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Venezia sospesa: tre mostre per raccontare la città, tra memorie, gioielli e desideri
Arte contemporanea
L’autunno è arrivato, la nebbia è calata, la Biennale è sul punto di chiudere i battenti. A Venezia restano solo loro, imperterriti. I veneziani. Appaiono all’improvviso, tra i banchi di foschia, inveendo contro il malcapitato di turno. Scendono dai vaporetti di fretta, scalpitando, spingendo i vicini, sbuffando per la loro lentezza, prima di tuffarsi in una calle, inghiottiti dalla città. Eppure, la sera, goto di rosso alla mano, qualcuno si stacca dai piccoli campanelli di persone che si formano intorno alle porte dei bacari, lo sguardo perso nel verde dei canali.
Li immagino così Suri e Simone Crestani, a fianco ad un canale, la notte, tentando di scorgere la fonte dell’attrazione che li lega a questo luogo bizzarro, sospeso tra la terra e l’acqua. Fantasticano su ciò che potrebbe essere nascosto tra le onde e le alghe. Esseri fantastici, derelitti di tempi andati, tesori abbandonati? Dalle loro rispettive passioni per Venezia nasce MICROCOSMO, una mostra di gioielli visitabile a Casa Yali, in Ramo Malipiero, sintesi di un dialogo tra sogni e materiali, tra poetiche e le concretezze del vetro, di cui Simone Crestani è maestro, e del metallo, che Suri piega abilmente al suo volere. Un sogno tutto lagunare, reso possibile da una tecnica innovativa che permette l’unione tra i due materiali senza saldature.
A un ponte e una calle di distanza, alla Barbati Gallery in campo Santo Stefano, la mostra Fields di Adam Alessi lascia che la città di Venezia lo trasporti in un percorso interrogativo sulla memoria: «Questi dipinti sono come l’architettura di un pensiero in costruzione», spiega Alessi. «Voglio che ricordino a qualcuno la sensazione di cercare di ricordare qualcosa che forse non è mai accaduto». Tra quadri i cui colori sembrano lottare per emergere e imprimere un significato sulla tela, simbolicamente rappresentando il trionfo di un ricordo su un altro, e spingendo i visitatori ad interrogarsi sulla propria narrazione di sé.
Qualche ponte più in là, in Fondamenta dei Penini, Clemente Ciarrocca sbaraglia la narrazione dell’io entrando in un dialogo immaginario con Myour Gape, riconfermando a Venezia l’antico titolo di capitale del desiderio. Quale posto migliore per discutere di feticismo che tra estratti di un diario di un artista inventato, nascosti tra le calli di una città in perenne decadenza? Ciarrocca, affiancato dalla curatrice italo-libanese Yasmine Helou, trasporta i visitatori in un vortice di realtà parallele, dove l’identità personale cede il passo alle pulsioni universali. «La nostra esistenza esposta, tenera e debole al punto giusto per essere ulteriormente rinchiusa e posseduta da desideri che, secolo dopo secolo, continuano a formarsi completamente al di là di ogni nozione di controllo personale», recita un passaggio del diario di Myour Gape intitolato Syrens Pray.
Microcosmo, Fields e the Estate of Myour Gape, sono tre occasioni per esplorare il perenne dialogo tra Venezia e la nozione di realtà, che qui, più in ogni altro luogo, sembra vacillare a ogni tramonto, tra i riflessi evanescenti della città che lottano per imporsi sull’acqua, fino al momento di spegnersi.