10 agosto 2024

La Sicilia – e altre figure – riviste da Flavio Favelli a Palermo

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Fino all’8 settembre, il Real Albergo delle Povere del Museo regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo, ospita “La Sicilia e altre figure”, mostra personale di Flavio Favelli

Flavio Favelli, Barriera Ordinaria, 2024. Transenna trovata e dipinta, 92x160x42 cm. Foto Fausto Brigantino

Con La Sicilia e altre figure, Flavio Favelli, mostra a Palermo una selezione di opere  riconducibili a quattro nuclei tematici e il cui filo conduttore è l’interpretazione artistica, visiva, vissuta, della città di Palermo da parte dell’artista fiorentino. Parallelamente alla mostra al Real Albergo delle Povere del Museo regionale d’Arte Moderna e Contemporanea curata da Elisa Fulco e Antonio Leone, quasi a ratificare lo stretto legame con la città, Favelli ha realizzato un’opera site-specific nell’area verde dell’Ucciardone, il carcere di Palermo.

Osservare la mostra personale dell’artista mi è sembrato un po’ come scoperchiare il vaso di Pandora: nella mitologia greca era il leggendario contenitore di tutti i possibili mali che si potevano riversare nel mondo dopo la sua apertura; nel caso della mostra, ciò da cui veniamo pervasi,  inondati, sorpresi, spiazzati, non sono, ovviamente i mali, ma i molteplici oggetti che decontestualizza, come i collage della rivista Sicilia, o quelli che appartengono al mondo  delle strade palermitane che sono la cifra della stessa città, del suo lato umbratile che convive con il suo lato solare, in cui è evidente la sua ricerca dei  “segni tangibili di un estro che cova sotto le macerie”.

Flavio Favelli, L’oro dell’Etna, 2024. Collage di carte veline su tela, 50×50 cm. Foto Fausto Brigantino

E dunque i quattro temi: la rivista, le insegne, gli “scarrabili”, le transenne. E l’artista in questa sua narrazione va oltre, collega luoghi accomunati dal loro essere istituzionali, ma appartenenti a realtà diverse e in questo reifica  il legame tra museo, carcere e città, tra il dentro e il fuori, come a dire le cose alte e le cose basse che caratterizzano ogni società.

«Il mio rapporto con la Sicilia e Palermo è complicato e non privo di ambiguità». Così inizia il testo redatto dallo stesso Flavio Favelli, ed è cosi che ci possiamo approcciare a questa mostra, con questa frase in mente. La mostra esprime l’insieme delle tre pratiche artistiche di cui Favelli usufruisce: collage, scultura e installazione. Tutto inizia dal primo nucleo, la rivista Sicilia, facente parte della sua personale collezione, acquistata al mercato di Piazza Marina. La rivista, stampata in quattro lingue, fu pubblicata dal 1953 al 1982, dall’editore Flaccavio. L’idea dei collage, creati con questa rivista, era già nata come opera dell’artista nel 2010, ma a differenza di quelli di oggi, lì le copertine erano assemblate  con dei “documenti siciliani: figurine, biglietti, veline delle arance, assegni e cartoline che creavano dialoghi spesso improbabili”; oggi, nell’attuale mostra, l’artista utilizza un solo tipo di materiale per i collage sulle copertine: le pubblicità. Quelle che apparivano nelle riviste popolari, come Oggi, Gente, Epoca, Gioia, riviste di attualità, costume e politica che “spesso sfogliavo da bambino nella casa dei nonni, ma anche Playboy e Playmen”. 

Flavio Favelli, La Sicilia e altre figure, 2024. 89 collage su rivista d’epoca con cornice 45×37 cm cad. Foto Fausto Brigantino

Si tratta di un’opera dai rimandi alla poesia visiva, e le immagini selezionate dall’artista, ricreano una manualità quasi infantile, che vede porre sullo stesso piano arte classica e tradizioni popolari, annullando le gerarchie e le classi sociali, che diventano cosi inesistenti, come agli  dei bambini, simboli della purezza. Ma perché la scelta proprio di questa rivista?

