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Contemporanea 2024, nel cuore dell’Abruzzo le opere di 50 artisti internazionali
Progetti e iniziative
Le stelle e l’obelisco, il Festival di Mezza Estate e il fiume Imele, il taglio di roccia e le case umane, le chiese e i chiostri. Forse così si può descrivere Tagliacozzo (AQ), ridente cittadina al confine tra Lazio e Abruzzo. Posizionato sul percorso della via Tiburtina Valeria che giungeva da Roma e proseguiva fino al mare, Tagliacozzo è uno dei borghi più belli d’Italia ed è meta di eventi culturali di ampio respiro. «Ci tornavo la sera, dalla città che si oscurava, e per me non era un luogo tra gli altri, ma un aspetto delle cose, un modo di vivere», questa breve citazione di Cesare Pavese da La casa in collina ci introduce al racconto di questa splendida cittadina.
Contemporanea 2024
Contemporanea 2024 è la kermesse di arte contemporanea ospitata all’interno del Palazzo ducale Orsini-Colonna. Fino al 10 settembre prossimo le austere stanze sono rianimate dall’esposizione di ben oltre 80 opere di 50 artisti italiani e stranieri.
Ideata nel 2012 dal direttore artistico Emanuele Moretti, Contemporanea è giunta quest’anno alla sua undicesima edizione. Curatore di Contemporanea 24 è Cesare Biasini Selvaggi a cui è stata affidata la selezione di artisti e artiste della scena mondiale.
L’esposizione si articola in tre diverse sezioni: una internazionale, un premio e, quella più attesa, una sezione relativa ad artisti emergenti abruzzesi. È qui che l’occhio attento di Cesare Biasini Selvaggi si è soffermato a scrutare le nuove proposte nel campo dell’arte. Abruzzo contemporaneo. Focus sull’arte emergente riunisce 19 nuove proposte di artisti di età inferiore ai 40 anni.
Francesco Alberico (1996, Pescara), in Pensato per il cielo propone un disco in ceramica dotato di profonda carica espressiva. Uno stargate interconnesso tra l’uomo e l’infinito; un gesto di consapevolezza se si considera che siamo tutti sotto gli astri vaganti del cielo. Una captatio benevolentiae senza esiti la sua, che nell’opera introduce il mondo nella forma (il tondo) e nella materia (ceramica e dunque terracotta).
Giuditta Branconi (1998, Sant’Omero, Teramo) è presente con I wish I was born a rich blonde girl, opera con un insieme di soggetti di carattere femminile. I componimenti di Branconi restituiscono ambientazioni immaginarie in cui le figure, talvolta campite da striature, osservano in maniera distratta il mondo, quasi convitati di pietra di fronte al grande dramma della vita.
Simone Camerlengo (1989, Pescara) espone Copy in cui brani di colore pastello si librano disinvolti sulla tela. Ma è nello spazio esterno al segno che riposa il messaggio dell’artista. Dal bianco di risulta, per sottrazione, emerge una nuova “possibilità linguistica” che esula dai normali segni grafici e permette di afferrare il non detto.
Matteo Capriotti (1996, Giulianova, Teramo) in Fragile, fatigué et exposé propone linee libere e ineguali che si dispongono in una realtà fluttuante, onirica e imprendibile, fatta di campiture che aprono tanto verso nuovi mondi quanto verso realtà materiali e concrete. Difficile percepire in quale di questi due ambiti si ponga l’artista, a metà tra definito e indefinito.
Beatrice Celli (1992, L’Aquila) espone diverse opere tra cui Sorella Carovana. Latori di un mistero ancestrale, i suoi messaggi sono nascosti tra le pieghe della stoffa, cuciti con aghi e punti. Celli indaga l’universo sopito del folclore abruzzese, restituendo nel variopinto uso dei tessuti le credenze e le tradizioni di una civiltà ormai silente.
Le opere Polline e Isola dei vivi di Francesco Ciavaglioli (1983, Avezzano, L’Aquila) inconsciamente lamentano un bisogno di sopravvivenza, in cui la prospettiva interna ai soggetti scruta ben più a fondo il mistero di una natura da salvaguardare. Francesco Ciavaglioli colpisce per la semplicità e al tempo stesso la profondità dei temi. Di matrice prevalentemente naturalistica, le sue opere trasbordano i confini della tela e si estendono nelle pieghe dei muri. Ne emerge un universo indistinto tra realtà (il muro) e finzione (l’opera).
Serena Ciccone (1985, L’Aquila) in Senza titolo e Punti di luce intercetta sottili suggestioni. Campi magnetici in cui il vuoto è lo spazio di trasmissione di un messaggio sincretico che dal fondo della tela giunge fino a noi. Un vuoto prospettico. Un asse silenzioso emerge in maniera considerevole dal centro di diffusione dell’energia e grida, dal silenzio del puntinato, un bisogno di ricerca ben più profondo.
