15 settembre 2024

Teatro della guerra e strategie sovversive in una mostra a Milano

di

Un’operazione estetica che disinnesca il paradigma militare, documentandone i sintomi: la collettiva di dodici artisti internazionali curata dalla piattaforma SA.turn presso ArtNoble Gallery Milano risignifica i concetti di arma, diserzione e “drop out”

Theater of Dis-operations, presented by Sa.Turn and ArtNoble Gallery, Installation view. Courtesy of ArtNoble Gallery. Ph. Credits Michela Pedranti

Atto primo: sabotaggio, teatro di guerra, diserzione, disarmi, decostruzione, indebolimento del paradigma bellico. La mostra Theatre of Dis-Operations presso ArtNoble Gallery di Milano, da giugno a settembre 2024, è un ambizioso progetto espositivo che tenta di aggredire e risignificare la semiotica di questi termini, nodi centrali della riflessione sul nostro tempo. Dodici artisti italiani e internazionali che spogliano l’opera dalla sua accezione performativa facendone documentazione del reale vissuto: l’arte come arma contro le armi.

Theater of Dis-operations, presented by Sa.Turn and ArtNoble Gallery, Installation view. Courtesy of ArtNoble Gallery. Ph. Credits Michela Pedranti
Theater of Dis-operations, presented by Sa.Turn and ArtNoble Gallery, Installation view. Courtesy of ArtNoble Gallery. Ph. Credits Michela Pedranti

La mostra segue un approccio etimologico: gli spazi delle opere sono “occupazioni di territori”, luoghi di narrazione. La galleria si fa laboratorio di strategie sovversive, un percorso tracciato da linee di fuga, connesse in modo coeso tra i dispositivi e il loro uso potenziale. I lavori sono disposti tra quinte teatrali, confini mobili che amplificano la percezione del dramma e l’alterità del gioco tra detto e indicibile, e catturano un momento di ribellione al sistema, in nazioni ed epoche diverse in cui il conflitto si va moltiplicando come metastasi di un sistema estremo, iniquo. Un teatro ciclico persistente di violenza senza significato. Non un’autocelebrazione del dissenso, non la spettacolarizzazione del disarmo, ma un’operazione estetica che disinnesca il paradigma militare, come un grido di ribellione contro la brutalità sistemica dove critica, metafora e cupa ironia si confondono. Una critica strutturata alla guerra, alla manipolazione della propaganda, un “teatro della diserzione”, come suggerisce il titolo. Il dispositivo scenico qui si presenta nella sua nudità, senza orpelli: le quinte teatrali spogliate di qualsiasi scenografia rappresentano il grado zero dell’immaginazione, la condizione incipit da cui è necessario ripartire per costruire un nuovo paradigma. L’impianto grafico, che richiama l’iconografia ribelle degli anni ’70 e le locandine dadaiste, è un ponte tra epoche di resistenza, un richiamo alla necessità di un’azione collettiva. «La quinta teatrale non è solo uno sfondo, ma può diventare un muro che il teatro epico deve rompere, permettendo agli spettatori di vedere e riflettere sulla realtà dietro l’illusione», scriveva Brecht. La mostra è curata da Sa.turn, piattaforma di ricerca curatoriale fondata da Arnold Braho, Giordano Cruciani e Stefano de Gregori che propone mostre, saggi critici, proiezioni e lecture come dispositivi per affrontare urgenze contemporanee, dinamiche locali o specificità culturali attraverso un “Situated Art Turn”. Il pamphlet in galleria presenta materiali d’archivio, inserti di giornali culturali alternativi, estratti di pubblicazioni di propaganda ispirate agli opuscoli politici e alla stampa anni ‘90.

