosi come via per cercare di eccedere il presente e i suoi evidenti fallimenti: i rami dei bonsai e le dita eccedono scardinando, sovversivamente, barriere. Un esempio di barriera si figura, nella mostra, anche attraverso gli acquerelli che Tosi ha prima creato tramite intelligenza artificiale generativa, e poi ha realizzato interamente a mano. Piante e animali sono i protagonisti assoluti: c’è un volpino di Pomerania e ci sono altre razze di cane (Am I crying? I e II) che hanno tirato talmente tanto il guinzaglio da essere scappati dal padrone, fino a smarrirsi in un’estesa foresta. Tosi fornisce così un ritratto di chiunque abbia deciso di forzare il rapporto di potere con il padrone, per trovarsi in quella condizione di spaesamento che li sorprende con la possibilità di fare proprie delle forme di ribellione per rintracciare di nuovo, e in modo silente, una riconnessione con la propria idea di libertà. 

«Se l’obbedienza è dignità fortezza | La libertà una forma di disciplina | Assomiglia all’ingenuità la saggezza», ricorda Federico Tosi con la frase centrale della strofa tratta da Depressione Caspica dei CCCP: e sta proprio tutto qui, perché obbedienza, disciplina e saggezza sono al cuore di Bonsai Riot. Come di ogni azione del resto, ora che l’indignazione non basta per cambiare né tanto meno è sufficiente la consapevolezza.

Federico Tosi, Bonsai Riot. Installation view, 2024, Galleria Monica De Cardenas, Milano

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