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Gli schermi sono diventati le nostre barricate: Enjoy the Collapse a Bari
Arte contemporanea
È in corso a Bari lungo il mese di novembre la decima edizione del BIG – Bari International Gender, festival transfemminista multidisciplinare che dal 2015 illumina la città sulle imprescindibili questioni di genere con una proposta diretta da Miki Gorizia e Tita Tummillo di cinema e arti performative, danza, teatro e musica, e che da tre anni include un Focus sull’arte contemporanea curato dall’artista Pamela Diamante; una sezione che prevede la formula talk, mostra e performance su tematiche e pratiche forti, internazionali, legate al corpo, all’identità e la partecipazione sociale con artisti calibrati – Franko B, poi Regina José Galindo e quest’anno gli spagnoli del Colectivo Democracia.
L’invito a imbracciare i cartelli degli attivisti afroamericani del Huey P. Newton Gun Club, seguendo la nuova generazione di Black Panthers della storica protesta politica a Houston (Jeremiah, picket Signs) o a partecipare all’agghiacciante ‘spettacolo’ urbano della demolizione della baraccopoli El Salobral a Madrid come cinici tifosi che incitano le ruspe (Welfare State, 2007), sono alcuni dei segnali di emergenza che lancia l’offerta artistica di Democracia al BIG X, a racchiudere tutti i temi delle scorse edizioni.
Azioni artistiche che nel mostrare la prepotenza sistematica testimoniano le disuguaglianze, ma anche l’impegno a scardinare convenzionali interazioni sociali pur mettendone in scena il conformismo, generando fiction critiche dove la percezione lucida del confine tra realtà e reality cinetelevisivo si confonde, dove il documentario, con valore di documento, può perdersi, si è perso anzi, nel flusso di simulacri, al di là del vero e del falso. Attraverso l’energia creativa della rappresentazione accade una presentazione della strumentalità repressiva del capitalismo che, sulla scorta di Claire Bishop, è «Un importante gesto artistico di resistenza per il quale non possono esistere lavori collaborativi non riusciti, irrisolti o noiosi perché tutti sono ugualmente necessari nell’obiettivo di rafforzare il legame sociale».
Mettetevi s-comodi ed Enjoy the collapse
Coprodotta e ospitata da Spazio Murat, la mostra dei Democracia ha un titolo che tuona e rimbomba tra l’iperturistica Bari vecchia e il boulevard commerciale Vittorio Emanuele II su cui si affaccia, pizzicando un pubblico distratto, ognuno dalle proprie attività e apatie quotidiane. Più di uno slogan o di un avviso è un appello massmediale al pensiero critico, un’esortazione a soffermarsi sul senso delle parole e di questo ossimoro nella realtà, per interpretarla e prenderne parte politicamente, scomodamente, nell’età della crisi climatica, economica, energetica e sicuramente politica che incombe sulla società globale. Un allarme sul ritorno all’età del ferro prevista da Esiodo nelle Opere, suggerisce Diamante, in cui l’umanità nel presente è in un caos etico e sociale che confonde ogni relazione umana, ma a cui possiamo reagire.
Il titolo allude sia alla nostra impotenza che alle nostre potenzialità nel collasso: una crisi profonda può cambiare la struttura del sistema globale e portare alla transizione verso un nuovo modello produttivo, economico e sociale, ci indicano i Democracia.
Parla alle coscienze con linguaggio altamente estetico il collettivo madrileno, da ogni luogo e occasione d’esposizione, con ogni mezzo compresa l’editoria, e il BIG risponde, così come nelle intenzioni di artivismo del festival, per portare all’attenzione dei concittadini opportunità per snodare intricati nodi relazionali, comunitari, insieme ai cooperanti soggetti culturali della città.