Alessandro D’Aquila (1989, Atri, Teramo) in Taci, L’Infinito e Foco omaggia rispettivamente Gabriele D’Annunzio, Giacomo Leopardi e Cecco Angiolieri riproducendo i versi degli autori su tavole ottometriche. I soggetti di D’Aquila ci ricordano che la poesia diventa memoria, ed è qui che si stratifica la consapevolezza che alcuni messaggi, i più semplici o i più alti, sono passati attraverso gli occhi e la vista.
Daniele Di Donato (1995, Giulianova, Teramo) è un artista digitale che riproduce ambientazioni naturali in Far away, How we used to communicate, Shades of Blue. Se la natura per i romantici era in corrispondenza con l’animo, Di Donato apre a visioni naturalistiche irreali, bellissime e, in quanto tali, desiderate.
Daniele Di Girolamo (1995, Pescara) in A measure of distance (II) e Beautiful things fading away (conversation), propone marchingegni elettronici che riproducono in maniera sintetizzata i discorsi umani. Una curiosa velleità quella di trasportare la voce verso soluzioni meccaniche, ma al tempo stesso affascinante perché anticipa visioni future su modalità di comunicazione avveniristiche.
I paesaggi abruzzesi sono fonte di ispirazione per Elio Di Paolo (1989, Tivoli, Roma), le sue immagini fotografiche e i video captano l’immensità dei luoghi della regione, paesaggi d’altura spesso dominati dal silenzio. È il caso di Quello che vedo 3.0 in cui il luogo ameno subisce una rivisitazione ulteriore in cui l’artista stabilisce la propria visione rispetto al paesaggio e alla natura.
Silvia Mantellini Faieta (1992, Pescara) presenta diversi disegni su carta realizzati a penna. Di 6.6 mm ci colpisce quello in cui l’artista fa riferimento al romanzo filosofico di Simone De Beauvoir Tutti gli uomini sono mortali. Singolare l’accostamento con gli oggetti all’interno della narrazione che, in un solo fotogramma, lasciano presagire il senso di caducità dell’esistenza, a tutte le età della vita.
I quadri di Emanuele Moretti (1988, Avezzano, L’Aquila) sono realizzati con stesure di colore insolito e irregolare: il giallo con l’azzurro, l’arancio con il verde. Sottili linee immaginarie delimitano le varie tonalità. Si direbbe che Moretti mescoli nei suoi quadri tutte le emozioni che gli provoca la pittura. La sua arte, condensata e astratta, pone elementi che vanno tutti nella stessa direzione: indagare la coscienza di sé. In L’altra riva l’artista ci mostra quello che lui definisce l’IO interno attraverso un dialogo interconnesso di cromie.
“Conobbe la magica monotonia dell’esistenza tra cielo e acqua; sopportò le critiche degli uomini, le esazioni del mare e la prosaica severità dei compiti quotidiani che procurano il pane […] perché nulla è più seducente, nulla disincanta di più e rende schiavi della vita del mare”, questo cenno a Joseph Conrad contenuto nel romanzo Lord Jim (Feltrinelli) sembra adeguato a raccontare l’opera di Gioele Pomante (1993, Pescara) dal titolo Ho parlato con il mare. Là dove l’orizzonte tra cielo e mare si confonde, Pomante introduce frasi d’impatto, aforismi della vita più o meno intense, che emergono dal suo universo interiore come assunti paradigmatici della storia di molti.
“Quelle dipinte da Maura Prosperi – (1996, Pescara) – in Chara sono visioni speculari della realtà che, da questo punto, coesistono e si aggirano nel loro contrario. Una compresenza dimensionale. Inflessione ridondante, implosione generatrice. Elementi abissali che affiorano in superficie. Generazione perpetrata in un loop dal quale sembra non esserci possibilità di evasione. Il paradossale si insinua nel tessuto epidermico. È il sottosopra disvelato nella dimensione sensoriale”, scrive Cesare Biasini Selvaggi nel catalogo della mostra.
Sofia Ricciardi (1985, Pescara) nel collage su carta di Pensieri diurni rivela l’importanza del tratto rispetto all’intera scena. Le linee semplici suggeriscono la chiave si interpretazione di componimenti in cui l’artista va alla ricerca di un difficile equilibrio di spazi, forme e colori nell’unica superficie utilizzabile. I suoi collage riferiscono immagini di animali o curiosi esseri, evidenziando così un forte legame con la natura. La realtà è resa da una visione frammentaria, che viene ricostruita solo nell’immagine mentale dell’artista.
