20 ottobre 2024

Arte e Design. Design è Arte: la mostra al MAGA di Gallarate

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Al MAGA di Gallarate una mostra ideata da Philippe Daverio racconta il rapporto tra industrial design e arti visive, dal primo dopoguerra alla fine del ‘900

Pratone® Forever di Giorgio Ceretti Pietro Derossi Riccardo Rosso 2021 © Gufram Courtesy of Gufram

Al MAGA di Gallarate prende corpo il progetto ideato da Philippe Daverio a partire dal 2009 e attuato nel 2024 a 30 anni dalla fondazione della sezione Design del museo. È la mostra Arte e design-design è arte, a cura di Emma Zanella, Vittoria Broggini e Alessandro Castiglioni, che studia e riflette sui rapporti fra industrial design, arti visive e climax culturale a partire dal primo dopoguerra fino alla fine del ‘900,  incentrato in particolare sull’ambito di designer e artisti di area milanese, dove (citando in sintesi Daverio) architetti «Ragazzi di buona famiglia» frequentarono – in prima istanza –   gli artigiani e poco l’industria, dando inizio ad un’estetica e ad un decoro moderno – in progresso – del ceto borghese  a cui appartenevano.

Un contatto con il sapere artigiano e con l’industria nascente che trovavano il sedime nell’area a nord di Milano, di cui Gallarate è uno dei centri e dove i know how artigianale e industriale operano a tutt’oggi.

Soldati Atanasio, Ambiguità Composizione, 1951, Olio su tela, 120,7×85,7

Dopo l’apertura con un omaggio alla “ripartenza” del primo dopoguerra, di cui al saggio di Daverio sui “ragazzi di buona famiglia”– con un quadro di Campigli che ritrae la famiglia Ponti e opere di design di Gio Ponti,  Luigi Caccia Dominioni, Marco Zanuso – la mostra è articolata in cinque stanze che riprendono ambienti dove arredi, oggetti e opere d’arte – quadri e sculture – hanno segnato gli anni ‘50, ‘60, ‘70, ‘80, ‘90 del novecento, ognuno con il suo portato di rappresentazione del ceto sociale emergente o meglio in transizione, con i rimandi alla società del periodo.

Bruno Munari, Zizì, ?, Pigomma S.r.l.

Come nella sezione di apertura, troviamo quadri e sculture di grande livello – da collezioni private e dal fondo del museo – che alle pareti delle “stanze tematiche” dialogano con arredi e oggetti di design del periodo. Seguono così per il primo dopoguerra, ad esempio, il Cicognino di Albini in dialogo con L’Urto di Vedova, per gli anni ‘50 opere di Arte concreta con lavori di Dorfles, Soldati, Munari e con oggetti di Campi.

Nella stanza titolata Quando i salotti erano bianchi, nel boom economico, troviamo un ambiente domestico di rappresentazione sociale che si confronta con Fontana in dialogo con la lampada Falkland di Munari.

Antonia Campi, Portaombrelli, 1950, Ceramiche Laveno

E ancora per gli anni ‘60, il capitolo sulle “libertà personale e politiche” mostra, tra gli altri, il Pratone di Ceretti, Derossi, Rosso con i moduli di Ferreri Castelli. Per gli anni ‘70, con la nascita della progettazione democratica con Mari e innovazioni con Sottsass, assieme all’arte povera di Paolini o Boetti. Per arrivare alla “Milano da bere” con Mendini e Cattelan e gli oggetti di Alessi. Questo per citare alcuni dei numerosi autori di oggetti e opere esposte, in sequenza scientifica ed evocativa, nella sua sintesi concettuale e storica.

In continuità logica e programmatica – con un allestimento efficace, dove pannelli e tubi in acciaio danno l’indicazione di work in progress e gli arredi sono riciclabili ad altre funzioni sempre di arredo – la mostra conduce a una sorta di ulteriore ricerca di “nuovo inizio” dopo il 2000 con i lavori del Premio Gallarate nella mostra Hiperdesign, a cura di Chiara Alessi.

I progetti si misurano con le esigenze del terzo millennio, in termini di sensibilità e compatibilità con l’ambiente, di attenzione a una funzione etica, sia dal punto di vista ecologico che dal punto di vista sociale.

Gae Aulenti, lampada Pipistrello,1966, Produzione Martinelli Luci Collezione MAGA ph. Marchesi

Si ridefinisce la funzione del design, uscendo dalla logica del pezzo d’autore destinato all’élite, per arrivare a una diffusione completa: si delinea un’estetica del quotidiano anche nel progettare soluzioni per la sicurezza sul lavoro, l’intervento di protezione civile, la contaminazione dell’ambiente, il monitoraggio georeferenziato dei ghiacciai e quindi dei confini degli Stati.

Due mostre intelligenti che richiamano i concetti di inizio e ridefinizione: in senso lato rimandano alle origini stesse del concetto di design, quelle di Arts and Crafts, che su presupposti di reazione contro la produzione “industriale” a favore della qualità “estetica e artigianale” – dunque opposti a come oggi inteso – diedero l’inizio all’industrial design, come fusione delle due categorie in continua evoluzione.

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