L’interesse è la collaborazione e il coinvolgimento reciproco, tanto che anche la curatela del Focus da parte dell’artista Diamante si è allargata ai fondatori di Democracia, Iván López e Pablo España (entrambi di Madrid, classe1970, attivi artisticamente dal 1989), che a loro volta su richiesta hanno invitato al dialogo l’artista Nuria Güell (Vidreras, Gerona, 1981) presente in mostra con 1 + 1 (una in esposizione, l’altra criptata da un QR CODE) opera video, per un volontario effetto domino.
Del collettivo, in cui convergono sodali attivistə e artistə dal 2006, ci sono nel percorso di visita alcune produzioni datate, esemplari della loro ricerca e attività, riunite intorno a un’installazione perno: l’edizione deluxe del libro a firma del Grupos Anarquistas Coordinados “Contra la Democracia” del 2016, che l’Alta Corte Nazionale spagnola nel contesto della repressione del movimento anarchico bolla come “terroristico”; chiesto in prestito alla Biblioteca Pubblica Municipale di Valdemoro dove è conservato, a Bari con gesto efficacemente simbolico è esposto sotto teca; una bomba disinnescata, potremmo dire, che ci interroga sul rispetto della democrazia, sui diritti costituzionali di libera espressione, opinione e pensiero e quindi contrariamente sui sistemi di dominio e di repressione del dissenso.
Per una analisi sullo stato democratico è servito scrivere retoricamente contro la democrazia, «buscando refutar los mitos ciudadanistas que exaltan un presunta “democracia real” / cercando di confutare i miti cittadini che esaltano una presunta “democrazia reale”».
Per dirla à la Mario Perniola, «Spacciare l’oclocrazia per democrazia è un errore fatale che gli antichi Greci non avrebbero mai commesso. Nessun mito è più possibile, nell’era in cui la copia ha dissolto l’originale e il simulacro si è imposto e proposto come originale a sé».
«Già al tempo della pubblicazione» dichiara Iván López «possedere questo libro è stato ritenuto un indicatore di affiliazione a un’organizzazione terroristica e si rischiava in Spagna un’accusa penale. L’idea che il solo avere il libro porti a conseguenze legali, per noi è corrisposto ad una riflessione sulle nostre possibilità democratiche, convogliata nel progetto di lasciarne una copia unica ad una biblioteca pubblica, così che la gente possa prenderla in prestito e scegliere di leggerlo». Da Spazio Murat «Il libro rimane volutamente chiuso», incalza Diamante, «Affinché ci si chieda se viviamo realmente in un paese democratico?».
Ma in prospettiva sovrannazionale, da Bari con i Democracia ci colleghiamo all’Europa, all’Inghilterra e agli USA osservando una dilagante crisi sociale, congiungendo i punti di un corpo globale che si è ammalato. Oltre che fisicamente, sugli spalti metallici dell’installazione Welfare State verso i quattro schermi del video della performance mediatica ambientata a Madrid, saliamo virtualmente a bordo di una limousine che attraversa alcuni incroci stradali di Houston con sulle fiancate le scritte provocatorie “Eat the Rich / Kill the Poor”, e saremo in compagnia di una cantante lirica che ‘stona’ una orribile ode alla violenza di classe: “A morte i poveri. Via la coscienza sporca. Via, anche, quella pulita. I poveri sono solo lo spreco inutile dell’umanità. A questo punto, servono solo per essere gettati nel fango di faccia nelle pozzanghere per non sporcarci le scarpe nei giorni di pioggia”. Nessuno per strada fa una piega.
Il video è del 2014-2018, parte della trilogia Order commissionata dall’organizzazione A/POLITICAL e Station Museum of Contemporary Art di Houston. Sono passati pochi anni e la pioggia è arrivata battente, lo sappiamo, a trascinare nel fango tutti però, gli uni e gli altri. Enjoy the collapse!
Attraverso un curato linguaggio filmico (l’opera in tre atti per intero dura 70 minuti), la denuncia dei Democracia fonde rappresentazione e realtà, ordine e disordine.
