09 ottobre 2024

Nuova vita al rifiuto: a Salerno, 11 artisti per un progetto sull’upcycling

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La seconda edizione di Restart ha invitato 11 artisti a lavorare sul tema del riutilizzo dei materiali di scarto e dei rifiuti: la mostra negli spazi suggestivi del Complesso San Michele, a Salerno

Gabriella Siciliano, Easter '97, ph. Mario Cricchio

Ritorna a parlare di riuso e salvaguardia ambientale Restart, evento artistico e culturale promosso e realizzato da Fondazione Carisal, con il sostegno della Regione Campania attraverso Scabec. Il progetto espositivo, curato da Antonella Ferraro e Fabio Avella, sarà visitabile a Salerno, presso il Complesso San Michele, sede della Fondazione, fino al 13 ottobre 2024.

Timoria è il titolo di questa edizione di Restart, un termine qui considerato nella sua accezione di “castigo”, “punizione” e declinato sui temi dell’ambiente, del recupero e del riutilizzo. Restart si focalizza allora sulla questione dei rifiuti, intervenendo sui concetti di consumo della materia e di rinnovo dei materiali. Più che una mostra, è un approccio esistenziale al problema, è l’adesione a un modus vivendi: cambiare radicalmente il nostro orientamento nei confronti dell’oggetto, del prodotto. Mirando alla sua conservazione, alla sua valorizzazione, alla sua indeterminatezza temporale. Sublimare lo scarto a opera d’arte vuol dire salvarlo dall’usa e getta, renderlo invulnerabile al consumo. Timoria rappresenta dunque un monito, per scongiurare il giudizio vendicativo che Madre Natura sta infliggendoci, una punizione diventa inesorabile e può essere sventata solo tramite lo sviluppo di una coscienza collettiva.

Restart, Timoria, veduta della mostra, Salerno, 2024, ph. Mario
Restart, Timoria, veduta della mostra, Salerno, 2024, ph. Mario Cricchio

Gli artisti – Giorgio Bartocci, Paolo Bini, Gianluca Capozzi, Francesca Matarazzo di Licosa, Lucas Memmola, Adonai Sebhatu, Gabriella Siciliano, Ivano Troisi, Andreas Zampella – sono intervenuti con opere dedicate, in parte site-specific e prodotte con materiali di recupero. La loro produzione è stata interessata dal processo del riuso, dall’upcycling, rendendo i materiali ingranaggi di un percorso di rinascita e valorizzazione. Nell’ambito di questa seconda edizione di Restart, è nato anche il Premio artisti emergenti, assegnato a Roberta Ungaro, con menzione speciale a Yuliya Marych.

Restart, Timoria, veduta della mostra, Salerno, 2024, ph. Mario
Restart, Timoria, veduta della mostra, Salerno, 2024, ph. Mario Cricchio

La struttura architettonica del Complesso San Michele ha orientato il percorso espositivo. La natura sub-terranea del piano terra dà la sensazione di un andamento più intimo, quasi introspettivo, a delineare la fragilità della condizione in cui viviamo. Il percorso si apre con l’opera Creatura di Giorgio Bartocci. Il lavoro è stato eseguito completamente in residenza ed è assemblato tramite materiali di recupero lignei, plastici e metallici, nel suo corpo scultoreo, e risolto in una sorta di pittura tridimensionale site-specific campionata dai colori grigi, bianchi e avorio, dei monumenti salernitani. Appena sorpassata quest’area, girando a destra, ci ritroviamo alla nostra sinistra, in una penombra accennata da un flebile bagliore ed inserita in un incavo oscuro ricavato nel collegamento verso un’altra aula, Luce in rovina di Roberta Ungaro. Piccola lampada, dalle sembianze di un cactus in filo spinato, ricavata da una pentola restituita dal mare contenente una base di calcinacci.

Giorgio Bartocci – Creatura, ph. Mario Cricchio
Roberta Ungaro – Luce in rovina, ph. Mario Cricchio

Incamminandoci in uno stretto corridoio di congiunzione, ci ritroviamo di fronte a La cura del tempo di Gabriella Siciliano. Un’opera elaborata tramite il sapiente intreccio di fili in foil, residuo colorato delle feste di compleanno che decorano in genere le stanze delle case dei festeggiati. Elementi trascurabili per la maggior parte delle persone e invece fondamentali per analizzare la sfavillante distorsione della nostra epoca, incentrata sul valore dell’usa e getta. Nell’uscire dalla “grotta”, proseguiamo per l’angusto corridoio e ci ritroviamo in un’ampia camera dove, sulla parete, vi è un video denuncia di Gianluca Capozzi composto da frame video di rifiuti prodotti dalla nostra irragionevole abitudinarietà. Appena usciti, ci ritroviamo in uno spazio aperto, ricoperto da una veranda, dove è istallata su più livelli Mito di una città meridionale di Ivano Troisi. L’opera è frutto del recupero di tondini metallici che si ergono dai piani di seduta delle scalinate, ed è stata realizzata come istallazione ambientale per questo luogo, è composta da sette elementi che gradualmente risalgono come le colline e i monti salernitani che delineano.

