05 luglio 2024

Macerata accoglie la grande mostra Vis-à-vis: una riflessione sullo sguardo tra arte antica e contemporanea

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Negli splendidi spazi dei Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi si apre la mostra “Vis-à-vis. Ritratti moderni e contemporanei”, a cura di Elsa Barbieri, Massimo Francucci e Giuliana Pascucci, fino al 12 gennaio 2025. Un’esposizione fortemente voluta dal Comune di Macerata, che punta alla valorizzazione territoriale e all’incontro con l’internazionalità

Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi, Macerata, galleria dell'Eneide

Il ritratto, uno dei generi più ampi della Storia dell’Arte, ufficialmente nasce nel Quattrocento per valorizzare le doti e la centralità dell’uomo, ma assume nel tempo connotati differenti, dal valore commemorativo alla funzione sociale, dal ricordo al naturalismo. Soprattutto descrive l’umanità che muta, pensiamo alla serie dei malati mentali di Théodore Géricault, a interpreti come Giacomo Ceruti, il Pitocchetto, o all’apporto della fotografia.

Va sempre dunque oltre la mera documentazione, rappresentando una riflessione sull’identità umana e un incontro in cui si cerca di costruire una relazione. Curatori, istituzioni, opere, prestatori, visitatori che si accostano alla mostra Vis-à-vis sono chiamati in fondo a un’unica grande riflessione: cos’è lo sguardo? Uno dei maggiori saggisti e critici del Novecento, Roland Barthes, prova a darne una definizione in una nota citazione a proposito di una fotografia parigina di André Kertész: “Non guarda nulla; trattiene dentro di sé il suo amore e la sua paura: ecco, lo Sguardo è questo”. A proposito di sguardo, visitando le oltre 60 opere esposte, si ha la continua sensazione che vi sia un dialogo tra interiorità ed esteriorità, una triangolazione tra l’occhio di chi guarda, quello del soggetto ritratto tradizionale e l’occhio dell’artista contemporaneo, oltre all’incessante dialogo con le rinomate opere della collezione permanente, arricchite anche di donazioni delle Avanguardie storiche appartenenti al Secondo Futurismo grazie ad artisti provenienti dal territorio come Bruno Tano, Osvaldo Licini, Ivo Pannaggi, Umberto Peschi. Poco prima della nascita del romanzo storico, attribuita in Italia ad Alessandro Manzoni, precursore di quello psicologico, con artefici come Joyce, Dostoevskij, Svevo e Pirandello, gli interpreti della ritrattistica settecentesca di ambito romano e marchigiano, Carlo Maratti, Pier Leone Ghezzi, Sebastiano Ceccarini e Carlo Magini anticipano la modernità con un taglio psicologico e una lettura multidimensionale, unitamente a un’elevatissima maestrìa, divenendo modelli di riferimento nei secoli a venire. Vis-à-vis, citazione del suddetto Manzoni, è un incontro tra uomini e donne che comunicano attraverso gesti e sguardi in una dimensione pubblica che appartiene al Museo e in generale dovrebbe spettare alla cultura. Se dunque la letteratura ha un forte valore visivo pensiamo quanto l’arte possa portare ulteriore potenza al messaggio.

Pier Leone Ghezzi (Roma, 1674-1755), Ritratto del cardinale Gabriele Filippucci, olio su tela, 1706. COurtesy Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi, Macerata

Gli spazi del Museo, inseriti in un riuscito esempio di edilizia di fine Seicento, primi del Settecento, sono stati interamente allestiti e rivisitati attraverso un nuovo sguardo sociale e politico, che si snoda tra le Sale delle Mostre Temporanee, dove il percorso ha inizio, per proseguire negli spazi del Museo della Carrozza e in quelli della Pinacoteca d’Arte Antica e Moderna.

Vis-à-vis, Ritratti moderni e contemporanei

Sulle prime veniamo accolti dalle opere di due artisti marchigiani che avranno fortuna a Roma, in dialogo tra loro attraverso età diverse, il pregevole autoritratto di Carlo Maratti, appartenente alla collezione Bonfigli, poi passato ai Musei Civici di Macerata e la piccola opera omaggio a Van Gogh di Enzo Cucchi. Due lavori messi in relazione non solo tra loro, ma a un’immagine pop che valorizza il significato politico e di denuncia del ritratto, quella di Eduardo Arroyo, che rappresenta una donna catturata e rasata, moglie di un minatore ai tempi del regime franchista, per aver osato opporsi al governo. La ricerca del pittore fin dagli anni Sessanta traccia numericamente l’incedere del tempo. Proseguendo nel percorso sono esposte infatti cinque fotografie del suo volto, posizionate “ad altezza bacio”, come lui amava dire, autoritratti scattati al termine di ogni seduta pittorica, che conducono il pensiero a un altro grande interprete della ritrattistica, questa volta fatta di parole, il poeta Umberto Fiori e il suo Autoritratto Automatico, insieme di autoscatti realizzati nel corso del tempo che testimoniano il cambiamento e la mutazione. La parola e il corpo sono mezzi di espressione, protesta, rivoluzione, lo sapevano bene gli artisti della Body Art e gli Azionisti, tra cui il tedesco Klaus Rinke, che è possibile ammirare in mostra con due esemplari di un’opera in realtà esponenziale, in cui l’artista e performer compie una serie di gesti davanti al viso, testimonianza di un agire generale e comune.

