22 agosto 2024

Sarà Emilio Isgrò a firmare la Notte della Taranta 2024

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Dopo Mimmo Paladino, tocca al maestro della cancellatura portare le proprie opere nella scenografia di una delle notti di cultura popolare più celebri di Italia

Dopo Mimmo Paladino un altro grande artista firmerà la Notte della Taranta, il più grande festival d’Italia e una delle più significative manifestazioni sulla cultura popolare in Europa. Era il 2012 quando il maestro della Transavanguardia pensò ad una scenografia che avrebbe fatto da fondale al concerto di Melignano, nel Salento. Fu quello per l’artista un anno di grande presenza in Puglia. Sette mesi prima, infatti, si era reso protagonista di un altro importante evento salentino, la Focara di Novoli. Il suo fu il primo di una serie di interventi di arte contemporanea bruscamente interrotasi nel 2018.

Oggi tocca ad un altro grande dell’arte italiana cimentarsi nell’impresa. Sarà Emilio Isgrò (Barcellona Pozzo di Gotto, 1937) ad incidere con il suo inconfondibile segno il concertone del 24 agosto, trasmesso in diretta a partire dalle 21.20 su Rai Rafio 2 e Rai 3. “In quest’ultimo mese si è lavorato molto sulla parte amministrativa ha spiegato il Presidente della Fondazione La Notte della Taranta Massimo Bray, a cui va il merito della scelta. Cercando di dare un segno culturale che possa significare molto in questa edizione, abbiamo chiesto ad Emilio Isgrò, noto in tutto il mondo, di esserci. Le cancellature costituiscono il modo cui ognuno di noi deve essere capace di fermarsi, ripensarsi e guardare al futuro. Questo per la Taranta è uno straordinario dono, non solo per il valore simbolico e culturale ma perché vuol dire che da domani dobbiamo lavorare e immaginare il suo futuro”.

Padre indiscusso della cancellatura, Isgrò è uno dei più importanti e rinomati artisti italiani viventi. Poeta, saggista, drammaturgo oltre che artista visivo, ha iniziato la sua ricerca a metà degli anni Sessanta, sul nascere del clima contestatorio e in piena temperie neoavanguardista.  All’epoca lavorava come giornalista al Gazzettino di Venezia, impiego che gli portò non poche soddisfazioni, inclusa quella di intervistare Kennedy. Come egli stesso ha più volte raccontato, nel corso della sua attività di redazione, vedendo le correzioni del direttore da inviare in tipografia, la cancellatura si impose al suo sguardo rendendosi più evidente della parola. Capì allora che essa non era gesto nichilista, votato al vuoto o al nulla, né atto di annullamento, ma anzi, proprio in virtù del suo essere elemento divergente e inciampo visivo, poteva diventare, strumento per dare più forza alla parola. Da quel momento cancellare divenne non un oltraggio ma un atto benevolo e salvifico. Fino ad oggi Isgrò ha cancellato di tutto, dall’Enciclopedia Treccani alla Divina Commedia, dai Promessi Sposi alla Costituzione Italiana, non con l’intento di annientarle ma di affermarne la presenza, esaltandone l’inalterata efficacia e lo straordinario valore intellettuale. Oggi più che mai, in una società iperconnessa e ipercomunicativa, la cancellatura è segno indispensabile, l’unico in grado di restituire alla parola e all’immagine quella centralità che il presente ha negato loro o ha ripetutamente mortificato. Isgrò ha invertito il rapporto nella convenzionale struttura pensiero-scrittura: se la cancellatura sola in un mare di parole si impone alla vista, allo stesso modo la parola posta in una moltitudine di cancellature riacquista tutta la sua forza grafica e semantica. È questo l’inizio di un percorso che ha portato l’artista a giocare con gli opposti trasformando l’illegibile in leggibile, l’invisibile in visibile, il minuscolo in gigantesco (celebre il tir recante le scritte sul carico Questo veicolo trasporta un seme d’arancia o un altro destinato al trasporto di una formica).  Animato da sempre da spirito cosmopolita e convinto che il pop andasse superato sul suo stesso piano di azione – inserendovi però prodotti più impegnati sul piano speculativo – l’artista ha scardinato il sistema agendo dall’interno, attuando un superamento dell’Arte Povera e del concettuale attraverso il collegamento diretto alla tradizione avanguardista, quella del dadaismo ma ancor più del futurismo, in una linea emancipativa dell’arte contemporanea tutta italiana. La fama di Isgrò è oggi ai massimi livelli: attualmente è artista dell’anno alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma che per un anno intero ospiterà una sua sala monografica con opere storiche e alcune recenti.

Trenta i brani che saranno eseguiti durante la Notte della Taranta, giunta alla 27ma edizione. A fare loro da cornice le riproduzioni digitali delle opere appositamente realizzate dall’artista per l’evento.La Notte della Taranta – ha dichiarato l’artista – mi è apparsa subito, fin dalle origini, come uno dei segni più efficaci e potenti della rinascita di un Sud che vuole produrre cultura tutelando le tradizioni, nel rispetto della nostra Costituzione, cosa tutt’altro che impossibile stando ai più fondati pronostici, se è vero che il Sud italiano è il più attrezzato per andare incontro alle speranze di crescita sostenibile. Così, quando il mio amico Massimo Bray mi ha chiesto di dare una mia testimonianza in questo che è indubbiamente un atto di rifondazione del festival, gli ho detto un sì convinto e totale. Non amo la retorica meridionalista, anzi amo il nostro Paese nella sua integrità, il Sud come il Nord. So tuttavia che non possiamo restare decentemente in Europa (e contare davvero) se tutte le forze disponibili in Italia non entrano in campo. Come siciliano, inoltre, mi unisce emotivamente alla Puglia, in un abbraccio d’amore, la comune eredità di Federico di Svevia, che in pieno Medioevo presagì le aspettative e i bisogni del mondo nel quale viviamo. Forse il nome di Federico è soltanto un simbolo, ma oggi anche i simboli hanno un peso se non ci attardano nella nostalgia e nel rimpianto.

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