Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Paranoid Parchetti
Miraggi e piccioni nei parchetti di zona. Noie e paranoie, odissee notturne, segreti generazionali da custodire: Paranoid Parchetti cita il titolo del film del 2007 ‘Paranoid Park’ del regista Gus Van Sant per tornare sull’immaginario collettivo ma incondivisibile del parchetto sotto casa.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Miraggi e piccioni nei parchetti di zona. Noie e paranoie, odissee notturne, segreti generazionali da custodire: Paranoid Parchetti cita il titolo del film del 2007 ‘Paranoid Park’ del regista Gus Van Sant per tornare sull’immaginario collettivo, ma personalmente incondivisibile, del parchetto sotto casa. Una zona mistica e stratificata che le nostre mitologie individuali hanno plasmato nella forma e nell’umore, sfidando la definitezza classificatoria degli spazi urbani.
Dal cinema neorealista all’immaginario della cronaca nera, dal parchetto rap e poi a quello personale di chiunque vi abbia legato i propri ricordi, il parchetto è una cosa ben nota a tutti, eppure per tutti diverso. Non c’è nessun vocabolario che lo menzioni. Non è un parco, non è un giardino e non è un giardinetto. Eppure abbiamo tutti ben presente il suo tremore. Che forme ha, di cosa odora. Le nostre storie sono rimaste impigliate tra quelle erbacce insieme ai fazzoletti sporchi, e ancora riusciamo a scorgerle se dopo anni lo riattraversiamo. Per questo ci sono anche parchetti in cui non vogliamo più tornare, che preferiamo guardare da lontano, e parchetti-archivio delle nostre tracce più tangibili: iniziali incise su un acacia o un’altalena, e insieme alle nostre, quelle di altri parconauti passati e futuri. Bestemmie, addii, tornei di cavalieri e droghe. Nel parchetto sei protetto da un cerchio magico, c’è la mia zona, la nostra panchina e il cespuglio, e in un altro cerchio c’è la zona di un anziano che lancia briciole ai piccioni, e in un altro cerchio, le avventure piratesche di qualche gruppo di mocciosi, pozioni magiche, guerre di pigne, ginocchia sbucciate e le prime sigarette. Il parchetto è un mutaforma incontrollabile: non mio, non tuo, non dei bro in motorino, non delle autorità, non dei piccioni e nemmeno del comitato di quartiere. I residui delle vicende notturne si riversano sul mondo del giorno: preservativi usati, puzza di bruciato e stelle cadenti. è impossibile attraversare il parchetto senza farsi penetrare dalle sue contraddizioni, dal chiasso delle sue bolge e dalle sue solitudini plurali. Piccoli mondi che contengono l’universo intero. Tinto di sangue e fumo, di briciole e pozzanghere, nel parchetto può non esserci nessuno, ma ci saranno sempre tutti, bambini e fantasmi, coppiette e piccioni.
Lo spazio-parchetto assimila, in questa lettura, alcune caratteristiche di un’eterotopia foucaultiana: spazi che, per quanto formalmente soggetti ad una funzione prevista, tuttavia nel loro uso effettivo la perdono, e insieme perdono i confini di un significato univoco, in continua transizione tra le fantasie e le visioni che chiunque vi riversa, diventando così un luogo più psichico che fisico. Nessuna di queste visioni può però concretizzarsi davvero, perchè il parchetto è un luogo di pluralità imposta, e quindi di conflitto tra altre rappresentazioni affettive e arbitrarie.
Seguendo una traiettoria che va dal mondo alla mente, quelle di Cosimo Casoni, Alice Faloretti e Andrea Luzi sono tre modi rappresentativi della natura antropizzata. Per Cosimo, un parchetto è un playground, che si lega direttamente al suo background biografico e artistico, l’underculture urbana e l’attitudine street che ribalda l’architettura cittadina in un potenzialmente infinito campo da gioco. Per Alice lo sguardo si sdoppia e si mescola il dato visivo con quello emozionale. Lo spazio si deforma e si tinge del sentimento di chi lo attraversa. In una reminiscenza dell’inquietudine romantica, il suo parchetto può espandersi fino a diventare un bosco, una foresta infinita e convulsa di uragani e sgomento davanti alla finitezza umana. Infine con Andrea siamo del tutto nel regno della visione. Lo spazio si popola di fantasie e creature sbucate da dietro la siepe, fuoriescono dai muri pittati o dal sottosuolo e si aggirano nel parchetto come presenze. Che forma ha una paranoia? E cos’era quel mormorio dietro il cespuglio?