Il perno fondamentale su cui si focalizza l’artista è l’opera di eguaglianza che avviene nella rivista: un azzeramento di tutto, tutto viene accostato sullo stesso piano. Ritroviamo così accostamenti per loro natura differenti, eguagliati: arte classica e usanze, cucina e costumi, opere d’arte insieme a torroni o disegni di bambini. Ancora una volta cose alte e cose basse. La novità prorompente di questa rivista era la grafica. La grafica oggi ha un’importanza primordiale nell’editoria e non solo, è la realtà di oggi è stata sicuramente spianata dal passato con questa rivista. Si tratta di una grafica lampante, coraggiosa e audace e che si fa notare con i suoi colori accesi e interi titoli in corsivo. La scritta stessa Sicilia appare diversa per ogni numero, quasi a scardinare dal titolo stesso una stabilità sinonimo di normalità. Nella sua interpretazione di questa rivista, Favelli fa una vera e propria opera di collage e riciclaggio, ricreando qualcosa di nuovo, in un vero e proprio gioco di rimandi.

Flavio Favelli, L’Azzurro del Cielo, 2024. Spalliere di letto assemblate, 225x92x88 cm. Foto Fausto Brigantino

Il secondo nucleo della mostra riguarda le insegna neon di Palermo: in ogni città  se ne trovano in disuso, spente, testimonianza silenziosa di una luce ormai entrata nel dimenticatoio, di un passato , definito da lui stesso, fatato e non così lontano. Seguendo la stessa prassi, o lo stesso principio della rivista Sicilia, Favelli azzera totalmente i canoni standard per presentare in un ambiente chiuso e museale, e quindi decontestualizzandola. Il terzo nucleo della mostra è un’insegna nata per vivere in strada e per non essere circoscritta, limitata da mura, ma soprattutto non destinata a diventare e a essere elevata a opera d’arte. Così, l’insegna Fulmine di un vecchio negozio di biancheria, diventa opera d’arte. Un processo di revisione è quello che interessa i due cassoni scarrabili in ferro, per l’occasione pitturati e ripensati. Anch’essi non più solo un grande oggetto metallico, in mille sfaccettature, a volte vuoti, a volte pieni di detriti, altre pieni di spazzatura ma ormai parte integrante del panorama urbano delle strade di Palermo. ritrovandoli sotto. Adesso sono elevanti ad arte. Un’arte che proviene dal centro storico di Palermo, un ossimoro: l’arte del passato e la cassa di ferro sguaiata e scassata, a sottolineare, ancora una volta, cose alte e cose basse, e il loro dialogare. Un dialogo che nell’ottica dell’artista annulla l’asimmetria in cui l’immaginario comune tende a relegare in una sorta di manichea differenziazione.

Flavio Favelli, Fulmine, 2023. Insegna trovata, 255x100x12 cm. Foto Fausto Brigantino

Il quarto nucleo della mostra è costituito dall’esposizione di transenne della Casa Circondariale Calogero Di Bona – Ucciardone. Ci ritroviamo di fronte ad un’arte che diventa civile, rieducativa e rivalutativa.  Nascono così queste opere: manufatti in ferro costruiti in modo semi-artigianale dalle persone detenute che,  nate per dividere, sbarrare, contenere, qui uniscono, fanno pensare. Infine, ad aggiungere ancora un tratto siciliano, una mappatura del territorio, una mini serie di collage con le famose e caratteristiche veline delle arance, limoni e mandarini, in formato quadrato, rosso sangue tipiche della zona fra Palagonia e Paternò. La velina, pensata per proteggere le arance è diventata nel tempo un’industria di colore, creatività e ingegno, destinato a sopravvivere nel tempo. Gli incarti diventano una forma di arte popolare i soggetti si ispirano al territorio per dare un’idea riconoscibile della Sicilia attraverso colori sgargiante e variopinti. Sono figure e oggetti che popolano la Sicilia, un pantheon variopinto che in fondo rappresenta la vera confessione dell’isola. 

Favelli, con la sua poliedricità con un pugno di opere, delinea il ritratto di una Sicilia e di una Palermo, colma di contraddizioni e contrapposizioni. Si auto rende portavoce e portatore di un’oscillazione, tipica siciliana, tra il delizioso e il crudele, tra il bello e il brutto, tra ciò che è arte e ciò che non è arte, in un contesto, come quello di oggi, dove tutto sembra offuscato. In un panorama cosi, quasi sbiadito dal passato: Ci piacciono le altre figure di Favelli?, le riconosciamo?, ci riconosciamo in loro?

Flavio Favelli, Barriera Composta, 2024. Transenne trovate e dipinte, 115x570x79 cm. Foto Fausto Brigantino

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