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Alabama, ode al rinascimento nero: la mostra alla galleria Edel Assanti di Londra
Arte contemporanea
The Stars Fell on Alabama: Southern Black Renaissance offre uno sguardo su un fenomeno culturale troppo grande per essere contenuto in qualsiasi museo o galleria. La mostra, ospitata nella Galleria Edel Assanti di Londra, presenta opere prodotte da sette artisti originari dell’Alabama, dagli anni ’80 fino ad oggi, i cui talenti sono simbolo di una vasta rivoluzione culturale. Mary L. Bennett, Richard Dial, Thornton Dial, Lonnie Holley, Ronald Lockett, Joe Minter, Mose Tolliver sono gli artisti presentati in mostra, con opere che spaziano dalla pittura mixed media, a sculture realizzate con le tecniche del patchwork e quilting; i lavori esposti provengono direttamente dagli artisti, dalle loro eredità e da collezioni private della regione.
La produzione artistica di questa generazione è rimasta a lungo sconosciuta, trovando spazio in contesti prevalentemente non istituzionali, non commerciali e spesso profondamente ancorati alla dimensione locale. L’Alabama, e in particolare l’area metropolitana di Birmingham, si è distinta come un epicentro di un fermento culturale al margine dei tradizionali canali di legittimazione, sebbene accogliendo e nutrendo le pratiche di numerosi artisti. Pur in assenza di una progettualità deliberata, questa regione si è rivelata essere un terreno straordinariamente fertile per lo sviluppo di una scena culturale autonoma e vivace, che ancora oggi si rinnova grazie all’opera di molti artisti.
Nel novembre del 1833, un evento astronomico straordinario segnò profondamente l’immaginario collettivo dell’Alabama: lo sciame meteorico delle Leonidi. Questo spettacolo celeste non solo lasciò un’impronta indelebile nella memoria degli abitanti, ma ispirò libri e canzoni popolari, fino a diventare un simbolo dell’identità dello Stato dell’Alabama, immortalato persino sulle targhe automobilistiche. Lo sciame meteorico diventò così una metafora perfetta: un’esplosione di luce proveniente da un unico punto nel cielo, simbolo di efflorescenza creativa che, seppur radicata in un luogo specifico, riuscì col tempo ad irradiarsi come una sorta d’insurrezione culturale.
Un altro evento cruciale, questa volta storico, segnò la cultura dell’America del Sud e il suo rapporto con la produzione artistica. Il 4 aprile 1968, l’assassinio di Martin Luther King Jr. generò un’onda di dolore e rabbia che attraversò il paese. In Alabama, questa ferita si tradusse in una risposta collettiva da parte degli artisti neri, i quali iniziarono a dar voce alle proprie esperienze attraverso opere estremamente raffinate, spesso astratte. Fu il momento in cui i confini tra spazio privato e pubblico si dissolsero, e le creazioni – definite “yard shows” – iniziarono a comparire nei giardini e lungo le strade. Questi ambienti, umili ma densi di significato, diventarono l’espressione visiva di una cultura che non poteva più essere ignorata.
Tra gli artisti presenti in mostra, Richard Dial, nato nel 1955, rappresenta con straordinaria efficacia la dualità che contraddistingue la produzione artistica dell’Alabama: da un lato un legame profondo con il contesto locale e le tradizioni culturali afroamericane; dall’altro, una riflessione più ampia su temi legati al potere, alla memoria e all’identità. Cresciuto a Bessemer, nel 1984, Richard Dial ha fondato la Dial Metal Patterns con l’obiettivo specifico di creare “mobili in ferro battuto di qualità”. Grazie alle competenze acquisite come macchinista presso la Pullman Standard Company e al supporto del padre e del fratello, ha prodotto la sua prima linea di mobili intitolata Shade Tree Comfort. Queste opere si basano sulla forma familiare della sedia, un oggetto che, per sua natura, promette accoglienza e riposo. Tuttavia, Dial sovverte questa idea, utilizzando le sue sculture per esplorare temi complessi e “scomodi”, come il potere e la privazione. In questa serie, Dial si collega alla tradizione afroamericana che attribuisce alle sedie un profondo valore simbolico, spesso associato all’autorità. Questo richiamo si rifà alla cultura ancestrale africana, dove i leader erano metaforicamente sostenuti dalle immagini e dalla forza dei loro antenati, trasformando così un oggetto quotidiano in un mezzo di narrazione culturale e storica.
Il collezionista e studioso William S. Arnett sostenne che visitare l’Alabama negli anni ’80 fosse come visitare Firenze, all’apice del Rinascimento. Tuttavia, a differenza del Rinascimento fiorentino, che prosperò grazie al sostegno di facoltosi e ambiziosi mecenati, il Rinascimento nero dell’Alabama nacque da un’esigenza profondamente radicata: l’urgenza di dare voce alle esperienze di una comunità figlia di una storia di oppressione secolare. Questo movimento non fu certo sostenuto dal lusso e della capacità economica dei suoi mecenati, ma piuttosto da una forte resilienza e dalla necessità di articolare una narrazione comune, rimasta per troppo tempo soffocata dalle ferite della schiavitù, dall’ingiustizia sistemica delle leggi di Jim Crow e dall’isolamento imposto dalla segregazione.
La mostra è visitabile fino al 30 novembre 2024.