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Effetto notte: il Nuovo realismo americano incanta Palazzo Barberini
Mostre
In uno dei palazzi (se non il Palazzo) simbolo del Barocco italiano si snoda un percorso che gioca sulle associazioni più disparate e diverse. Una curatela organica, quella di Massimiliano Gioni e Flaminia Gennari, che elabora profonde riletture della quanto più contemporanea storia dell’arte americana. Una nicchia profonda di significato e di ricerca. Ed è allora che tele oniriche e sculture e installazioni postumane si intrecciano ricalcando la narrazione delle opere presenti nella collezione permanente di Palazzo Barberini: tele diverse lottano e si scontrano; il loro accostamento può spaventare e disturbare. Non si tratta di un semplice affrancamento concettuale ma di una vicinanza che costruisce storie di mondi passati, presenti o forse anche solo intuibili.
Le 150 opere della Aïshti Foundation di Beirut, esposte nella mostra Effetto notte: Nuovo realismo americano ospitata nel Palazzo fino all’8 settembre 2024, mirano ad immaginare uno scenario aperto e percorribile sulla storia contemporanea di un paese in cui le contraddizioni si palesano immediatamente agli occhi dello spettatore. Il titolo, riferimento a Day for Night di Lorna Simpson, insedia nella percezione dell’esposizione un costante e sempre evidente paradosso.
La terra della libertà, che è anche il principio dell’ontologia del diritto statunitense, mostra profondamente il rapporto tra realtà e finzione, verità e bugia. Per riprendere Dewey, un contrasto chiaroscurale all’interno della struttura stessa del diritto americano è presente e rimanda ad un rapporto diretto tra il potere e la base del potere – in altri termini il consenso. Parafrasando il grande filosofo statunitense, le dinamiche che regolano il senso, su cui si appoggia l’intera democrazia americana, mettono in luce un’accesa contraddizione: il consenso deforma la democrazia. Ovviamente, non si sta insistendo su un approccio reazionario e dittatoriale; è necessario, tuttavia, sottolineare come la facile manipolazione della democrazia derivi da quelle strutture che influenzano il consenso stesso – anche se insisterei su una in particolare: il mercato.
Espandendo la riflessione di Dewey nella nostra super contemporaneità, si riscontrano alcune somiglianze decisamente importanti. Considerato il sistema infinito di dati in cui siamo inseriti, il rapporto tra realtà e finzione si configura, molto più subdolamente, come uno strettissimo rapporto tra verità e verosimiglianza. Infondo, si tratta di una complessa stratificazione del rapporto tra realtà ed immagine della realtà: l’iconosfera contemporanea prevede uno scontro serrato tra la lentezza del pensiero e l’incessante profluvio di immagini diffuse. L’immagine, infatti, ha perso il nesso essenziale con la verità delle cose: si fa simulacro della rappresentazione, una copia infinita della realtà che diventa totalmente irriconoscibile – per maggiori informazioni, andate pure a sbirciare Atopia delle immagini, utopia del reale (Kasperhauser, 2016) di Jean Baudrillard.
La mostra si appropria di questo scenario attraverso una mole importante di opere eterogenee e – a tratti – apparentemente distanti.
Una drammaturgia visiva in cui i lavori dei più importanti artisti, la cui produzione è legata agli Stati Uniti, dal secondo novecento a oggi – Glenn Ligon, Louise Bonnet, Nicolas Party, Richard Prince, Julie Mehretu, Sterling Ruby, Nate Lowman, Arthur Jafa, Mark Bradford, Rick Lowe, Jonathan Lyndon Chase, David Salle, Cecily Brown, Simone Leigh, Raymond Pettibone e Christopher Wool, Charles Ray, Theaster Gates e George Condo, John Baldessari e Urs Fisher, Maurizio Cattelan e Duane Hanson – analizzano questa tremenda inquietudine esistenziale connessa ad un’epoca in cui l’angoscia domina la sensibilità.
L’Effetto Notte è, in cinematografia, quella peculiare tecnica atta a trasformare un interno in notturno seppur ripreso durante il giorno. In francese, ed è merito di Francois Truffault, è definito Nuit Américaine. Ed è insito nel titolo questo costante sfalsamento tra la realtà e la finzione. Per quanto gli artisti, essenzialmente tutti, abbiano una sorta di comune matrice realista, la riflessione sul medium induce nuovi stratagemmi rappresentativi: la realtà della pittura è una realtà profondamente manipolabile e soggettiva; si presta ad un gioco aleatorio di immagini le cui combinazioni allontanano lo spettatore dalla percezione della realtà in quanto tale.
L’iperrealismo in sé, sempre riprendendo Baudrillard, non fa altro che produrre questa realtà così reale da perdersi in sé stessa. L’immagine della realtà è la realtà stessa, solo che l’immagine non fa altro che appropriarsi di qualcosa che non può completamente comprendere. Ed è per questo che, fondamentalmente, la realtà diventa simulazione di sé stessa: come se una patina velata ma percepibile lasciasse trasparire che non è tutto qui senza però lasciarne l’evidenza.
La realtà iperreale è come la figura dietro il vetro smerigliato e appannato di una doccia: emerge senza essere completamente visibile; si intuisce senza essere completamente vera. Quest’immagine potrebbe essere il paradosso etico contemporaneo del gatto di Schrödinger – senza le, forse necessarie, teorie sulla fisica quantistica. Il limite, per l’appunto, etico che la mostra lascia intendere è quanto questa simulazione della realtà non sia traducibile nell’assenza della realtà.
Dove possono arrivare i nostri intenti narcisistici? Possono riuscire a supplire la mancanza del senso profondo e radicato di questa incertezza connaturata al nostro tempo? Un quadro ampio che necessita di essere approfondito e superato, per non rinchiudersi costantemente nell’epoca che definirei del post-tutto. Siamo sempre così convinti di essere oltre, così oltre da non intuire le potenzialità di ciò che potremmo essere se solo riuscissimo ad essere, forse, concretamente realisti. Siamo poveri di storia e ricchissimi di nozioni sconnesse senza un senso logico preciso. Sappiamo, senza conoscere. Riflettiamo, senza pensare. Troppe parole vuote, comprese le mie, perse nel mare smisurato delle nostre più subdole perversioni egomaniache.