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“There will be no miracles here”: racconto in presa diretta della 17esima Biennale de Lyon
Fiere e manifestazioni
Tra il 21 settembre 2024 e il 5 gennaio 2025, con l’inaugurazione della 17a edizione della Biennale, Lione sarà protagonista dell’arte contemporanea francese, oscurando per un po’ la scena parigina. Questa edizione, curata da Alexia Fabre, direttrice dell’Accademia di Belle Arti di Parigi, si estende in nove luoghi simbolici della città, tra cui spiccano Les Grandes Locos, la Cité Internationale de la Gastronomie, il Musée d’Art Contemporain de Lyon (macLYON) e l’Institut d’art contemporain (IAC). Con circa ottanta artisti, tra cui un quinto sotto i trent’anni, la Biennale conferma la sua volontà di dar voce alla nuova generazione, come sottolineato dalla direttrice Isabelle Bertolotti.
Fin dalla sua prima edizione nel 1991, la Biennale rafforza il legame con il territorio, promuovendo un programma di iniziative artistiche e culturali che coinvolgono la città, l’area metropolitana e l’intera regione. Questa edizione è strettamente legata alla topografia di Lione, città attraversata dai fiumi Rodano e Saona, che confluiscono poco a nord dei Grandes Locos, sede principale della Biennale. Il tema dell’acqua e del suo scorrere è infatti centrale: così come i fiumi superano confini e culture, l’arte si propone di abbattere barriere fisiche e mentali. Il tema scelto dalla curatrice Le voix des fleuves. Crossing the water (“Le voci dei fiumi. Attraversare l’acqua”) invita a un dialogo profondo tra arte, natura e umanità, sottolineando l’importanza di focalizzarsi sull’altruismo e sulla comunicazione tra popoli in questo momento storico.
Nei Grandes Locos, un’ex area industriale dedicata alla manutenzione dei treni, emerge con forza il tema del viaggio, del movimento di persone e della riparazione come atto di cura. Le opere esposte sottolineano l’importanza delle alleanze e dei rituali collettivi come risposta alle divisioni sociali. «Il tono è gioioso, pieno di fervore» afferma la curatrice, che è riuscita nell’intento di creare un allestimento accattivante quanto gioioso, reso possibile dal lavoro ad hoc degli artisti, che hanno animato i due grandi magazzini con opere viventi, interattive e grandi installazioni colorate. Ad aprire la visita ai Grand Locos è l’enorme installazione luminosa di Nathan Coley (Glasgow, 1967), che recita: “There will be no miracles here”. Il motto trae origine da un detto del XVII secolo di un villaggio in Alta Savoia, dove il re vietava manifestazioni isteriche, o “miracoli”, nel tentativo di controllare sia il dominio fisico che quello metafisico. Nessun miracolo appare all’orizzonte, ma Resonance Project (The Cave) di Oliver Beer (Pembury, 1985) nella Halle 2 dei Grand Locos sa sicuramente sfiorare il soprannaturale. Con un’installazione video immersiva a 8 canali, Beer ha invitato otto performers a cantare il loro primo ricordo musicale nei cunicoli della Grotta di Font-de-Gaume (Dordogna, Francia). Questo sito ospita alcune delle prime pitture rupestri, risalenti al Paleolitico, e stimolando le frequenze di risonanza della grotta, Beer è riuscito nell’intento di ricreare un suono ancestrale e potente. Gli artisti presenti alla Biennale, molti dei quali giovanissimi, offrono una riflessione critica sul mondo contemporaneo. Dieci dei più giovani sono stati selezionati per il programma Jeune Création Internationale, ospitato presso l’Institut d’art contemporain di Villeurbanne (Lione). Tra questi, Hilary Galbreaith (1989, Florida) ha trasformato una stanza d’hotel in un’installazione critica sulle condizioni lavorative nel settore alberghiero. Sui coprimaterassi compaiono resoconti anonimi di camerieri e receptionist, mentre un murale indaga l’evoluzione dell’ospitalità. Il tema dell’accoglienza, affrontata in termini di migrazioni, è al centro anche dell’opera di Mari Karapetyan (Russia, 1998), che espone un’enorme scultura in alluminio ricreando la forma di un filo spinato, simbolo della fragilità dei confini fisici e mentali. L’opera invita a considerare il confine non come barriera, ma come opportunità di attraversamento.
Se ai Grand Locos e all’Institut d’Art Contemporain gli artisti presentati affrontano tematiche sociali e politiche, alla Cité Internationale de la Gastronomie, le opere si concentrano sull’idea di ospitalità e cura, in un luogo che un tempo era un ospedale (Grand Hôtel-Dieu). Qui ogni artista ha reinterpretato l’ambiente come spazio di cura e di attenzione verso l’altro, esplorando rituali di ibridazione e unione di culture e specie diverse. Un esempio è l’opera di Hajar Satari (Iran, 1990), che si è messa in profondo ascolto della natura, registrando e annotando per diverse settimane ogni cambiamento di alcune piante ad alta quota sulle Alpi. Un altro esempio è Guadalupe Maravilla (San Salvador, 1976), che ha immaginato uno spazio di guarigione per le comunità emarginate attraverso la realizzazione di sculture totemiche. Incastonato tra il Rodano e il Parco della Tête d’or, al Musée d’Art Contemporain de Lyon (macLYON) la narrazione si fa più raccolta: le opere selezionate per questo spazio parlano di relazioni tra amici, famiglia e amanti, insieme ai loro rituali personali e intimi. Più sale sono dedicate a Taysir Batniji (Gaza, 1966), che mette in relazione la sfera privata e la sfera pubblica. In ID Project, ad esempio, racconta il lungo percorso burocratico dell’artista per ottenere la cittadinanza francese, mentre in Au cas où #2 ha raccolto e fotografato centinaia di mazzi di chiavi di case distrutte dai bombardamenti israeliani a Gaza, riportando la storia dei proprietari e evocando in modo silenzioso la tragicità del momento. La dimensione intima è centrale nell’opera a quattro mani Le Voyage de Noces di Christian Boltanski (1944-2021) e Annette Messager (Francia, 1943). L’installazione, composta da 21 disegni e 86 fotografie, gioca sugli stereotipi di Venezia come città dell’amore, costruendo un mosaico che riflette sui luoghi comuni delle relazioni sentimentali.
Le voix des fleuves. Crossing the water si distingue per la sua accessibilità, offrendo a tutti l’opportunità di essere compresa e suscitando l’interesse anche dei più scettici. L’organizzazione dello spazio è eccellente, adattandosi a un pubblico eterogeneo e offrendo molteplici livelli di interpretazione delle opere. La Biennale di Lione si conferma così un evento di rilievo internazionale, capace di valorizzare il legame con il territorio e di utilizzare l’arte come strumento di dialogo e riflessione collettiva. Questa 17ª edizione, pur evocando l’impossibilità dei miracoli, si propone di immaginare nuovi futuri possibili: dalle riflessioni sulla crisi ambientale alle tematiche dei confini e dell’ospitalità, l’arte torna a essere un mezzo per attraversare l’acqua che divide e per connettere mondi solo apparentemente distanti.