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Esserci a Verona: Mario Merz. Il numero è un animale vivente
Mostre
Un fulmine del neon trafigge un bicchiere, una luce naturale azzurra penetra il vetro. Un igloo è attraversato da sagome di quadrupedi. Piccoli gusci di lumaca puntellano e accompagnano la sequenza Fibonacci. Le case girano intorno a noi o noi giriamo intorno alle case? Al di là di dare il titolo a uno degli esemplari igloo di Mario Merz – esposto in apertura della Galleria – l’interrogativo «Le case girano intorno a noi o noi giriamo intorno alle case?» sottende e lascia intendere niente meno che che l’esserci. Per spiegarci cosa sia l’esserci potremmo recuperare la lezione della filosofia tedesca, che ha tradotto il termine con dasein o quella di Heidegger che ha identificato con lo stesso termine l’ente privilegiato, l’unico che si mette in questione, ponendosi il problema dell’essere. Oppure potremmo fare esperienza della mostra Mario Merz. Il numero è un animale vivente guardando e venendo guardati – Merz ha del resto più volte sottolineato la preminenza e la necessità della collaborazione nelle possibilità umane – mentre ci muoviamo intorno a quell’igloo attraversato da sagome di quadrupedi, animali preistorici che, al pari dell’iguana, della lumaca, del gabbiano, del cervo, del coccodrillo (suo autoritratto), abitano lo spazio immaginifico dell’artista.
È, questa, una questione di energia, di potenza vitale, il cui elemento caratterizzante è «l’invisibile” che appare: l’energia, lo slancio vitale, che trascina lo spettatore in uno spazio mentale assoluto, inedito in cui smarrirsi», afferma la curatrice Patrizia Nuzzo per accompagnarci all’interno di una mostra che si rivela, nella sua essenza, un vero e proprio habitat. Stefano Raimondi, curatore della mostra insieme a Nuzzo e ideatore che mira ad approfondire una specifica ricerca che matura in Italia con Lucio Fontana a partire dalla fine degli anni ’40 e fiorisce in modo definitivo negli anni ’60 e che ha come oggetto quelle opere che non devono essere semplicemente viste ma vissute, ambienti che vanno abitati, habitat, in cui l’opera è lo spazio stesso che viene creato e plasmato dall’artista, spiega che «Il lavoro di Mario Merz non intende ridefinire lo spazio dell’opera come un campo fisicamente praticabile; non stiamo parlando di opere che accolgono al loro interno il visitatore ma di un habitat che si sviluppa nell’interazione. L’habitat generato dalle opere di Mario Merz è allo stesso tempo un habitat sociale e naturale e in quanto tale mai rivolto a un individuo isolato ma a una comunità, intesa come rete di collaborazioni, che può esistere anche diacronicamente nello spazio e nel tempo».
Nelle parole di Raimondi si coglie un passaggio molto bello sul senso che l’abitare assume in Merz: «l’abitare in Merz non è solo legato alla dimensione fisica e biologica degli esseri umani ma anche a quella socio-linguistica: si abita un luogo e si abita un linguaggio. E il linguaggio, per definizione, richiede un’interazione per svilupparsi. Dove c’è collaborazione c’è uno scambio e dove c’è movimento c’è energia». Questa energia, che i curatori dichiarano quasi all’unisono, corre lungo l’intera sala della Galleria d’Arte Moderna Achille Forti, rivelandosi fin dal principio con l’opera Bicchiere trapassato, passando attraverso gli importanti lavori grafici e pittorici esposti alle pareti e coinvolge emotivamente lo spettatore conducendolo oltre l’igloo nella direzione dell’installazione, a parete, di La natura è l’equilibrio della spirale (1976), e a terra, di Senza titolo del 2002.
«Nella grande tela La natura è l’equilibrio della spirale il senso dinamico che scaturisce dai pochi ed essenziali elementi rappresentati, sembra voler dilatare la tela al di là del limite costituito dalla superficie, per conquistare nuovi spazi e sconosciute dimensioni. È presente nell’opera l’elemento circolare della chiocciola, ma qui non rappresentato in senso figurato, bensì “portato” come entità fisica all’interno della stessa composizione: piccoli gusci di lumaca “puntellano” e accompagnano la sequenza Fibonacci, raffigurando l’esplosione di energia, resa con quei “baffi” di terra pittorica, che traducono l’aspetto di proliferazione del cosmo e il principio di crescita organica», spiega Nuzzo, accompagnandoci in una dimensione di sospensione tra la vertigine dell’immaginazione e la libertà dell’espressione in cui la volontà di far parte e di esserci – di Merz, e di ognuno di noi – è libera di sprigionarsi.