Theater of Dis-operations, presented by Sa.Turn and ArtNoble Gallery, Installation view. Courtesy of ArtNoble Gallery. Ph. Credits Michela Pedranti
Theater of Dis-operations, presented by Sa.Turn and ArtNoble Gallery, Installation view. Courtesy of ArtNoble Gallery. Ph. Credits Michela Pedranti

Partiamo dal titolo, che estende il significato di guerra, teatralizzazione e operazione militare. La definizione “teatro di guerra” ha radici storiche nella teoria militare classica. Qui, una zona rossa in cui convivono azioni disperate e violente, isterie politiche e militari, ma al tempo stesso proscenio teatrale che sconfina in una condizione concettuale di polivalenza artistica. Un’arte che, in quanto astrazione indiretta, agisce come una “nebbia di guerra”, concetto di Carl von Clausewitz che descrive l’incertezza e il panico intrinseco sul campo di battaglia. Nessuna pianificazione tattica può mantenerci inflessibili di fronte agli orrori della guerra, caos dovuto al superamento di un limite: la libertà. Un paradosso dunque, un teatro delle contraddizioni, che di per  agisce per vie creativamente illogiche, drammaturgiche, dove i guerrieri già sconfitti lottano per cercare di vincere. «Il teatro è concepito come para-strutturale alla mostra. Lo scopo è rivelare tecniche di sabotaggio sia militare (in termini tecnici) sia immaginifico, trovare un modo per romperne i simboli», nelle parole dei curatori.

Theater of Dis-operations, presented by Sa.Turn and ArtNoble Gallery, Installation view. Courtesy of ArtNoble Gallery. Ph. Credits Michela Pedranti

Il titolo richiama la pratica dell’agit-prop (contrazione di agitation+ propaganda), una forma di teatro politico-didattico diffuso nella Russia post rivoluzione dal 1917 in poi, attuato per plasmare ed educare un pubblico analfabeta alla propaganda socialista e comunista, attraverso la stimolazione emotiva (agitazione) e la propaganda di regime. Un teatro-non-teatrale con tesi precise e politicamente determinate. In ultimo, il prefisso dis– denota una negazione oppositiva, una distorsione rispetto a uno stato precedente. In questo contesto, “dis-operation” è un atto di sovversione nei confronti delle operazioni convenzionali, siano esse militari, politiche o culturali, senza interrompere il loro normale funzionamento ma ribaltandolo, rivelandone così le contraddizioni, le aporie e le disfunzioni intrinseche. Gli artisti in mostra ragionano in momenti di pratica di tolleranza, una riesamina dei sintomi e dei processi che portano alla violenza militare e concettuale: armi per la distruzione di massa, nucleari, chimiche e linguistiche. All’ingresso, la grande bandiera d’acciaio di Francesco Vullo, composta dagli scarti metallici degli operai in Italia, è senza insegne. Il collettivo Critical Art Ensemble (CAE) dal 1987, porta Marching Plague, film del 2005 sullo svelamento del bioterrorismo in America. Un reenactment di esperimenti con armi chimiche sui toni dell’assurdo, che apre con l’ironico incipit: “What you should know about biological warfare”.

Theater of Dis-operations, presented by Sa.Turn and ArtNoble Gallery, Installation view. Courtesy of ArtNoble Gallery. Ph. Credits Michela Pedranti
Theater of Dis-operations, presented by Sa.Turn and ArtNoble Gallery, Installation view. Courtesy of ArtNoble Gallery. Ph. Credits Michela Pedranti