Gabriella Siciliano – La cura del tempo, ph. Mario Cricchio
Gianluca Capozzi, ph. Mario Cricchio
Ivano Troisi – Mito di una città meridionale – notturno, ph. Mario Cricchio

All’interno della prima area archeologica sono presenti due opere di Paolo Bini. La prima, Monolite blu. Un’oscurità indebolita dalla luce, rigenera il pilastro portante del solaio sovrastante l’antica cisterna del Complesso. Di fronte, in maniera speculare, è collocata Eden che si riafferma, creata dal riutilizzo delle strisce di nastro carta precedentemente adoperate per l’esecuzione del monolite: una sorta di negativo, dato dalla sovraimpressione dei nastri, che figura come l’immagine viene organizzata, riflettendo sul formarsi della stessa, sui tempi e i modi specifici di produzione.

Paolo Bini – Monolite Blu. Un’oscurità indebolita dalla luce, ph. Mario Cricchio

L’altra area archeologica, la zona di sepoltura delle monache benedettine, è stata interessata dalla fragile natura morta di Andreas Zampella, Storia di una vita silenziosa, installata all’interno degli scavi utilizzati come struttura e parte integrante della composizione. Bicchieri, piatti e bottiglie di vetro imbandiscono la tavola della badessa dormiente, che sorveglia ciò che resta di chi ha abitato il monastero. Elementi vegetali semidecomposti riaffiorano dai calici imbanditi come simulacro di rinascita e di morte. Sulla parete opposta c’è Metastasi di Lucas Memmola: con la sua visione distopica, l’artista, sintetizza gli attuali processi comuni in un unico progresso autodistruttivo. Metastasi, infatti, si auto-erode nel proprio conflitto come la foglia d’oro, materiale incorruttibile, viene lentamente annientato dalla materia organica insita nella struttura del quadro. In fin dei conti è la metafora di Timoria: una società splendente nel suo fallimento.

Andreas Zampella – Storia di una vita silenziosa, ph. Mario Cricchio
Lucas Memmola – Metastasi, ph. Mario Cricchio

Al piano superiore, ancora un lavoro di Lucas Memmola, River, che rappresenta il frammento fi­nale di un fi­ume e la nostra indifferenza. Il sottile rivolo attraversa un paesaggio inquinato, quasi un deserto, in cui la forza vitale dell’acqua sembra voler sovvertire le sorti della natura e dell’uomo. Proseguendo, ci ritroviamo in un grande salone: qui ci accoglie Chaos & Polemos di Adonai Sebhatu, una narrazione di pianeti in cui la materia, collage di disegni tecnici e circuiti elettrici (pcb) su carta e acetato, cerca la sua essenza intrinseca generando una risposta perpetua di creazione e distruzione. Si apre quindi un telo di plastica per accedere a Imballati di Yuliya Marych. L’artista ha “dipinto” le pareti, il pavimento e il soffitto di plastica, per ricreare un ambiente asfissiante.

Adonai Sebhatu – Chaos & Polemos, ph. Mario Cricchio
Yuliya Marych – Imballati (particolare), ph. Mario Cricchio

Ritornando nell’ampio salone, sulla nostra destra persistono le opere di Francesca Matarazzo di Licosa: Il Pianeta e L’ignoranza. La prima rappresenta la Terra, forse guardata da un satellite, come un’arida conformazione rossa (plastica) che ormai ha esaurito il suo ciclo vitale. L’altra è l’elaborazione della scrittura visiva sviluppata tramite l’impasto di pietrisco e sabbia, verniciata d’oro: un inno all’ignoranza come assenza che diventa stimolo e motivo per ciascuno di noi nel fare, dire, scoprire nuovi mondi e raggiungere nuovi obiettivi.

Francesca Materazzo Di Licosa – Il Pianeta, ph. Mario Cricchio

Sulla stessa linea, ci ritroviamo a osservare Easter ’97, altro lavoro di Gabriella Siciliano. Realizzato con carte di cioccolatini colorate, rimanda a un ricordo d’infanzia dell’artista e di quella generazione che ha conosciuto gli effetti delle rovine ambientali, nate da inconsapevoli errori precedenti: un tema classico, una natura morta floreale, totalmente rivisitato per mezzo di un linguaggio attuale. Sulla parete opposta, l’installazione di Gianluca Capozzi, Wrapping cartons and stories, ultima opera in mostra. Le figure umane dipinte, racchiuse ed incorniciate su riquadri di cartone sembrano personaggi di una grafhic novel a lieto fine. In realtà è solo una felice illusione, poiché l’osservatore, attento nell’analizzare le storie come dietro le finestre di un condominio, scoprirà che l’ingerenza dei prodotti plastici a basso costo hanno invaso il nostro esistere, come testimoniano le piante che sostituiscono gli elementi naturali.

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