Klaus Rinke, Mutation, 1970. Gelatin on silver print, 59x42cm. Courtesy the Artist and Thomas Brambilla Gallery

A specchiarsi in questi volti sulla parete opposta primeggiano i ritratti e le caricature, provenienti da raccolte e collezioni private, del pittore italiano, abile mercante d’arte, Pier Leone Ghezzi, figlio di Giuseppe, pittore e segretario dell’Accademia di San Luca. Vissuto tra il Seicento e il Settecento diede carattere di socialità al ritratto cambiando aspetto in base all’occasione e al ruolo, da quello istituzionale fino alla caricatura, appagando la propria sete di fama e onnipotenza. Nel suo ritratto ufficiale realizzato per la Galleria degli Accademici lo sguardo è alto, fisso, ci segue, come faceva Raffaello nella scuola di Atene o come tanta letteratura artistica moderna ci mostra, da Leonardo da Vinci a Rembrandt.

Ne Il Ritratto di Gabriele Filippucci, offre una lettura mentale e del contesto, immortalando un personaggio del proprio tempo e raccontando con grande maestrìa e tecnica la sua storia, come fece d’altronde con le caricature, ritratti psicologici, in cui ritrae persino sé stesso, per l’amico, il Cardinale Passionei. Eccelso in questo genere lo utilizzò per rappresentare in chiave satirica la società settecentesca, inaugurando anche la moda di stampo razionalista e la maniera sfarzosa e teatrale barocca dei ritratti di gruppo. I concetti d’ identità e rivelazione del proprio sé si legano alla metamorfosi anche nell’occhio di Eduardo Arroyo, nell’opera di Annette Messager o in Laura Paoletti.

Quest’ultima esplora la relazione con l’animale, una volpe, e racconta il momento in cui due esseri umani possono incontrarsi e riconoscersi. L’occhio del visitatore si posa poi sul fondo, su un corpo umano che fissa la superficie, come accadeva nelle impronte di Yves Klein. È la volta dell’artista britannico Antony Gormley che con Feel, “Sentire”, realizza un’opera cospargendosi di olio di lino, vaselina e carburante, lasciandosi cadere e imprimendo la sua sagoma sul supporto. Il corpo diviene veicolo, tramite tra il proprio io e l’esterno, azione collettiva in cui poterci identificare e a cui poter tornare in chiave ancestrale. È quello che accade nell’istallazione essenziale e nitida di Mark Manders, che chiude il percorso del piano, della Collezione Maramotti di Reggio Emilia, Isolated bathroom / Composition with Four Colors (2010-2014), una rappresentazione teatrale con taglio cinematografico in cui attraverso gli oggetti, due sedie, una vasca, l’argilla, dei teli, costruiamo la nostra vita e per mezzo della memoria continuiamo a vivere dopo la morte. L’ utilizzo della creta permette di costruire una figura senza arti, serena, viva nel suo essere inanimata, nella sua mutilazione, nel silenzio.

Antony Gormley, Fell II, 2015-16. Petrolio, olio di lino e vaselina su cartone Sauders 190 gsm, 274×168 cm. Collezione Privata

Gli spazi del Museo della carrozza

Spostandoci nel Museo delle Carrozza il nostro sguardo incontra la Pala di Joseph Beuys il cui intento principale non è l’opera finita ma il gesto sociale e collettivo, espressione di una presenza nell’assenza, resa anche dal poster dell’azione di Documenta di Kassel del 1982 quando l’artista piantò 7.000 querce, momento di avvio del più ampio progetto “In difesa della natura”. Quest’opera, insieme all’ Autoritratto del 2021 di Fulvio Morella, una scultura ovale per persone non vedenti che offre la possibilità di riconoscere un volto grazie a una scritta in brail che svela la parola “Autoritratto”, racconta quanto il sé possa emergere in infiniti modi. Tra gli spazi suggestivi e accoglienti che raccontano l’importanza dello status cittadino della Carrozza nell’Ottocento, la ritrattistica riappare in una nicchia nella scultura di Vettor Pisani Hermes, omaggio alla sacralità, e nei due arazzi di dimensioni differenti di Thomas De Falco, performer e artista che lavora con la scultura tessile e con gli arazzi come forme di espressione legate e intrecciate tra loro.