Letizia Scarpello (1989, Pescara) in Troppo umano ricerca un colore stonato la cui visione può generare disagio e al tempo stesso fastidio. La tenda, elemento congeniale a Scarpello considerata la pratica familiare di trattare tendaggi, riesce nell’intento di rendere artistico ciò che fondamentalmente appartiene alla nostra quotidianità. I materiali scelti hanno infatti una funzionalità reale. Sovrapporre il senso artistico a quello prettamente utile sembra un’intuizione interessante su cui condurre un progetto di ricerca.
Guardarti sognare di Eliano Serafini (1991, Pescara) è una conchiglia cui l’artista applica una ciglia finta. L’immagine che ne deriva è un occhio chiuso al di là del quale si apre un mondo intangibile fatto di sogni. Di grande spessore anche Involucro opera realizzata in carta masticata. Nel grande foro centrale in cui la materia è mancante l’artista sceglie di non rappresentare un episodio, piuttosto la sua assenza, caricandola di un contenuto interiore. Entrambe le opere sono allestite nella Cappella.
Davide Serpetti (1990, L’Aquila) indaga il rapporto tra immagine e potere. Le figure di Fall to pieces e Fantino/Tell Me about Your Broken Heart implicano un riferimento più alto al senso dell’autorità intesa come ricognizione di alcuni aspetti, spesso contraddittori, della natura umana.
Contemporanea 24 è completata dalla mostra Contemporanea Prize 2024, premio che ripercorre il lavoro di 10 finalisti tra cui sono stati selezionati tre vincitori. Antonio Barbieri (1985, Rho, Milano), Beatrice Celli (1992, L’Aquila), Benedetta Cocco (1997, Cagliari), Andrea Crespi (1992, Varese), Ilaria Feoli (1995, Avellino), Bekim Hasaj (1990, Bajram Curri, Albania), Ohii Katya (1993, Kharkiv, Ucraina), Sofia Ricciardi (1985, Pescara), Mattia Sugamiele (1984, Erice, Trapani), Vaste Programme (duo formato da Giulia Vigna e Leonardo Magrelli nel 2017, Roma) si sono interrogati sul tema prescelto da Biasini Selvaggi, ossia Costruire nuovi mondi. Vincitori di questa edizione sono Vaste Programme e Sofia Ricciardi che hanno ricevuto premi in denaro, e Antonio Barbieri cui è stata assegnata una residenza d’artista a Treviso presso 21 Gallery di Alessandro Benetton.
Painting in the Global Present: an Overview
La mostra prosegue con la sezione Painting in the Global Present: an Overview in cui 26 artisti nazionali e internazionali propongono la loro visione della pittura. Laura Berger (1979, Chicago, USA), Sinéad Breslin (1986, Limerick, Irlanda), Hamish Chapman (1993, Londra, Inghilterra), Aisha Christison (1989, Margate, Inghilterra), Darin Cooper (2000, Newport News, USA), Ryan Cosbert (1999, Brooklyn, USA), Mary DeVincentis (1948, Brooklyn, USA), Azadeh Elmizadeh (1987, Tehran, Iran), Harriet Gillett (1995, East Yorkshire, Inghilterra), Holly Halkes (1993, Londra, Inghilterra), Whit Harris (1985, New York, USA), Emiliana Henriquez (1986, San Salvador, El Salvador), Sebastián Hidalgo (1985, Puebla, Messico), Sun Jing (1986, Wuhan, Cina), Taedong Lee (1989, Seoul, Corea del Sud), Yann Leto (1979, Bordeaux, Francia), Sofia Muljat (1999, Buenos Aires, Argentina), Anousha Payne (1991, Londra, Inghilterra), Matt Phillips (1979, Roanoke, USA), Jonathan Ryan (1989, Buffalo, USA), Mary Shangyu Cai (1999, Beijing, Cina), SOKO (1995, Buenos Aires, Argentina), Sophie Ullrich (1990, Ginevra, Svizzera), Salomé Wu (1996, Beijing, Cina), Jess Xiaoyi Han (1997, Dalian, Cina), Xu Yang (1996, Shandong, Cina) questi i nomi dei 26 artisti in mostra.
I contenuti proposti non esprimono la retorica dell’età presente ma l’età presente, come voluto dal curatore Cesare Biasini Selvaggi. Si realizza così la profondità dell’anima contemporanea. La precisione del segno di alcune opere si intreccia con la suggestione astratta di altre, ma il portato sentimentale è lo stesso, caricato dallo spessore della natura umana. L’esposizione vive di una doppia esistenza: quella immateriale dello spirito e quella vitale del segno. Ma comunque le opere fanno emergere i periodi della vita con una capacità mai didascalica, con una prospettiva globale, soprattutto se si considera che gli artisti hanno diverse origini: Europa, America, Asia.