Col secondo atto, saremo in un centro commerciale di Dublino mentre un coro di bambini canta innocente, ordinatamente, inneggiando al capitalismo cannibale nell’indifferenza dei passanti, e poi nel terzo atto al Dorchester Hotel di Londra assisteremo fiacchi alla rivendicazione in musica di una cameriera nera durante una ricca cena di bianchi in società. La visione avviene in un container che sfonda il perimetro espositivo di Spazio Murat, a significare la necessità di rivolgersi alla collettività nello spazio pubblico, agendo in quello spazio intersoggettivo, su piazza del Ferrararese, scardinando la porta d’ingresso ideologica dei contenuti e delle istanze politiche. Si tratta di un secondo container in piazza pubblica a Bari nel 2024, dopo quello installato in Largo Adua come propaggine della mostra di Ardian Isufi Sogno metallurgico al Kursaal Santalucia.
Così accogliendo l’invito ricevuto come visitatori, ne rinviene una necessaria amara considerazione sull’evidenza per cui saremmo chiamati ad essere testimoni partecipi del dissenso, ma che le uniche barricate che innalziamo nelle nostre vite iperconnesse sono gli schermi. I cartelli dei manifestanti afroamericani che si incontrano all’ingresso della mostra “Non ci sono spettatori” / “Tutti partecipano, che lo sappiano o no” ci ricordano che saremmo dotati di capacità di ascolto, al di là del grado di opacità del messaggio, e di interpretazione e azione contro le offese del mondo.
Grant H. Kester scriveva che ci «Siamo ridotti a una pseudo comunità atomizzata di consumatori, dove la nostra sensibilità è offuscata dallo spettacolo e la ripetizione». «Siamo nati per succhiare. Cresciamo per mangiare il mondo. Consumiamo per dimenticare il tempo che, ogni giorno, in silenzio, ci consuma boccone dopo boccone», cantano i bambini irlandesi del Konsumentenchor / Coro dei consumatori in Order dei Democracia.
E dunque che ruolo ha o può avere lo spettatore, anzi ho e posso avere, di fronte alla disintegrazione di comunità, identità, modalità non integrate nelle linee governative e reti produttive? Nell’età in cui la crisi è nella comunicazione che edulcora il dato, lo richiama, lo trasforma, lo confonde? L’arte, per sua stessa natura, riesce a rinnescare il dubbio sulla veridicità. «Ed è un po’ come danzare sulle rovine di questo mondo», afferma Diamante.
La mostra prosegue con i lavori di Nuria Güell sul crollo della mascolinità (De putas. Un ensayo sobre la masculinidad, 2018) ma sarebbe piuttosto più opportuno affermare sul riconoscimento della fragilità degli uomini senza distinzioni di genere, sulla postura del maschio contemporaneo che va abbattendo quelli considerati incrollabili sempiterni stereotipi d’onnipotenza. Güell si occupa in particolare dei risvolti e atteggiamenti psicologici tanto dei clienti di alcune prostitute, coinvolte dall’artista in un dialogo anonimo, quanto degli ex detenuti protagonisti, svuotati e sofferenti, di The Poem (2022) che riferiscono invece delle condizioni del sistema penitenziario spagnolo e di un iniquo reinserimento post carcerazione nella società.
Interessante poi la selezione bibliografica in esposizione, con titoli scelti dall’artista e libraio Luca Musacchio. A questo proposito viene da suggerire una recente considerazione dello scrittore cileno Benjamín Labatut, «[…] ciò che sta accadendo intorno a noi è reale e irreale allo stesso tempo. Dobbiamo sviluppare nuove forme di interazione, non solo gli uni con gli altri, ma anche in rapporto alla raffica di informazioni cui siamo sottoposti. Dobbiamo produrre storie a partire dalle macerie lasciate dal crollo delle nostre narrazioni onnicomprensive, devastate dall’inarrestabile insorgere del nuovo».
La mostra a Spazio Murat sarà visitabile fino al 24 novembre 2024.