Dal cinema neorealista all’immaginario della cronaca nera, dal parchetto rap e poi a quello personale di chiunque vi abbia legato i propri ricordi, il parchetto è una cosa ben nota a tutti, eppure per tutti diverso. Non c’è nessun vocabolario che lo menzioni. Non è un parco, non è un giardino e non è un giardinetto. Eppure abbiamo tutti ben presente il suo tremore. Che forme ha, di cosa odora. Le nostre storie sono rimaste impigliate tra quelle erbacce insieme ai fazzoletti sporchi, e ancora riusciamo a scorgerle se dopo anni lo riattraversiamo. Per questo ci sono anche parchetti in cui non vogliamo più tornare, che preferiamo guardare da lontano, e parchetti-archivio delle nostre tracce più tangibili: iniziali incise su un acacia o un’altalena, e insieme alle nostre, quelle di altri parconauti passati e futuri. Bestemmie, addii, tornei di cavalieri e droghe. Nel parchetto sei protetto da un cerchio magico, c’è la mia zona, la nostra panchina e il cespuglio, e in un altro cerchio c’è la zona di un anziano che lancia briciole ai piccioni, e in un altro cerchio, le avventure piratesche di qualche gruppo di mocciosi, pozioni magiche, guerre di pigne, ginocchia sbucciate e le prime sigarette. Il parchetto è un mutaforma incontrollabile: non mio, non tuo, non dei bro in motorino, non delle autorità, non dei piccioni e nemmeno del comitato di quartiere. I residui delle vicende notturne si riversano sul mondo del giorno: preservativi usati, puzza di bruciato e stelle cadenti. è impossibile attraversare il parchetto senza farsi penetrare dalle sue contraddizioni, dal chiasso delle sue bolge e dalle sue solitudini plurali. Piccoli mondi che contengono l’universo intero. Tinto di sangue e fumo, di briciole e pozzanghere, nel parchetto può non esserci nessuno, ma ci saranno sempre tutti, bambini e fantasmi, coppiette e piccioni.
Lo spazio-parchetto assimila, in questa lettura, alcune caratteristiche di un’eterotopia foucaultiana: spazi che, per quanto formalmente soggetti ad una funzione prevista, tuttavia nel loro uso effettivo la perdono, e insieme perdono i confini di un significato univoco, in continua transizione tra le fantasie e le visioni che chiunque vi riversa, diventando così un luogo più psichico che fisico. Nessuna di queste visioni può però concretizzarsi davvero, perchè il parchetto è un luogo di pluralità imposta, e quindi di conflitto tra altre rappresentazioni affettive e arbitrarie.
Seguendo una traiettoria che va dal mondo alla mente, quelle di Cosimo Casoni, Alice Faloretti e Andrea Luzi sono tre modi rappresentativi della natura antropizzata. Per Cosimo, un parchetto è un playground, che si lega direttamente al suo background biografico e artistico, l’underculture urbana e l’attitudine street che ribalda l’architettura cittadina in un potenzialmente infinito campo da gioco. Per Alice lo sguardo si sdoppia e si mescola il dato visivo con quello emozionale. Lo spazio si deforma e si tinge del sentimento di chi lo attraversa. In una reminiscenza dell’inquietudine romantica, il suo parchetto può espandersi fino a diventare un bosco, una foresta infinita e convulsa di uragani e sgomento davanti alla finitezza umana. Infine con Andrea siamo del tutto nel regno della visione. Lo spazio si popola di fantasie e creature sbucate da dietro la siepe, fuoriescono dai muri pittati o dal sottosuolo e si aggirano nel parchetto come presenze. Che forma ha una paranoia? E cos’era quel mormorio dietro il cespuglio?
06
settembre 2024
Paranoid Parchetti
Dal 06 al 30 settembre 2024
arte contemporanea
Location
SOF:ART
Bologna, Corte Isolani, 2f, (BO)
Bologna, Corte Isolani, 2f, (BO)
Orario di apertura
18:00
Sito web
Autore
Curatore
Autore testo critico