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Agnes Questionmark, chirurgia di un corpo liquido: la mostra allo Scompiglio di Vorno
Arte contemporanea
Parafrasando canzoni e film, si potrebbe dire che Nexaris Suite, la mostra di Agnes Questionmark, curata da Angel Moya Garcia nella Tenuta dello Scompiglio, è la forma del corpo su cui è scritta la storia. Perché, come scrive Jacopo Valtulina, «Con i corpi si scrive la storia e sui corpi la storia si fa. Controllare i corpi, disciplinarli, gestirli marchiarli, è una costante dei rapporti di potere, a volte in maniera più esplicita, altre in modo più sfumato». Quel corpo, quale forma e contenitore, attraverso il quale, Daniel Pennac, nel suo Journal d’un Corps, trasmette storie, racconti, avvenimenti. Quegli accadimenti che un corpo trans vive e subisce ogni giorno, ancor più allorquando intraprende il processo di transizione. Un corpo “transumano”, controllato e sorvegliato. Modalità di vigilanza che percorre le opere dell’artista romana, attualmente residente a New York (seppur abbia mantenuto il suo studio nella Capitale).
Infatti, nel lavoro presentato alla 60ma Biennale di Venezia aveva proposto Cyber-Teratology Operation, ovvero una sala operatoria nella quale foucaultianamente ognuno è costantemente sorvegliato, anche lo stesso sorvegliante. Un corpo patologizzato, medicalizzato, ospedalizzato. Di cui, comunque, non se ne può liberamente disporre, perché deve passare per fasi, analisi, certificati, attestazioni. Che, alla fine, non sono altro che la risultanza di una cultura ancora fortemente patriarcale.
Attingendo a piene mani dalla cultura pop, compresi i manga, muovendosi tra realtà e finzione, scienza e fantascienza, diversi sono i rimandi che immediatamente richiamano film (il più recente La Forma dell’acqua di Guillermo del Toro; mentre Stream Machine e CHM13hTERTI richiamano Una sirena a Manhattan di Ron Howard, ma anche il più recente Substance di Coralie Fargeat, anche per il concetto di un corpo dentro un corpo) o romanzi (uno su tutti Frankenstein di Mary Shelley), affiancati dal suo interesse al genoma umano e all’ingegneria genetica. Perché l’idea della presenza, o della costruzione, di un corpo che non rientra in quei parametri condivisi e ritenuti comuni, diventa oggetto di studio o osservazione, soprattutto per superare il concetto di genere come categorizzazione biologica. Una tassonomia biologicamente obsoleta, perché la ripartizione binaria, che vede la distinzione in maschio e femmina, è superata, in quanto esiste una rete di identità.
Estremizzando certi concetti della Body Art – come non pensare a Orlan – soprattutto per fare del proprio corpo lo strumento della sua ricerca artistica, definendosi per questo un’artista transmediale, auspicando che l’essere umano si trasformi in Homo Aquaticus, ritorni, cioè, allo stato primigenio della sua evoluzione, con una diretta correlazione al liquido amniotico entro cui si generano e si sviluppano i mammiferi, anche alla luce dei grandi stravolgimenti ambientali, causati dall’uomo stesso. Perché la stessa BioArte parte anche dalla fondamentale domanda “che cos’è la vita?” e si rivolge alla scienza per individuare convivenze alternative.
Ed è questo laboratorio che Agnes Questionmark inscena nel suo video, o meglio, nei video presentati a Vorno. Tre video, tre punti di vista diversi: uno che registra l’azione nel suo complesso; un altro, dalla parte di quest’essere steso sul lettino; l’ultimo, dall’interno di questo essere, che guarda ciò che accade oltre sé. La più recente chirurgia, facendo propri i veloci e radicali progressi tecnologici, è giunta a effettuare operazioni senza neanche più il contatto fisico perché, attraverso la robotica, riesce ad attuare indagini e interventi di altissima precisione.
Con un velo di ironia, Agnes Questionmark, pur riferendosi a questa sala chirurgica, inscena un’operazione con un impianto tradizionale, addirittura attraverso una strumentazione vintage del secolo scorso con la quale agisce su un “non-essere”, del quale non si evince né forma né specie. Una “creatura-non creatura” che prende forma e occupa fisicamente l’altra metà dello spazio espositivo. Una specie ancora non categorizzata né classificabile, e per questo senza condizionamenti e fluida. Un intervento chirurgico, quindi, che assume un profondo valore catartico e non solo per l’essere transumano ma anche, e soprattutto, per l’artista stessa.
Una ricerca, quella di Agnes Questionmark, che, al di là degli esiti formali, assume particolare significato per il messaggio e, soprattutto, per la riflessione che invita a compiere sul nostro tempo. E, così, nella grande messa in scena di una seria finzione, sono messi in discussione anche la realtà stessa e il suo confine, in cui ogni cosa diventa possibile e plausibile. Senza barriere, limiti e confini.