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Molto più che scultura: l’avventura spazialista di Bruno De Toffoli
Mostre
di redazione
La chiesa sconsacrata di Sant’Agnese, situata nel centro storico di Padova, è uno scrigno che in sé custodisce tesori preziosi: frammenti di affreschi trecenteschi, due stratificazioni di antichi sepolcri e, a partire dallo scorso 16 novembre, anche alcuni capolavori di una delle più grandi stagioni dell’arte italiana: quella spazialista.
La mostra, curata da Luca Massimo Barbero, si focalizza in particolare sulla figura di Bruno De Toffoli (Treviso, 1913 – Venezia, 1978), allievo di Arturo Martini presso l’Accademia d Belle Arti di Venezia e firmatario con Lucio Fontana del Manifesto del movimento spaziale per la televisione nel 1952.
Con un percorso articolato tra navata e sacrestia —recentemente ristrutturate da Fondazione Alberto Peruzzo— la mostra Bruno De Toffoli. L’avventura spazialista propone una vera e propria archeologia dell’opera del grande artista trevigiano. Ma è un’archeologia, questa, che spinge verso la contemporaneità: verso nuove interpretazioni di un movimento ormai storicizzato, ma che continua a rivelarsi terreno fertile per ricerche ed approfondimenti.
Fulcro dell’esposizione sono nove sculture di De Toffoli realizzate nel corso degli anni Cinquanta e provenienti dalla collezione Intesa Sanpaolo, nonché una serie di disegni inediti provenienti dalla collezione privata del curatore: ventuno fogli che tracciano l’evoluzione della ricerca artistica del trevigiano tra il 1958 e il 1965.
Queste carte —preziosa testimonianza di un periodo durante il quale De Toffoli sempre più si ritirava dalla scena artistica— entrano in dialogo con le grafie spaziali di Vinicio Vianello, in cui i rimandi alle nuove tecnologie del tempo si tingono di un sentore orientale.
A colpire sono però le sculture: opere in gesso dai contorni morbidi o aguzzi che si fondono alla perfezione con il luogo che le ospita, diventandone parte integrante. Al tempo stesso, queste forme quasi totemiche inghiottono ed integrano gli spazi circostanti attraverso i loro fori, in una perfetta sintesi di esterno ed interno.
Sono molto più che sculture: è lo spazio concretizzato di fronte a noi, a dimostrazione di un nuovo modo di fare arte.
Scrivevano infatti gli spazialisti nel 1952: «Le nostre espressioni artistiche moltiplicano all’infinito, in infinite dimensioni, le linee d’orizzonte: esse ricercano un’estetica per cui il quadro non è più quadro, la scultura non è più scultura, la pagina scritta esce dalla sua forma tipografica».
La mostra, poi, offre anche un’interessante occasione di contestualizzare questi lavori nel più ampio panorama artistico del tempo, creando così un dialogo ideale con Lucio Fontana, ma anche con maestri che dallo stesso Fontana sono stati fortemente influenzati.
Oltre ad un Concetto spaziale di un rosa acceso, si possono dunque incontrare lavori di artisti quali Roberto Crippa, Dadamaino, Piero Manzoni, Paolo Scheggi, Antoni Tàpies ed Emilio Vedova, tutti protagonisti della collezione di Fondazione Alberto Peruzzo, che con questo progetto conferma dunque la sua importanza sul territorio padovano.