Thomas De Falco, Sarcophagus, 2023. Tecnica mista, cotone, seta, nylon, lana, canapa e filamenti d_oro. Courtesy the Artist

Nell’opera più piccola, realizzata alcuni mesi fa durante una ricerca studio a New York nella Galleria egizia del Brooklin Museum, viene rappresentato l’occhio del mondo che ci guarda, vicino all’occhio del Buddha, detto della saggezza, che supera le cose materiali per arrivare a uno sguardo profondo dell’interiorità. C’è poi un arazzo più grande figurativo, anche in questo caso un volto, creato con intreccio manuale, che riprende gli studi della scuola tessile del Castello Sforzesco. Dal filo intrecciato di De Falco lasciamo il Museo della Carrozza con un lavoro scultoreo di Michelangelo Consani, un busto di Michelangelo e una tartaruga legati da un filo rosso, sempre a proposito di identità e metamorfosi e di relazione tra esseri umani.

Vettor Pisani, Hermes, 2010. Plexiglass, neon, painting. Collezione S F Mirabile

La mostra prosegue tra il primo e il secondo piano della Collezione di Arte Antica e Moderna di Palazzo Buonaccorsi, continuando a testimoniare come sia importante oggi far convivere tradizione e innovazione in un processo continuo di storia, memoria, creatività, immaginazione, che permette l’incontro di altissimi momenti della ritrattistica settecentesca maceratese, chiamata per questo “il Secolo d’oro della ritrattistica marchigiana” e il contemporaneo che porta in sé la frattura, la ferita, la deviazione verso un pensiero trasversale e globale.

L’arte antica

Il primo piano, noto per la ridondante e splendida Sala dell’Eneide, celebra uno dei più grandi pittori fanesi del 18° esimo secolo, l’eclettico Sebastiano Ceccarini, vissuto tra Fano e Roma, dove lavorò molto grazie al Sodalizio dei Piceni, ma che a Venezia apprese la grazia e la luce dei pittori veneziani. Autore di numerosi ritratti, autoritratti e nature morte, i generi principali del periodo, ricercò il vero nell’età dei lumi. Tra i diversi ritratti proposti, Dama con i fiori, di non certa attribuzione, o il Ritratto di Alessandro Castracane degli Antelminelli, spicca il capolavoro giovanile che raffigura la nobildonna Elisabetta Passionei, in due versioni, una si trova nella Pinacoteca di Fossombrone e l’altra proviene da Fano ed è visitabile in mostra. La resa dei velluti, degli abiti, dei panneggi, l’altezzosità e la sensualità esprimono la condizione femminile dell’epoca. Si affiancano a questo ritratto da parata due opere del 2008 della pittrice e scultrice giapponese Leiko Ikemura, che esterna parimenti una condizione esistenziale femminile utilizzando disegni a carboncino dal tratto forte, in opposizione con i lineamenti appena accennati della scultura in vetro della successiva stanza, intitolata Light Face del 2021.

Leiko Ikemura, Light Face, 2021. Courtesy the Artist and Builging Gallery, Milan

Quest’ opera trova massima esaltazione nella collocazione, creando alcuni secondi di stupore e grande fascinazione, innanzitutto perché vive di spazio che cambia in base alla luce del giorno e poi poiché è posta in dialogo con la Madonna con il Bambino di Carlo Crivelli, immagine simbolo delle collezioni civiche maceratesi. Nell’amorevolezza dei volti e delle espressioni del dipinto a tempera e oro, databile al 1470 circa, s’intersecano l’intenso sguardo del bambino con quello della madre, l’occhio della donna con lo spettatore, il nostro orizzonte che risuona di palpiti cromatici tra antichità e modernità. Di nuovo un prestito della Collezione Maramotti per l’istallazione di Evgeny Antufiev, artista visivo russo che indica assenza in una poltrona vuota bianca e apparentemente asettica, ma richiama presenza grazie a una sorta di manichino o poggia abiti con tessuto. Il lavoro si completa di due sculture su totem che rimandano al concetto di maschera, al volto umano, reale o camuffato, grottesco. Riecheggiano le parole di Luigi Pirandello: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. Uno dei basamenti, specchiato, dialoga con due ritratti, entrati in collezione negli anni Cinquanta, la cui paternità si deve al riconoscimento del noto storico dell’arte Federico Zeri. Si tratta di corami, pezzi di cuoio lavorato eseguiti alla fine del Cinquecento da Federico Zuccari per lo studiolo di Palazzo Zuccari di Roma, rappresentanti Michelangelo nelle sembianze del Mosè e Raffaello in quelle del Profeta Isaia, con gli strumenti del mestiere. Prosegue la fusione armonica tra passato e presente nell’opera di Fabrizio Cotognini, artista maceratese che studia e trasforma simboli del passato nel presente che vive, proiettandoli nel futuro, in un processo misterioso ed esoterico. In questa mostra propone miniature, una è l’immagine simbolo, disposte a semicerchio come in una quinta scenica.