A fianco, il ready made di uno scudo russo di Paolo Ciregia, artista e fotoreporter di guerra, e una fotografia di uomini senza connotati impegnati in guerre imperialistiche. In seconda sala, una foto immortala l’esercizio ginnico per impugnare un’arma, ma senza nessuna arma. Dall’India, Arijit Bhattacharyya installa The Blue Tiger, maschera di costume tradizionale di protesta sociale utilizzata nella parte orientale del Paese presso alcune comunità autoctone, simbolo della narrativa controversa veicolata dai media politici. “…..No matter if people suffer….”: la tv anni ’80 hackerata di Infinite (artista anonimo) svela, tramite la parafrasi modificata dei sottotitoli di alcuni commercials e spot pubblicitari, la propaganda delle più grandi industrie guerrafondaie, giocando sull’ironia del controsenso. Con il simbolo dell’ulivo, connesso alla questione palestinese e al vissuto ligure dell’artista, e le sagome di fucili “inutilizzabili”, Gaia De Megni analizza la possibilità dell’immagine di frantumare la spettacolarizzazione delle rappresentazioni occidentali: “Deponi le armi come miniere fiorite”. Complesso è il display pensato da Agnese Barbarani, fotografa che documenta la lotta al disarmo del collettivo portuale CALP a Genova, con cui ha trascorso circa un anno. Barbarani costruisce un archivio di oggetti realmente utilizzati durante le manifestazioni, volantini e manifesti del collettivo e testi teorici come L’ape e il comunista, la riflessione teorica più completa scritta dalle Brigate Rosse. Una dedica al gruppo genovese, che aveva l’obiettivo di “fermare la logistica di guerra”, come recita un volantino del 10 novembre 2023: «Basta traffici di armi in porto: solidarietà». Le foto mostrano gli “oggetti di lotta” che il collettivo ha utilizzato per manomettere e ostacolare le navi del porto, oggetti semplici che si ergono ad “alfabeto” del sabotaggio.

Theater of Dis-operations, presented by Sa.Turn and ArtNoble Gallery, Installation view. Courtesy of ArtNoble Gallery. Ph. Credits Michela Pedranti
Theater of Dis-operations, presented by Sa.Turn and ArtNoble Gallery, Installation view. Courtesy of ArtNoble Gallery. Ph. Credits Michela Pedranti

Di Thiago Dezan, artista multimediale brasiliano, vengono esposte foto documentarie di donne indigene della comunità zapatista in Chiapas (in cui è forte la componente femminista), armate per salvaguardare il territorio dai cartelli messicani. L’artista angolano Delio Jasse lavora sul concetto di immagine latente e di memoria tramite la proiezione di diapositive di “immagini trovate” ricomposte in cianotipie. Gli acrilici su carta di Stefano Serretta raccontano le reti solidali per la diserzione, che non compaiono nelle geografie ufficiali, come gli scontri del ‘77 in via De Amicis e il processo per i fatti di Argelato. “Per fare un tavolo ci vuole la guerra”: alienanti e ossimorici sono gli assemblaggi installativi di Zazzaro Otto, che ironizzano su tutte le propagande spicce partendo dall’immaginario dell’infante, il “subalterno per eccellenza”, come figura priva di qualsiasi autonomia politica e che quindi si arma di qualsiasi ideologia per fuggire dal mondo. La giacca della marina militare di ChezPlinio, la galleria fondata dall’artista, non porta nessuna toppa, nessuno stemma di nessuno Stato. La fuga viene documentata da Shadi Harouni tramite un lavoro autobiografico che racconta l’ultimo giorno della sua famiglia passato nel Kurdistan Iraniano prima di emigrare all’estero, insieme a un’intervista fatta a un intellettuale autoisolatosi in montagna, dopo l’acuirsi degli estremismi islamici. L’ultima opera della mostra è scelta perché documenta l’ultimo giorno dei bombardamenti.

Theater of Dis-operations, presented by Sa.Turn and ArtNoble Gallery, Installation view. Courtesy of ArtNoble Gallery. Ph. Credits Michela Pedranti
Theater of Dis-operations, presented by Sa.Turn and ArtNoble Gallery, Installation view. Courtesy of ArtNoble Gallery. Ph. Credits Michela Pedranti

