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Intensità emotiva e vulnerabile fugacità: la Terza Vita di Mar Sáez in Valle d’Aosta
Mostre
Se la vita – V.I.T.A. – è un «Vero Incessante Teatro Animato» come Cavazzoni suggerisce nel Manualetto per la prossima vita, allora la Terza Vita, cosa è? Nei piani espositivi del Castello Gamba, di fronte agli scatti di Mar Sáez, alla visione shakespeariana di Cavazzoni, secondo cui tutto il mondo è un palcoscenico nel quale a ognuno tocca recitare molte parti, tanto che il rischio di confondersi e indossare la maschera di qualcun altro è sempre dietro l’angolo, per un attimo viene da pensarci, soprattutto rispetto all’affermazione di Laura Tota per cui «l’esposizione non rappresenta solo un progetto artistico, ma una riflessione profonda sul concetto di libertà e sull’importanza delle relazioni umane in tempi di crisi».
Quale che sia la scintilla che ha mosso questa libera associazione di pensiero è presto detto. Gli scatti di Mar Sáez celebrano la resilienza umana e la capacità di ritrovare la speranza anche nei momenti più difficili, focalizzandosi sulla rinascita delle relazioni interpersonali dopo la fase di isolamento forzato nella fase più dura della pandemia e inserendosi inseriscono in un filone di ricerca dedicato al momento dell’adolescenza, emblematico in questo caso, di una nuova vita di cui il Manualetto potrebbe fornire – come si legge nella quarta di copertina – «le istruzioni (se per caso si torna al mondo una seconda o terza volta) per non cadere negli stessi errori, nelle stesse ingenuità e credenze illusorie che di norma finora ci hanno sempre accompagnato».
Allestita su tre piani, a cui si arriva attraversando un’importante collezione che mette in dialogo maestri locali e grandi nomi come Mirella Bentivoglio, Felice Casorati, Filippo De Pisis, Carol Rama, Pomodoro e Mario Schifano (per citarne alcuni), Terza Vita si apre con una selezione di immagini in cui la presenza umana, che cogliamo per sineddoche attraverso notturni e intimi e liberi abbracci, è sovrana protagonista. Molti scatti, che si distinguono per un sapiente di luce e buio dal gusto barocco contemporaneo, immortalano infatti ciò che il romantico Prévert definiva un «minuscolo secondo d’eternità» o che Roland Barthes, nei suoi Frammenti di un discorso amoroso, raccontava come «una stretta immobile». Nei contatti e negli abbracci – a lungo negati, inaspettatamente, quando ci siamo trovati nel pieno di una pandemia – restiamo ammaliati, stregati, come se ciascuno fosse il momento di una storia raccontata in cui tutto resta sospeso ed eterno, come Roma, la città che gli fa da cornice.
Già al primo piano, ma ancora di più nel secondo, dove compaiono alcuni video girati tra Roma e Ostia, nella narrazione di Mar Sáez la città simbolo dell’eternità, che riconosciamo in alcuni scatti realizzati di giorno delle sempiterne pitture e sculture romane, è posta in contrasto con la transitorietà del tempo presente. «Ostia», dice un visitatore ripensando all’omonima opera prima di Sergio Citti nata sotto l’egida di Pier Paolo Pasolini, che in uno spiazzo dell’Idroscalo perse la vita nel 1975, come i protagonisti dei suoi romanzi, e senza nessun tiglio a fargli ombra. Il senso di immobilità che si respira esplode al piano superiore, dominando l’altana che vive delle voci degli abitanti di Roma e di Ostia, catturati in una serie di interviste da Mar Sáez all’inizio del suo progetto e udibili attraverso le apposite cuffie. Sembra qui di cogliere lo stesso barlume di quiete di quando scopriamo di aver sottratto un frammento della persona abbracciata, e di averlo barattato con una piccola parte di noi stessi: e forse Terza Vita è proprio questo, la massima espressione delle esigenze umane più basilari, che ci guidano istintivamente verso la socialità e il confronto relazionale. Ne sentiamo il bisogno, così come spesso avvertiamo l’urgenza di partire, e di esplorare un altrove a noi ignoto.