Fabrizio Cotognini, Attempt to create the smallest painting exhibition in the world, 2021-2024. Courtesy l’artista e BUILDING, Milano

Al centro un cane e un teschio, segno che da sempre attrae l’artista e in questo caso anche rappresentazione del suo Autoritratto. Entra in relazione con l’allestimento delle sale anche Kiki Smith con Tree and Shadow del 2012, parlando del sé attraverso qualunque espressione, realtà, sogno, natura, soggetto, oggetto, corpo e anima. Il dialogo con il contemporaneo è affidato nuovamente a Sebastiano Ceccarini che propone opere inedite di ritratti femminili abbelliti in comunicazione con il lavoro del genovese David Reimondo. L’artista propone un’interazione a metà, nel senso che due coppie si confrontano in modo accesa ma allo spettatore è concesso vedere solo una parte dell’incontro/scontro. Si tratta di uomini e donne che interagiscono in maniera quotidiana. Voyeuristicamente noi vorremmo sapere cosa accade tra i due ma lo spazio è lasciato all’immaginazione. Altre figure di Ceccarini saranno rese eterne dall’arte, grazie anche alla letteratura e al cinema, come nel caso del funzionario Onofrio del Grillo, che è il vero Marchese del Grillo, interpretato magistralmente da Alberto Sordi negli anni Ottanta nel film di Mario Monicelli.

L’arte moderna

Ad aprire l’ultimo livello della mostra è Diego Hernàndez. Nato a L’Avana, Cuba, ha una tecnica pittorica che richiama onde o gocce di vetro ondulato, per questo chiamata “linguaggio del mare”. Velocità e gestualità caratterizzano anche i tratti di Maggi Hambling che nella sua assenza di nuovo esprime una tangibilità e un legame con l’antico e con l’occhio dello spettatore. In Self Portrait del 2018-2019, titolo che tra l’altro rimanda al libro di Melania G. Mazzucco Self Portrait, Il Museo del mondo delle donne, dialoga con due sculture di esponenti novecenteschi della scena marchigiana, Ritratto di ragazza in terracotta patinata di Sesto Americo Luchetti e Il Pugile, in gesso patinato di Virginio Bonifazi, ma anche con il visitatore che si pone esattamente al centro della scena e della visione. L’incontro tra Settecento e Novecento prosegue con le opere di Carlo Magini, riscoperto nel XX secolo grazie alla lettura di Roberto Longhi delle sue notevoli ed eccellenti nature morte. Nipote di Sebastiano Ceccarini, fu in contatto a Roma con il pittore Federico Mancini. Non meno abile nel ritratto, propone una carrellata di personaggi immersi all’interno delle collezioni permanenti, vicini nel cromatismo e su vari piani dimensionali al contemporaneo. Pensiamo ai volti dal sorriso ambiguo che rappresentano una condizione sociale ben precisa dell’epoca, dunque all’ incontro tra il suo Ritratto di Maria Lauri Fittili e Conferenza Stampa di Marco Cingolani, o ancora al Ritratto di Pellegrino Consalvi, ecclesiastico del Settecento e Intervista all’intellettuale francese sempre di Cingolani. Di nuovo confronto e vicinanza tra antico e moderno nei due ritratti di differenti dimensioni di Bernardino Honorati e il grande capolavoro di Emilio Vedova, esponente dell’informale italiano, o nei marchesi di casa Ricci ai quali si accosta la bellissima opera degli anni Cinquanta, Ritratto di Luciana di Corrado Cagli. La mostra si chiude con Matthew Attard che per disegnare utilizza un dispositivo digitale di eye-tracking che traccia il movimento dell’occhio, offrendo due visioni, una entrando nella sala espositiva e una oltrepassandola e tornando indietro. Lo scenario è quello dell’artista che si guarda allo specchio per autoritrarsi e si riflette nella piramide della designer Nanda Vigo.

La continua commistione tra antico e contemporaneo è la scommessa determinata della mostra maceratese che accompagna i visitatori in un viaggio temporale, spaziale, multisensoriale ed esistenziale, in grado di offrirci stupore e meraviglia nel rispetto di ambienti e opere di altissimo livello artistico. Impresa ambiziosa e audace in cui la contaminazione dello sguardo diventa ancora più significativa e necessaria se pensiamo alla mancata relazione e interazione, se non virtuale, legata al periodo pandemico e post pandemico, e ai disagi che la società egoica in cui viviamo sottende.

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