La mostra dilata il concetto di “arma”, sia essa materica o ideologica, che diventa un dispositivo concettuale più che fisico. Arma che viene definita da Musciarelli nel Dizionario Delle Armi (1968) -che vediamo in mostra- come «Ogni mezzo idoneo ad offendere o a difendersi. Possa l’arma istruire sull’arte di distruggere e difendersi, temendosi e rispettandosi a vicenda, sapendo che sempre, ragguagliata ogni cosa, le battaglie non producono né vittorie né rotte». «L’urgenza primaria della società contemporanea è l’attivazione di processi di disarmo», come raccontano i curatori, attivando percorsi strutturali non violenti di fronte all’escalation di guerre, di invasioni criminali e inopinate, del mercato delle armi. Secondo i dati del SIPRI, la spesa militare globale ha raggiunto i 2443 miliardi di dollari nel 2023, e ciò indica un deterioramento globale della sicurezza e della vita. “La guerra sembra essere vecchia quanto l’umanità, ma la pace è un’invenzione moderna»? Il sabotaggio, come scriveva nel suo opuscolo anarchico Émile Pouget datato 1911, è una forma di rivolta vecchia quanto lo sfruttamento umano. Si da principio il termine, che deriva dal francese “sabot”, zoccolo, indicava una protesta dei lavoratori nel XIX secolo: lotta immediata, difesa e protezione contro le angherie del potere. Theatre of Dis-Operations, in questo senso, si fa metafora della diserzione. Franco Bifo Berardi scrisse che disertare è «un modo di intendere l’etica, la politica e la vita stessa, strategia razionale nelle condizioni globali che ci troviamo a vivere», una scissione orientata a perseguire la cura della pace e della libertà. Nella metafora della diserzione, qual è il conflitto che si rifiuta?

Theater of Dis-operations, presented by Sa.Turn and ArtNoble Gallery, Installation view. Courtesy of ArtNoble Gallery. Ph. Credits Michela Pedranti

«Prendiamo i nostri desideri per realtà perché crediamo nella realtà dei nostri desideri”, così recita in chiusura il pamphlet di accompagnamento del progetto. I curatori precisano che l’idea è “fare un passo indietro, recuperare l’immaginario della guerra non tramite la messa in mostra della violenza, come avviene sui social media, ma solo di elementi che ne richiamano i simboli. Siamo partiti dallo studio critico delle mostre Theatre of Operation del 2019 presso il MoMA di New York e la mostra Artisti in Guerra del 2023 al Castello di rivoli. Non feticizzare la guerra, non rimanere neutrali». In Theatre of Dis-Operations “mettere in scena” è già un atto di resistenza. Ad Artnoble Gallery ci vengono suggerite alcune delle modalità “dis-operative” possibili, un tracciato di azioni che smantellano, dissipano e disturbano le operazioni militari tradizionali per far emergere verità scomode, anomalie e difetti che altrimenti rimarrebbero nascosti. Un glossario di termini e stimoli visivi che tendono verso una nuova semiotica del sabotaggio e nuove pratiche di intolleranza verso la passività e la disumanità in un’epoca in cui l’urgenza è davvero non perpetuare il ciclo della violenza contro la vita, in ogni sua forma.

Theater of Dis-operations, presented by Sa.Turn and ArtNoble Gallery, Installation view. Courtesy of ArtNoble Gallery. Ph. Credits Michela Pedranti

La domanda rimane: la diserzione come atto di sabotaggio può essere vista come un’utopia di resistenza, ma è sufficiente per innescare un vero cambiamento? O rischia di essere un invito alla fuga, un abbandono della scena di lotta che lascia inalterato il campo di battaglia? Disarmare chi e in favore di cosa? Mentre la guerra si fa spettacolo, il pericolo è che anche il disarmo diventi parte di quel teatro. Sabotare la macchina della guerra non significa solo opporsi frontalmente, ma anche renderla inefficace, disinnescare i suoi meccanismi dall’interno attraverso atti di diserzione e di “drop out”.

“Il segreto per sopravvivere: mai combattere, specialmente contro se stessi…” – Lord of War, Andrew Niccol 2005

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui