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Furiosa: un cinecomic come tanti, totalmente hollywoodiano, inutilmente lungo
Cinema
È il 1979 quando viene presentato un guazzabuglio di frontiera, predizione apocalittica, odore di nafta e suggestioni da stazione di servizio delle provinciali sud, ritrovo di emigranti wild boys ghiotti di grappa e Peroni, sovversivi dal motore ad altissimi ottani. Il mondo dell’audiovisivo non sarebbe più stato lo stesso, merito di due abili australiani: George Miller e Byron Kennedy. Il primo Mad Max (Interceptor, qui da noi) era un western fuori dal tempo, imperfetto, sgangherato, epico. Wild, appunto. Musicato in maniera arcaica da un Brian May-che-non-è-quello-dei-Queen, autore di uno score che sembrava ripescato dai peploi anni Sessanta. L’azione era calata in un non-luogo che potrebbe essere l’Australia, ma a noi non importa perché – a parte il volante a destra di cui ci dimentichiamo facilmente, complice certa sospensione dell’incredulità nemica dei nerd (e sui nerd torneremo in seguito) – ci piace pensare a quelle regioni precarie come all’Occidente tutto, un Occidente ormai alla frutta delle sue istituzioni, in balìa dell’estremismo iconografico dei Sessantotto e dei Settantasette, della carestia alle porte e della crisi energetica. A few days from now, insomma, come recita la didascalia iniziale.
Nel 1981 l’ellissi della normazione si fa più evidente e la fisionomia del nuovo Medioevo inequivocabile. Forse l’episodio più crudo, il migliore.
Con il 1985, arriva il primo approdo pop, un aggiornamento spielberghiano per un fenomeno che sta iniziando a diventare iconico. Ecco allora l’ibridazione con il panorama sfavillante della classifica statunitense, l’inserimento in score e cast di Tina Turner, la fumettizzazione dell’azione, l’aumento dei personaggi bambini, un filo di quota rosa in più e una definizione meno nichilista per Max.
Da qui la trilogia sembra iniziare a cristallizzarsi. I film rimangono lì, finché qualcuno non si chiede: «Il pubblico vuole ancora il quarto capitolo?» e la risposta è: «Sì. E lo avrà». E infatti, nel 2015, esce Fury Road che porta con sé la Novità, la Clito e, naturalmente, il corpo di entrambe: Chalize Theron nel ruolo memorabile di Furiosa.
Tralasciando la fantastica ma marginale Virginia Hey del 1981, la saga aveva già operato un barlume di matriarcalità benigna nelle figure di Aunty Entity (la Turner di cui sopra) e Savanna Nix (la capotribù che erediterà la Terra, interpretata da Helen Buday). Quindi nulla di nuovissimo, ma la Theron segna un progresso memorabile. Ma, si sa, ad ogni alta memorabilità corrisponde bassissimo coefficiente di replicabilità, e nel 2024 il ruolo di Furiosa passa ad Anya Taylor-Joy, interprete poco probabile nel pulsante orizzonte della visceralità; ancor meno in quello riarso delle fury road.
Ricordate tutta l’imperfezione epica delle prime pellicole? Ricordate l’afflato favolistico e ginecocratico a partire dal quale Miller aveva di nuovo scompaginato le carte proponendoci qualcosa di nuovo ma senza tradire lo spirito originario? Niente da fare. Qui scordatevelo. Furiosa è un cinecomic come tanti, lungo come tanti, improbabilmente interpretato, sovraffogato di CGI, privo di stranezza, totalmente hollywoodiano, inutilmente lungo. Insomma, proprio come piace ai nerd, agli Sheldon Cooper piccolo borghesi fissati con la continuity (e questo è il primo episodio nella saga ad averne una vera e propria), fissati con il compilazionismo, il game play (non il gaming, attenzione!), la verosimiglianza, il naturalismo, il fantasy da quattro soldi, i manga brutti, il merchandising, il binge watching. Tutto questo a dispetto della sociologia, del simbolismo, dell’epica brechtiana, del visceralismo, del romanticismo. Dell’arte.
Tra le esplosioni e rivoluzioni capitalistiche di questa fase di secolo, la distopia più improbabile è stata quella di una salita alla ribalta del mondo geek/nerd più deteriore con totale stravolgimento del cinema di genere secondo i parametri omogeneizzati di cui sopra e l’occasione di Furiosa rappresenta l’ultima fortezza del vecchio mondo, abbattuta. La disfatta di un’estetica che non c’è più, soppiantata ora e in tutto e per tutto dal fast food del MCU.
Ecco il motivo per cui questa recensione è già finita: un film così irrilevante in una saga tanto rilevante. Però la speranza c’è ancora; Furiosa ha ottenuto poco successo in sala, per fortuna. Intanto molti nerd stanno diventando grandi e, tramite la buona musica, la letteratura e la riscoperta delle cose difettive del passato e della vita, stanno iniziando a prendere confidenza con l’imperfezione come strumento di libertà, diversità e discrimine. Insomma, a scambiare Anya Taylor Joy con Furiosa.
A few days from now…